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FDCT23 – Copioni di commento. Giulio Cesare, Pezzi staccati

Seconda giornata del Festival delle Colline Torinesi, ormai arrivato alla sua 23esima edizione e alla nostra terza collaborazione con loro.

Io ed Emily ci siamo spostate dal nostro palchetto per andare a sederci sui cuscini alla Fondazione Merz per assistere alla performance di “Giulio Cesare, pezzi staccati”.

Cosa abbiamo visto? Questa è la domanda che ci siamo fatte appena siamo uscite dalla fondazione Merz.

SIPARIO

Sulla terrazza di casa, al calar della sera, mentre il glicine all’angolo segue le trame di una brezza leggermente fastidiosa, Emily ed Elisa discutono a proposito dello spettacolo visto poc’anzi.

Emily è seduta al grande tavolo bianco che cerca di bere da un bicchiere senza usare le mani.

Elisa entra reggendo tra le mani una grossa pentola (si capisce che scotta perchè usa le presine da forno) ma appena si accorge di quello che sta facendo Emily arresta la sua entrata per guardarla con un leggero disgusto dipinto in volto.

 

Emily (accorgendosi dell’ingresso di Elisa) :  Ma perché quando vengo a teatro con te non capisco mai cosa ho visto e ci ritroviamo a scriverci sempre su…?

Elisa (appoggia la pentola sul tavolo schiaffeggiando la mano dell’altra che è subito scattata verso il cibo) : Perchè scegliamo gli spettacoli in base al titolo e forse dovremmo smetterla. Secondo me dovremmo cambiare la metodologia  di scelta degli spettacoli.

Emily : Mi trovi d’accordo. Ora, siccome non so da dove partire, inizierò con la domanda più semplice: ti è piaciuto?

Elisa : Non è semplice dare un parere quando non hai capito bene cosa hai visto… Oddio, molto bello e interessante il modo di lavorare sulla ferita alla gola di Giulio Cesare creando nuovi metodi di comunicazione alternativi alla voce.

Emily (approfittando di un momento di distrazione ruba qualcosa dalla pentola cercando di mangiarlo di nascosto) : In effetti è una performance basata sull’origine  della comunicazione a partire proprio da dove il suono nasce all’interno della nostra gola. È stato abbastanza impressionante vedere la ripresa laringoscopica che il primo attore ha operato su se stesso. Non so tu ma io non avevo mai visto l’interno di una gola. (fa sparire il boccone in un morso)

Elisa le molla una sonora pacca tra le scapole accorgendosi che la meschina sta soffocando a causa del boccone rubato.

Elisa : Beh sono cose che non si vedono spesso a teatro. Sono impressionata dalla resistenza dell’attore perché mi ricordo del mio esame laringoscopico! è fastidioso avere la lucina nel naso e in gola  figuriamoci recitando Shakespeare! Complimenti!

finalmente iniziano a cenare e Emily non è un bello spettacolo. Elisa quasi non tocca cibo  disgustata dall’allegria famelica dell’altra.

Emily: Comunque con gli attori vestiti con quelle tuniche bianche sembrava di essere un po’ in un ospedale. Erano un mix tra medici,monaci e chierichetti. Anche la location contribuiva all’illusione ambulatoriale: bianco al limite dell’ossessione e scenografia scarna, essenziale e glaciale.

Elisa (ispirata, è ossessionata da cavalli e unicorni) : Vogliamo parlare del cavallo?

Emily( ribadendo l’ovvio): Era un vero cavallo!

Elisa : Era un bellissimo cavallo! Mi chiedo il significato delle parole bianche che gli hanno scritto addosso in contrasto con il cavallo che era l’unica cosa nera all’interno della performance: Mene Tekel Peres…

Emily (con la bocca piena) : Beata te che sei a questo punto, io sono rimasta a cercare di capire il significato del cavallo stesso. Forse per capire alcuni significati dovremmo ,come ci ha gentilmente suggerito la professoressa Mazzocchi (salve professoressa), evitare di intellettualizzare ciò che abbiamo visto attribuendo agli elementi scenografici il loro significato di base.

