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IL RISVEGLIO – COMPAGNIA PIPPO DELBONO

Al teatro Astra è andato in scena, tra qualche contestazione, lo spettacolo Il risveglio di e con Pippo Delbono e la sua Compagnia.

L’attore comincia parlando di sé, di alcuni momenti della sua vita e della sua giovinezza.

Racconta di un amore che l’ha provato nella salute del corpo e della mente, tracciando un percorso che introduce il pubblico allo spettacolo vero e proprio.

In teatro, tra la musica del violoncello suonato da Giovanni Ricciardi, e le parole di Pippo Delbono, si assiste quasi ad un rito funebre, certamente ad un atto commemorativo.

Bobò, membro della Compagnia, non c’è più.

Vengono ricordati i suoi gesti, la sua voce, il suo modo di relazionarsi con gli altri, con i grandi artisti ed i compagni. Il conforto dato dalla sua presenza.

La musica, in parte proposta in video, in parte suonata dal vivo, accompagna l’attore nella sua narrazione del dolore e della perdita. Lo spettacolo rivela le fragilità del personaggio, le sue paure.

E così la paura si intreccia al ricordo di chi non c’è più. La mancanza dell’altro crea incertezza, è quasi come dover imparare nuovamente a vivere. Si fa strada nella mente la consapevolezza che, nel procedere, nulla sarà più come prima.

Al tema della perdita, oltre a quello dell’amore e della paura, si intreccia quello della guerra come distruzione e incombenza della morte. In questo la scrittura, in particolare sotto forma di lettera, permette il tramandarsi di memorie pregne di dolore e rassegnazione ma, in fondo, anche di speranza e desiderio di cambiamento.

Sulla scena vengono proposti due possibili finali. Dei due, il secondo, forse supportato da quel potere di coinvolgere che ha la musica, ha fatto sì che, anche i più scettici, si sciogliessero in un fragoroso applauso.

Lo spettacolo, che chiude il Festival delle colline torinesi e inaugura la stagione del TPE Teatro Astra, ha generato molto fermento tra il pubblico. Qualcuno, durante la recita, ha dichiarato di pretendere il rimborso del biglietto e, al momento degli applausi, ha fischiato, mostrando tutto il suo disprezzo.

Delbono, vedendo lo spettatore agitarsi sulla poltrona, gli ha risposto con il tipico gesto italiano della mano a carciofo.

Non sono mancate, al termine della recita, anche all’esterno del teatro, altre polemiche e confronti accesi tra gli spettatori.

Il teatro, troppo spesso relegato a luogo del silenzio e del mistero, si è riempito di suoni: voci sovrapposte, gesti caotici, passi affrettati. Idee.

Silvia Picerni

Uno spettacolo di: Pippo Delbono

Con: la Compagnia Pippo DelbonoDolly Albertin, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella

E con: Giovanni Ricciardi (violoncello e arrangiamenti)

Luci: Orlando Bolognesi

Costumi: Elena Giampaoli

Suono: Pietro Tirella

Capo macchinista: Enrico Zucchelli

Organizzazione: Davide Martini

Assistente di produzione: Riccardo Porfido

Direttore tecnico: Orlando Bolognesi

Personale tecnico in tournée: Manuela Alabastro (suono), Carola Tesolin (costumi), Corrado Mura (luci), Enrico Zucchelli (scena)

Produttore esecutivo: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Coproduttori: Teatro Stabile di Bolzano (Italia), Teatro Metastasio di Prato (Italia), Théâtre de Liège (Belgio), Sibiu International Theatre Festival/Teatrul Național “Radu Stanca” Sibiu (Romania), Teatrul Național “Mihai Eminescu” Timisoara (Romania), Istituto Italiano di Cultura di Bucarest (Romania), TPE – Teatro Piemonte Europa/Festival delle Colline Torinesi (Italia), Théâtre Gymnase-Bernardines Marseille (Francia)

In collaborazione con: Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento (Italia), Le Manège Maubeuge – Scène Nationale (Francia)

HANNAH – SERGIO ARIOTTI

Nella Sala Pasolini del Teatro Gobetti è andato in scena lo spettacolo Hannah.

Il monologo, che vede la drammaturgia di Sergio Ariotti, è interpretato da Francesca Cutolo.

L’intento è quello di raccontare la storia di Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca che ha concentrato i suoi studi sui meccanismi dei totalitarismi, risalendo alle cause ed evidenziando le conseguenze di certi eventi storici.

