Tutti gli articoli di Giulia Trivero

Focus su “teatro «en plain air» / pop / urban / site-specific”

Mercoledì 10 ottobre, laboratorio Quazza, ore 17.00. A presenziare alla conferenza ci sono Beppe Navello (direttore del TPE di Torino) e i professori Alessandro Pontremoli (curatore della conferenza), Eva Marinai, Antonio Pizzo e Federica Mazzocchi. Il focus è sul teatro «en plain air» / pop / urban / site-specific.

Manca una presenza importante, quella di Silvia Bottiroli, curatrice di arti performative e Direttrice di Santarcangelo Festival (2012-2016). Per motivazioni personali non è potuta intervenire, ma ha tempestivamente risposto alle domande del professor Pontremoli via email, creando un documento di estremo interesse che abbiamo potuto ascoltare e che ha generato un dibattito intellettualmente stimolante, a cui si è aggiunto dalle ultime file della platea il professor Antonio Attisani.

Beppe Navello ha preso la parola per primo, pronto a correre alla conferenza stampa per presentare la stagione 2016/2017 del TPE. Ci ha raccontato la nascita di Teatro a corte, e ha così introdotto il tema dell’importanza del luogo nella scelta di far svolgere uno spettacolo fuori dal teatro. La scelta di un luogo non convenzionale come, in questo caso, un luogo storico. Gli spettacoli itineranti che hanno avuto luogo nel periodo del festival sono stati prevalentemente scelti all’interno di progetti internazionali, prediligendo quelli che si trovavano a un crocevia di forme, di generi, di stili: spettacoli inediti, circo, video-danza. L’obiettivo di Teatro a corte e dei suoi organizzatori è sempre stato trovare o, meglio, ricercare nuovi spazi di libertà. Il rapporto col luogo storico in cui questi spettacoli si sono svolti è centrale. Si tratta di un rapporto biunivoco che modifica la performance stessa, in uno scambio creativo che restituisce un’esperienza differente da quella che si potrebbe vivere all’interno di un teatro. Lo stesso spettacolo svolto in due location, se gli artisti lavorano in uno scambio attivo col luogo, diventa in ognuna uno spettacolo completamente diverso. L’unicità del teatro che fa sì che la stessa opera non sia mai uguale a se stessa per via di quell’asse verticale che collega gli artisti a un pubblico sempre nuovo, si colora di differenze inedite, di originali metamorfosi nel rapporto col luogo deputato alla performance. Il luogo stesso può così essere osservato e vissuto in maniera nuova.

Silvia Bottiroli
Silvia Bottiroli

Il contributo di Silvia Bottiroli ripercorre il suo lavoro con il Festival di Santarcangelo. Partendo dall’analisi del suo approccio curatoriale e di cosa questa figura significhi, Bottiroli delinea un quadro lucido del significato che può avere nel 2016 all’interno di un festival il teatro site-specific.

“Abbiamo inteso ogni edizione del festival come l’avvio di una traiettoria di ricerca, una corsa a perdifiato dentro alla complessità di alcuni concetti e alle loro implicazioni, cercando al contempo che questi non si trasformassero in gabbie tematiche. […] la nostra scelta derivava da una forma di onestà intellettuale rispetto al lavoro artistico, che non intendevamo ridurre all’interno di un concetto o rendere in qualche modo illustrativo rispetto a un’idea, un’ipotesi o una tesi curatoriale. Allo stesso tempo, per me era forte la necessità di creare un campo di tensione e a volte di battaglia, un contesto teorico leggibile, e soprattutto di affermare attraverso questo gesto che il teatro e la danza contemporanei sono soggetti e non solo oggetti di ricerca”.

Dopo aver esplorato grazie al suo contributo il nuovo rapporto col pubblico, lo statuto delle opere contemporanee nell’opinione pubblica e il superamento dello spettacolo come forma di rappresentazione e presentazione, viene dato il via al dibattito. Il teatro fuori dal teatro, fa notare il professor Pizzo, non è una novità dell’epoca contemporanea. E’ forse più onesto ammettere che la maggior parte della storia del teatro si è svolta al di fuori dei teatri. Come circoscrivere dunque l’oggetto in analisi? Tramite il fatto che questo nuovo rapporto col luogo storico è prettamente postmoderno, risponde Pontremoli. Si tratta di un passaggio fondamentale dallo spettacolo come forma di rappresentazione/presentazione a un nuovo principio di realtà. Questi scambi inaugurano una tavola rotonda estremamente partecipata, in un dibattito in cui si esprimono professori e studenti.