Elisa (aggrotta le sopracciglia) : Quindi per te il significato del cavallo è.. che è un cavallo? complimenti, molto profondo…

Elisa si alza e inizia a sparecchiare un po’ seccata perchè tocca sempre a lei fare tutto. Per manifestare la sua irritazione raccoglie le stoviglie con troppa veemenza, punteggiando la sua breve filippica di allegri tintinnii

Elisa (digrignando un po’ i denti) : Però hai ragione sul pensare basic,mi viene in mente il colore rosso che rievocava il sangue, il pulpito da cui era incomprensibile il discorso del laringectomizzato Marco Antonio o per concludere le lampadine accese tutte insieme e fatte scoppiare una ad una come se fossero le fasi di passaggio della vita che mano a mano si spengono e non torneranno più indietro.

Si alza anche Emily che, dopo aver schivato una lama sfuggita dalle mani nervosette di Elisa, decide di dare una mano all’amica.

Emily : Probabilmente assistendo a questo tipo di teatro concettuale non ci si dovrebbe interrogare troppo su ciò che si vede ma semplicemente, andando a casa, conservare la sensazione che ti resta.

Elisa : Ci sono degli spettacoli che vanno visti e basta, interiorizzandoli nell’intimo della propria camera da letto. Senza farci troppe parole sopra..e questo è uno di quelli.

Emily (sbadigliando) : Quindi camera da letto?

Elisa : Si, buonanotte!

Emily : Sicuramente sognerò il cavallo, buonanotte.

BUIO

SIPARIO.

A cura di Elisa Mina ed Emily Tartamelli

di Romeo Castellucci
regia Romeo Castellucci

ideazione Romeo Castellucci
con Giulio Cesare: Gianni Plazzi, Marcantonio: Maurizio Cerasoli, …vskji: Sergio Scaraltella
assistenza alla messa in scena Silvano Voltolina
tecnica Nicola Ratti
responsabile di produzione Benedetta Briglia
promozione e comunicazione Gilda Biasini, Giulia Colla
amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci

produzione Societas

Nel quadro de “e la volpe disse al corvo. Corso di linguistica generale”
Progetto speciale della città di Bologna 2014

FDCT23 – LIV FERRACCHIATI / THE BABY WALK TRILOGIA SULL’IDENTITA’

Ieri sera, 1 giugno 2018, alla serata di apertura del Festival delle colline torinesi è andato in scena al Teatro Astra di Torino la trilogia sull’identità di Liv Ferracchiati/ The Baby Walk in collaborazione con Lovers Film Festival.

La trilogia è strutturata in tre capitoli, non legati da un filo narrativo ma uniti tra loro dal tema dell’identità di genere: “Peter Pan guarda sotto le gonne”, “Stabat Mater”, “Un eschimese in Amazzonia”.

The Baby Walk sono: Liv Ferracchiati (regista/autore, a volte, anche in scena), Greta Cappelletti (dramaturg/autrice, a volte, anche in scena), Laura Dondi (costumista/danzatrice), Linda Caridi (attrice), Chiara Leoncini (attrice), Alice Raffaelli (attrice/danzatrice), Lucia Menegazzo (scenografa), Giacomo Marettelli Priorelli (light designer/attore), Andrea Campanella (videomaker).

Capitolo 1 “Peter Pan guarda sotto le gonne” durata 70’

Sul palco c’è il nostro Peter Pan: una bambina bionda di 11 anni e mezzo (Alice Raffaeli) che si dimena con un vestito rosa che non vuole mettere, non se lo sente addosso ma la madre insiste. Pertanto Peter è costretto ad andare con il vestito al parco a giocare a pallone, la sua passione, e viene presa in giro da Wendy (Linda Caridi) una ragazzina mora di 13 anni di cui si innamora. Ed è grazie all’amicizia con Wendy e la chiacchierata con la fata Tinker Bell(Chiara Leoncini) la fata che esiste, che Peter piano piano acquisisce la consapevolezza della sua identità. E’ un bambino in un corpo di una bambina. Comincia a ribellarsi ,infatti,  e non indosserà mai più il vestito rosa.”Peter non è esattamente una femmina ma precisamente un maschio”. Peter comincia, come se si guardasse allo specchio, una danza con sua ombra (Luciano Ariel Lanza) la guarda, la tocca. E’così che dovrebbe essere il suo corpo da grande, un ventenne con le braccia muscolose, le spalle grandi e i capelli corti. Ma Peter sa che non andrà in questo modo, ed è per questo che non vuole crescere; vuole restare così come è, non vuole che il suo corpo si modifichi, non vuole che i suoi fianchi si allarghino, che le crescano delle protuberanze morbide sul petto. I genitori, che non agiscono mai direttamente ma sono presenti solo come voci, esultano all’arrivo delle mestruazioni alla loro bambina che è finalmente diventata un signorina, mentre per Peter questo è solo il segno indelebile di un corpo che è sempre meno sotto il suo controllo. La madre è molto apprensiva ,quasi soffocante, vorrebbe evitare ciò che ha intuito ma che non vuole accettare; il padre si esprime solo attraverso definizioni da vocabolario e sembra non capire cosa sta succedendo alla sua bambina. Sostanzialmente Peter è solo con tutte le sue paure. Peter, incarna tutti quegli adolescenti transgender che si trovano totalmente soli a gestire il disagio di avere un corpo che non rispecchia la percezione di sé, un corpo che avrebbe dovuto essere diverso.“Tu non sei un bambino vero Peter e io non sono la tua Wendy” riecheggia la voce interiore.