Il lavoro è ambientato per metà nel 1943, quando Hannah Arendt tiene una conferenza riguardo la condizione dei tedeschi giunti  in America a seguito dell’avvento di Hitler, per poi cambiare prospettiva e riportarci ai giorni nostri: è una studiosa, durante un discorso pubblico, ad offrirci la propria narrazione della Arendt, suggerendo alla memoria alcuni accadimenti della vita della filosofa, utili ad evincere la direzione del suo pensiero.

La prima parte dello spettacolo vede la protagonista alle prese con degli oggetti contenuti in una valigia.

Li estrae uno alla volta per poi spiegarne il significato, fino ad arrivare, esasperata, a rovesciare la valigia e di conseguenza quanto contiene.

Il gesto esprime la voglia di mettersi a nudo, di raccontarsi senza censure, anche nel dolore e nella perdita.

Nel prepararsi ad assistere alla seconda parte dello spettacolo, il pubblico si trova a vivere un’attesa piuttosto lunga, che tende inevitabilmente a farlo uscire dall’atmosfera creatasi in precedenza.

Qualcuno beve un sorso d’acqua, qualcun altro ne approfitta per scambiarsi un dolce bacio sulle labbra.

L’attrice rientra in scena con un cambio d’abito parziale e con i capelli sciolti (prima erano raccolti con un’acconciatura bassa).

Ci saremmo aspettati forse una metamorfosi diversa, una rottura più netta tra passato e presente.

Il tentativo sta nel portare in scena (ancora e ancora) quei temi che sempre sono attuali: la guerra, il potere, l’eliminazione, il viaggio, la vita, la morte.

L’attrice, per tutta la seconda parte dello spettacolo, si trova a rimbalzare da un leggio all’altro.

Legge con enfasi mentre dietro di lei scorrono le fotografie di Andrea Macchia, immagini di quegli stessi oggetti che nella prima parte dello spettacolo erano stati mostrati.

Dopo un lungo momento di lettura, lo spettacolo termina con la proiezione di una frase estratta da Gli oggetti cari, poesia di Bertolt Brecht.

Ancora una volta, l’accento sembra ricadere insistente, ancor prima che su Hannah Arendt, sugli oggetti della memoria.

Silvia Picerni

Liberamente tratto da: “Noi rifugiati” di Hannah Arendt

Drammaturgia e regia: Sergio Ariotti

Con: Francesca Cutolo

Aiuto regista: Andrea Luchetta

Assistente: Beatrice Biondi

Immagini: Andrea Macchia

Costumi: TPE – Teatro Piemonte Europa

Con la consulenza di: Augusta Tibaldeschi

Sarta: Milena Nicoletti

Tecnico: Emanuele Vallinotti

Produzione: TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi

Fantasmi. La Stagione 2024-2025 di Teatro Piemonte Europa

Da qualunque angolazione lo si accosti, il teatro si fa gioco della sua etimologia. La parola teatro deriva dal greco ϑέατρον, ovvero gli edifici in cui fare teatro, che a sua volta nasce dal verbo ϑεάομαι: guardare essere spettatore. Eppure basta frequentarlo, studiarlo anche poco, per rendersi conto che la vista non è la chiave giusta per penetrarvi. 
Bisogna, anzi, allenare i sensi all’invisibile. Si potrebbe dire che il teatro è luogo dove si pratica una prossimità con i fantasmi. Una caccia continua allo spettro.
Questa è la strada che ci invita a percorrere Andrea De Rosa, direttore artistico del TPE, che presenta alla stampa la prossima stagione teatrale, l’ultima di un triennio incentrato sul macrotema della verità.

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CONFERENZA STAMPA TEATRO STABILE DI TORINO – ATTO UNICO

Unico atto politico

Lo scorso 4 giugno, presso il Teatro Gobetti, si è tenuta la conferenza stampa della stagione 2024/2025 del Teatro Stabile di Torino, dal titolo “Atto Unico”. Un anno di festeggiamenti, giacché ricorrono i 70 anni del Teatro Stabile di Torino e i 50 anni del Centro Studi. Settant’anni come settanta sono gli spettacoli che verranno messi in scena, come sottolinea il direttore, Filippo Fonsatti.