Queste due ore hanno lasciato qualcosa anche a chi non ha osato inserirsi nel discorso ma ha preferito farsi arricchire dalla riflessione collettiva, estremamente ricca di spunti. Speriamo che il contributo di Silvia Bottiroli venga pubblicato presto per poterlo leggere, discutere e, perché no, poter un giorno contribuire anche noi a questo dibattito così fecondo.

Hearing

La funzione del linguaggio non è quella d’informare, ma di evocare Jacques Lacan

A un primo sguardo, Hearing sembra raccontare la condizione delle donne in Iran attraverso gli anni. La scena si apre sul dormitorio femminile di un collegio in cui due giovani ragazze vengono interrogate da una donna più matura, incaricata di mantenere l’ordine. Una relazione anonima ha denunciato che una delle due ragazze ha introdotto di nascosto nel dormitorio un ragazzo per trascorrere con lui la notte di capodanno.

La scenografia è un semplice  fascio di luce che illumina dall’alto le protagoniste e che restituisce, con acuta semplicità, l’atmosfera oppressiva del dormitorio-fortezza. Il sapiente uso delle pause e la recitazione quasi cinematografica delle giovani attrici fanno dimenticare subito la fastidiosa necessità di riferirsi ai sopratitoli per comprendere il dialogo.

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La ragazza che ha involontariamente fatto partire la denuncia non ha visto un ragazzo nella stanza della compagna, ne ha solo sentito la voce. E su quest’ambiguità, sull’insicurezza di una voce solo sentita (o immaginata?) si apre la seconda parte dello spettacolo. Con l’ausilio di una Gopro, Amir Reza trascina con maestria lo spettatore in un viaggio onirico a tratti spaventoso, spesso commovente, sicuramente d’impatto. Una delle giovani ragazze esce di scena e vi rientra pochi secondi dopo, quindici anni più grande. L’impianto  realistico della prima parte dello spettacolo viene così decostruito e ciò che conta adesso è l’happening: ciò che avviene qui e ora, sulle scale del teatro Astra che vediamo grazie alla Gopro, nella confusione dello spettatore che rimane catturato in un salto temporale. Alla destrutturazione del set corrisponde una destrutturazione del linguaggio, che intreccia passato e presente in un rimpallo serrato di ricordi, ammissioni, confronti. La memoria che qui viene rappresentata non può che essere restituita in questa maniera perché è la sua stessa essenza ad essere frammentata.

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“Gli spettatori rimangono confusi da questa seconda parte”, ci dice Amir Reza. Ma è proprio questo l’intento della regia: mettere in scena la confusione che si prova quando, arrivati all’età adulta, ci si volta a guardare la propria infanzia. Il percorso di crescita e gli anni trascorsi ritornano alla memoria come un tunnel buio, difficile da ricostruire, dal quale si esce “adulti, normali”. Per Amir Reza, Hearing è un viaggio personale per illuminare, almeno in parte, questo tunnel. Ecco perché non è e non vuole essere (solo) un’opera di denuncia sociale. Hearing non vuole lanciare un messaggio, ma restituire l’esperienza frammentata nella memoria di un percorso a tratti inconsapevole, quello della crescita e del passaggio all’età adulta, che è comune a tutti noi. Hearing non racconta solo la difficile situazione delle donne in Iran, ma anche un’esperienza universale, che travalica i confini lingustici, spaziali e temporali.

di Giulia Trivero

HEARING

(Prima nazionale presentato in collaborazione con Fondazione Live Piemonte dal Vivo nell’ambito di Scene d’Europa)

di Amir Reza Koohestani
regia Amir Reza Koohestani

assistente alla regia Mohammad Reza Hosseinzadeh
con Mona Ahmadi, Ainaz Azarhoush, Elham Korda, Mahin Sadri
video e direzione tecnica Ali Shirkhodaei
musiche Ankido Darash e Kasraa Paashaaie
suono Ankido Darash
luci Saba Kasmei
scena Amir Reza Koohestani assistito da Golnaz Bashiri
costumi e oggetti di scena Negar Nemati
secondo assistente Mohammad Khaksari
direzione di scena Mohammad Reza Najafi
assistente ai costumi Negar Bagheri
direttori di produzione Mohammad Reza Hosseinzadeh e Pierre Reis
tour manager Pierre Reis

produzione Mehr Theatre Group
coproduzione La Bâtie – Festival de Genève, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, BOZAR – Centre for Fine Arts Brussels

versione originale con sopratitoli in italiano
traduzione Laura Bevione per il Festival delle Colline Torinesi