Capitolo 2 “Stabat Mater” durata 85’

Viene raccontata la vicenda di un ragazzo di 27 anni, scrittore; vive al maschile ma ha le sembianze di una ragazza. La sua storia viene analizzata in seduta con una psicoanalista (Chiara Leoncini) ripercorrendo in flashback la storia d’amore con la sua compagna(Linda Caridi) da cui attualmente si sente sempre più distante. Un elemento centrale considerato in terapia è la sua incapacità a buttarsi: ha paura e si sente sempre in stato di inferiorità, il che è strettamente connesso a un legame edipico irrisolto con la madre. La madre, rappresentata come un volto in uno schermo, che non ha ancora metabolizzato l’identità di suo figlio, lo chiama insistentemente e il figlio risponde in qualunque momento non potendo avere in questo modo la propria intimità. Di fatto non sanno cosa dirsi, è un parlare di nulla. La mamma vuole controllare che il figlio abbia mangiato perché se ha mangiato allora vuol dire che va tutto bene, che sua figlia sta bene. La tematica del cibo attraversa tutta la trilogia, cibo come vita contrapposto alla morte. Per tutta la durata dello spettacolo si ha la sensazione di essere nella sua testa dove momenti di quotidianità si fondono a momenti di pura invenzione. Ciò è reso da una drammaturgia con un ritmo serrato in cui il linguaggio quotidiano si alterna ad un linguaggio con forti connotati emotivi; il linguaggio dell’inconscio.

 

Capitolo 3 “Un eschimese in Amazzonia” durata 65’

Quest’ultimo capitolo della trilogia dalla durata di 65 minuti tratta del difficile rapporto della persona transgender (l’eschimese) e la società (il coro). Al centro c’è l’eschimese con un cappuccio, come per proteggersi, e un microfono in mano, intorno a lui si muove il coro, lo segue, lo accerchia. Il coro,composto da 4 attori (Greta Cappelletti, Laura Donfi, Giacomo Marettelli Priorelli, Alice Raffaelli), parla quasi sempre all’unisono con una lingua ritmata, molto spesso con accompagnamento musicale che lo rende ipnotico e pervasivo, a tratti soffocante e che si riflette in una gestualità scandita, ripetitiva. Sottopone l’eschimese ad un fuoco di fila continuo di domande ma non è realmente interessato ad ascoltare le risposte. Infatti hanno già le risposte fatte di stereotipi e luoghi comuni. Il monologo dell’eschimese, che si rifà al format della stand up comedy, è improvvisato e coinvolge il pubblico utilizzando l’ironia e la comicità per affrontare l’attualità politica ed esperienze di vita quotidiana. Oliver Hutton, l’eroe dell’infanzia diventa il simbolo del ”non arrendersi ”; infatti nonostante fosse sempre ferito alla spalla era sempre in campo e vinceva. Alla fine i fari accecano il pubblico, effetto che contribuisce a mantenere lo stato di confusione e spaesamento in cui lo spettatore è coinvolto per tutta la durata dello spettacolo, poi cala il buio e l’eschimese calcia il pallone. Il pallone apre e chiude la trilogia, un pallone che rappresenta il diverso ma allo stesso tempo la libertà.