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29 Festival delle Colline Torinesi- Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla

<< Dì la verità ma dilla obliqua>> così si apre la presentazione del 16 maggio del  Festival delle Colline Torinesi, giunto alla sua 29 edizione, con una mostra alla Fondazione Merz, dal riflesso apollineo, una pala sacra situata in un luogo che sembra essere una chiesa, panchine vuote, candele bruciate ormai spente e dentro la pala lapidi distrutte, epigrafi con nomi, volti e foto differenti. Luci e ombre nuovamente si incontrano e si scontrano per restituire una visione, quanto più realistica e profonda del mondo di oggi. Numerosi gli ospiti invitati all’evento, quali la stessa Beatrice Merz presidentessa della Fondazione omonima che da anni collabora con il Festival delle Colline, Matteo Negrin direttore della Fondazione Piemonte dal Vivo, Filippo Fonsatti direttore del Teatro Stabile di Torino e ancora Andrea De Rosa direttore artistico del Teatro Astra e ultima ma non per importanza Grazia Paganelli responsabile Area Cinema Museo Nazionale del Cinema e così tante altre figure in rappresentanza del Ministero della Cultura, della Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Circolo dei Lettori, Teatro DAMS, Mediateca Rai e altro ancora. La collaborazione sembra essere quindi la parola chiave del Festival delle Colline, nato nel 1996 da un’idea di Sergio Ariotti, direttore artistico del Festival e Isabella Lagattolla, direttore amministrativo. Coppia nel lavoro e nella vita, la loro sintonia è palpabile in ogni stagione, la visione contemporanea e attuale che vogliono trasmettere è fuori dagli schemi, un nuovo modo di portare il teatro nel mondo torinese e non solo. Confini e sconfinamenti è il tema di quest’anno, riproposto pensando al successo dell’anno precedente e rafforzato dalle quotidiane dinamiche odierne, che ci rendono spettatori di guerre, dolori, sofferenze e tanta dispersione. I confini sono quelli del tempo, delle nazioni, delle proprie radici ma anche quelli della memoria e dei ricordi. La 29 edizione abbraccia senza timore il passato, il presente ed il futuro rappresentandolo in ben 52 recite in 28 giorni. Una full immersion colma di significato, storie ed identità alla quale, sono sicura non mancherà l’effetto sorpresa. Numerosi sono gli eventi connessi alla programmazione teatrale che come un grappolo d’uva, accoglie i propri spettacoli in numerose sedi differenti tra cui la Fondazione Merz, il Teatro Astra, Lavanderia a Vapore e le Fonderie Limone. Partecipare al Festival delle Colline come spettatore permette di viaggiare per il mondo stando seduti su una poltrona. Un festival internazionale con la missione di far incontrare le diverse culture, di farle intrecciare, di creare una nuova e più positiva, consapevole e profonda visione del Diverso. Il pubblico è un nuovo cittadino, un cosmopolita teatrale. Non ci resta quindi che la trepidante attesa del 12 ottobre per immergerci completamente nella proposta artistica di Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla.

Rossella Cutaia

Arlecchino Furioso – Stivalaccio Teatro

Dal 19 dicembre 2023 all’1 Gennaio 2024, al Teatro Gobetti, è andato in scena lo spettacolo Arlecchino Furioso.
La compagnia Stivalaccio Teatro, che si occupa di teatro popolare, teatro per ragazzi e arte di strada, in questa occasione ci riporta indietro nel tempo seguendo la tradizione della Commedia dell’Arte.

“Sono dinamici e creativi i giovani di Stivalaccio Teatro, e anche coraggiosi nel dedicare le loro energie a un genere di nobile tradizione e di alta specializzazione qual è la Commedia dell’Arte, che li porta a confrontarsi con interpreti giganteschi e insuperabili”.

Questo ciò che viene detto della compagnia in occasione del Premio ANCT – Associazione Nazionale Critici Teatro 2023, che gli viene assegnato proprio al Teatro Gobetti.

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Wonderland


Cosa hanno in comune un corvo e una scrivania?

E’ con questo indovinello uscito direttamente dalla penna di Lewis Carroll, che si apre Wonderland al Teatro Gobetti.
Con le luci di sala ancora accese e con la divisione tra pubblico e performer non ancora netta, entriamo gradualmente all’interno della narrazione, attraverso giochi di parole che iniziano ad ingarbugliarsi.

Ph. Andrea Macchia

Sul palco non c’è nessuna Alice, siamo noi che cadiamo direttamente nella tana del Bianconiglio e ci ritroviamo in un mondo senza senso, in uno spettacolo che non ha una trama, ma dei semplici episodi che dobbiamo “riconoscere, piuttosto che comprendere”, come lo stesso Collettivo Effe tiene a precisare.