Come è emerso dalle interviste fatte al pubblico dal progetto “nuovi sguardi”, gli spettacoli sono piaciuti molto e la tematica della ricerca dell’identità  e del conseguente disagio interiore è arrivato dritto al pubblico che si è sentito coinvolto ed emotivamente mosso.” Un turbamento emotivo”: così uno spettatore l’ha definito.

Carola Fasana

 

Diario di una Tirocinate – Don Giovanni

Cari lettori, vi scrivo per raccontarvi un’esperienza unica!
Ho la fortuna di fare un tirocinio presso il Teatro Stabile di Torino, e non negli uffici, ma svolgendo un lavoro dall’interno di in uno degli spettacoli che si prospetta tra i più interessanti della stagione: Don Giovanni per la regia di Valerio Binasco. Subito dopo il primo incontro  con Valerio Binasco  in quattro e quattr’otto mi sono ritrovata al tavolo con tutti gli attori il primo giorno di prove.
Ufficialmente alle 14.39 di Lunedì 26 febbraio, si è partiti in q

13/03 Giornata di Memoria per tutti!

uesta avventura. I primi due giorni, siamo stati ospitati al Gobetti in sala Pasolini, perché alle Fonderie Limone faceva troppo freddo e nessuno si deve ammalare! Per me e la mia compagna di avventura ed amica, Giada, i primi giorni ci sono serviti per capire con chi avevamo a che fare, che tipo di lavoro sarebbe stato il nostro. Seppur un pochino spaesate, fin da subito Valerio ci ha integrato in tutto e per tutto nell’organico presentandoci a tutta la compagnia.
A metà settimana poi ci siamo spostati alle Fonderie, ed aspettando che la scenografia fosse pronta, gli attori hanno iniziato ad alzarsi dal tavolino e a provare con movimenti, in sala K.
E’ molto interessante vedere, giorno dopo giorno, come i personaggi prendono vita e ognuno degli attori ci mette se stesso. Binasco è molto attento a non togliere la naturalezza propria di ogni attore, e senza che vi sveli troppo, lo vedrete maggiormente nel secondo atto, che nel caso di alcuni personaggi è stato riscritto in dialetto.
I problemi ci sono stati in queste prime due settimane di lavoro, uno su tutti l’impatto con la scenografia: si tratta di una compagnia che in passato ha lavorato molto a tavolino e in movimento (provando e costruendo le scene in spazi più piccoli e creando insieme una scena collettiva che fosse la stessa nell’immaginario di tutti).
Questo maggiormente si è verificato per il secondo atto, ambientato in un piccolo Bar. Ogni attore vi vedeva un bar differente. Il problema ha trovato la sua soluzione quando gli attori si sono seduti e hanno raccontato cosa fosse per ciascuno quel luogo, spostando gli attrezzi di scena, vivendolo per davvero e affrontando lo spazio, senza paure.
Adesso si sta procedendo in maniera spedita a montare i vari atti, i costumi sono in via di rifinitura, le musiche sono sempre più precise e le luci vanno a scolpire i sentimenti dei personaggi.
Nel frattempo, noi suggeriamo, corriamo a destra e sinistra per fare in modo che non manchi mai nulla e scriviamo i vari rapporti di giornata.
Come sta andando, cosa sta succedendo….? Lo saprete tra una settimana.
Blogger in incognito, Elisa Mina

Copioni di Commento – Illusion Comique

Illusion Comique in scena dal 16/01 al Teatro Gobetti.

Abbiamo deciso – essendo delle teatranti in embrione e compagne di palchetto –  di raccontarvi lo spettacolo insieme. Lo faremo in un modo nuovo per il Blog: come se fosse un copione, vi riporteremo le nostre conversazioni a caldo post spettacolo, ma anche quelle un po’ più riflessive  qualche giorno dopo lo spettacolo.

SIPARIO
Siamo in bagno e uno specchio corre lungo la scena. Elisa seduta su uno sgabello della toeletta bianca, Emily allo specchio cerca maldestramente di togliersi le lenti a contatto.

Elisa:      Allora? Si può sapere cosa ne pensi? Sono venti minuti che scuoti il capo sostenendo di aver visto di meglio. Dovresti essere più specifica.

Emily:    Parliamo ancora di Illusion Comique?

Elisa:      No, della pizza mangiata a cena! Certo che parlo dello spettacolo, dovremmo pur scrivere qualcosa  sul blog!

Emily:    E’ proprio questo il punto, non saprei cosa scrivere in proposito. Purtroppo, non mi ha entusiasmata. Insomma, si vede che è stato fatto da professionisti, ma…

Elisa:      Lo so, la recitazione in versi, vero?

Emily:    Sì, anche. Voglio dire: sembrava che alcuni attori non avessero capito bene ciò che stavano dicendo. Credo che un testo come quello meriti un’attenzione particolare, in modo tale che possa essere  compreso dal pubblico. Non metto in dubbio la difficoltà degli interpreti,   ma alle volte non si capiva   il significato delle parole pronunciate, quasi come se stessero sciorinando la lista della spesa senza  pensare al contenuto delle battute. Il risultato? Il poco pubblico presente perdeva facilmente l’attenzione.

Elisa:      Sei ingiusta, nel complesso non è stato così terribile.(trasognata) Ho trovato pregevole l’effetto  lanterna sulle pareti del teatro, all’inizio. E poi il rumore delle goccioline d’acqua dava               l’impressione che tutto il Gobetti si fosse trasformato in una grotta. Sembrava quasi di essere  parte della scena grazie alle prolunghe laterali e frontali del palco.

Emily:    In effetti, trattandosi di uno spettacolo metateatrale, devo ammettere che alcune scelte registiche    sono state particolarmente efficaci nel far accadere l’ “illusion comique”, appunto. Come la            materializzazione della quarta parete. Il tulle bianco dietro il quale recitano gli attori sembrava uno  schermo cinematografico. Lasciarlo cadere, alla fine, ha proiettato direttamente gli spettatori   dentro il teatro e fuori dall’illusione teatrale.

Elisa:      Alcune cose non le ho capite però. L’aspetto totalmente anacronistico dello stregone per esempio.

Emily:    Mmm. Condivido, sembrava Ozzy Osbourne con quegli occhiali da sole. Dici che ai tempi di  Corneille erano già stati inventati?

Elisa:      (assumendo il tono che avrebbe Wikipedia se potesse parlare) Gli occhiali da sole devono le loro origini agli Inuit che utilizzavano ossa di tricheco intagliate per proteggersi dai riflessi della luce sulla           neve, ma solo nel 1700 assumono la forma che conosciamo ora.

Emily:    (rivolgendosi al suo riflesso) Ma come diavolo fa a sapere certe cose?!

(il riflesso sullo specchio tace in empatica incredulità).

Elisa:      Io mi documento! Ora per cortesia  non fare i tuoi soliti commenti sulla mia dedizione allo studio. Io  me ne vado a letto. E vedi di non finirmi la crema notte, so che sei stata tu l’ultima volta.

Emily:    (con aria innocente) Sogni d’oro. (Elisa esce)

(Emily svuota il barattolo della crema)

Si spegne la luce.

SIPARIO

Emily Tartamelli ed Elisa Mina

di Pierre Corneille
con Titino Carrara, Leonardo De Colle, Loris Fabiani, Fabrizio Falco, Mariangela Granelli, Elisabetta Misasi, Massimo Odierna, Matthieu Pastore, Maurizio Spicuzza
regia Fabrizio Falco
scene e costumi Eleonora Rossi
luci Pasquale Mari
musiche Angelo Vitaliano
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Centro Teatrale Santa Cristina

Aperiscena

A qualche settimana dal nostro evento, cogliamo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno partecipato,
coloro che sono venuti e si sono divertiti,
al Cafè della Caduta che ci ha ospitato,
e un forte ringraziamento anche ai Professori Armando Petrini e Federica Mazzocchi che sono i nostri pilastri!
Un grande Grazie e cogliamo l’occasione per augurarvi
BUONE FESTE!

La Redazione

C’era una volta Pinocchio

C’era una volta Carmelo Bene, poi Comencini e infine Latella. Antonio Latella e il suo Pinocchio, andato in scena dal 29/11 al 3/12 al Teatro Carignano, una produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.
Ad accoglierci una scena completamente aperta, col fondo palco a vista e le casse in alto che fanno parte della scenografia, tipico di Latella. Oltre a questo, alcuni elementi che scopriremo più tardi l’utilizzo e un tavolo, sotto il quale si intravedono le gambe incrociate di un personaggio che mima con le mani tutto quello che succede prima di fare il suo ingresso in scena: il futuro Pinocchio, Christian La Rosa.
La storia la conosciamo tutti: il Burattino magico che diventa Bambino. Latella però  non ci mostra la versione che tutti da bambini abbiamo ascoltato. Piuttosto, lavora su Collodi e la sua vita, sulla perdita della sua bambina, sul dover far resuscitare Pinocchio per la stessa ragione capitata a Sir Arthur Conan Doyle con i suo Sherlock Holmes.
Continua la lettura di C’era una volta Pinocchio

Sogno Americano – Ex di Shakespeare

Ex di Shakespeare, una compagnia formatasi dal laboratorio condotto da Jurij Ferrini nello scorso anno, 2016/2017, che ha visto attori che avevano voglia di approfondire i loro studi e continuare un lavoro di scoperta, ricerca, sperimentazione, condotti da uno dei registi più importanti sulla piazza torinese e non solo. Ecco chi sono i protagonisti di Sogno Americano per la regia di Jurij Ferrini, andato in scena dal 10 al 13 novembre presso la Cavallerizza reale.
Questo spettacolo arriva a Torino dopo la sua presentazione in giugno al Teatro Civico Garybaldi di Settimo Torinese e sta registrando ottimi risultati facendo sempre il pienone di pubblico.

Sulla scena troviamo 24 attori che si alternano come in una danza, facendo spostare l’orologio del tempo avanti e indietro, per farci vivere le grandi crisi finanziarie dell’America e mondiali: quella del 1929, del 1987 e l’ultima, ancora sotto i nostri occhi, del 2008.
L’opera è il risultato di una drammaturgia collettiva unita a suggestioni di Arthur Miller.

Lo spettatore viene catturato dalla scena completamente vuota, anche se non appena si esce dal campo luminoso, grazie all’assenza di quinte o sipario, possiamo scorgere nella penombra tutte le figure immobili, sedute, che aspettano il destino che hano in serbo per loro una o due crisi nell’arco della loro vita.
Ci accoglie un’anziana signora, Edie, che racconta alla nipote, Hanna di come lei e il marito Lee, hanno superato la crisi, ma viene dopo poco interrotta da un altro personaggio, Arthur Roberson, magnate di Wall Street, che la crisi del ’29, lui se l’aspettava e aveva cercato di mettere in guardia più persone possibili.
Hanna, ci spiega dopo questo antefatto che viaggeremo avanti e indietro nel tempo. Continua la lettura di Sogno Americano – Ex di Shakespeare

Lavanderia a Vapore – Collegno | Piemonte dal Vivo

Il Blog TeatroD@ms Torino, è lieto di invitare tutti i nostri cari lettori all’incontro organizzato presso l’università con la Lavanderia a Vapore, che incontrerà gli studenti e non solo, per presentarsi e raccontare i propri progetti e la sua ricca programmazione di danza e teatro dell’anno 2017/2018.

L’incontro si terrà mercoledì 22 novembre ore 12, aula 25 di Palazzo Nuovo.

Vi aspettiamo Numerosi!!

La Lavanderia è un centro coreografico di notevole importanza nel contesto italiano ed europeo, nonché sede di rassegne, progetti e programmazioni di danza e di teatro di alta qualità.

Team TeatroD@ams

Il Cielo non è un fondale – FDCT

Soli come nei sogni, così si apre Il cielo non è un fondale, che inizia proprio da un sogno, a sua volta generato da una canzone dall’omonimo titolo. In questo modo spontaneo e naturale inizia il lavoro dell’attore: sognare ad occhi aperti e lasciarsi trasportare dagli eventi. Un sogno che piano piano diventa collettivo, collocato in una scenografia scarna, dove l’unico elemento è un termosifone bianco, posto a lato della scena. In questa situazione onirica Antonio ci racconta di aver sognato Daria nei panni di una barbona e, pur avendola riconosciuta, l’ha ignorata. Da questo sogno si instaurano a catena tanti racconti sconnessi  ma legati da qualche particolare che permette il passaggio da una storia all’altra. Gli attori si interrompono nei loro racconti e tra una pausa e l’altra riprendono parola, tutto apparentemente sconnesso ma con un senso come all’interno di un sogno. Continua la lettura di Il Cielo non è un fondale – FDCT