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Dialogo con Roberto Tarasco, inventore della scenofonia. «Come un rabdomante trovo le luci e i suoni giusti per la scena»

La mia passione per il lavoro di Gabriele Vacis dura dal 2016, da due lezioni folgoranti, di cui ricordo ogni dettaglio.
Ricordo come entrò nell’aula, attraversando il grande spazio vuoto in silenzio, fino a raggiungere l’unica sedia della stanza, in mano l’Amleto tradotto da Cesare Garboli. Noi seduti per terra, attorno a lui.
Ricordo come ci mostrava le casse armoniche naturali del corpo umano, facendosi passare la voce dal naso, al diaframma e anche dietro nelle spalle. Me lo ricordo illustrarci la differenza tra tono, volume e ritmo, aggiungendo: «e state attenti alla manomissione delle parole. Nei talk show, quando dicono abbassate i toni si riferiscono al volume » e così poi ci dimostra come si può tenere una nota acutissima a un volume bassissimo.
Me lo ricordo citare Aldo Busi – con la veletta – che dice: «La letteratura è ritmo». Me lo ricordo mentre ci fa ascoltare l’Aria dalle Variazioni Goldberg suonata da Glenn Gould, prima negli anni’50, velocissima, e poi più lenta, nell’incisione degli anni ’80. «Glenn Gould» ci dice Vacis «incanta il tempo, quando leggete ad alta voce, avete la possibilità di incantare il tempo».
Me lo ricordo mentre tira fuori Il piccolo principe e parla dei lagami che si possono creare tra chi legge e chi ascolta; me lo ricordo mentre legge l’incipit de Il profumo, di Süskind, e dice: “La lingua è un’orchestra”. Me lo ricordo, il secondo giorno, quando ci ha preparati alla lettura ad alta voce, mostrandoci come si abita lo spazio e il tempo, come si sta in relazione con lo sguardo. Mi ricordo l’emozione, dopo quella lezione, di come abbiamo applaudito con le lacrime agli occhi, mentre lasciava l’aula.
Due lezioni intensissime che non bastavano a contenere il lavoro di una vita; volevo saperne di più.
Così l’ho cercato, e l’ho seguito il più possibile.
La prima cosa che ho imparato è che il suo teatro si declina solo al plurale, dagli esordi con Laboratorio Teatro Settimo, addirittura le regie dei primi lavori sono regie collettive. E se qualcosa ho capito del modo in cui lavora Vacis, un mistero per me rimaneva il processo creativo del suo sodale che lo accompagna dalla prima ora, Roberto Tarasco.
Tarasco si occupa di Scenofonia. Volevo saperne di più, e gli ho proposto di fare una chiacchierata assieme, mentre i PEM si preparano alla ripresa di Antigone e i suoi fratelli, che ha debuttato lo scorso anno alle fonderie Limone.
Tarasco è energico, le frasi sempre vitali, ama raccontare, ma prima centra il cuore della questione, senza troppi giri di parole.

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PASOLINACCI E PASOLINI – SERATA CONCLUSIVA DELLA RASSEGNA LUCI SULLE ALBE

C’è un paradosso che chi si accosta al teatro da studioso o da appassionato si trova ad affrontare. Da un lato il fatto teatrale è fragile: si potrebbe dire che muore, non già dopo il parto, ma durante, per mezzo del suo parto, e addirittura perché nasca è necessario il suo dissolversi. Non tollera una storicizzazione perché di sé non lascia che tracce labilissime, poche scie. Eppure, e qui arrivo al paradosso, gli artisti più interessanti sono quelli che non vivono il singolo lavoro come un unicum concluso in sé, che si dissolve, ma come un tassello di un mosaico molto grande che ingloba e si nutre di altri lavori teatrali, di letture, cinema arte e soprattutto esperienze di vita, così che ogni atto artistico logora sempre di più quel confine tra arte e vita, fino a farlo sparire. Anzi col proprio operato mettono l’accento a quella e di congiunzione che diventa copula.
Arte è vita.

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LO SPAZIO DEL TEMPO – TEATRO STABILE DI TORINO

Conferenza stampa stagione 2023/24

Giovedì 8 giugno, presso il Teatro Gobetti, ha avuto luogo la conferenza stampa della nuova stagione del Teatro Stabile. Un titolo come Lo Spazio Del Tempo suggerisce la volontà di riconquista del proprio tempo, ma anche di tenere viva la memoria. In questo senso, il programma vede intrecci tra le tragedie classiche e riletture shakespeariane; la presenza di testi di Cěchov, Goldoni e Pirandello, ma anche drammaturgie contemporanee; e si ricorderanno gli anniversari di Italo Calvino e Giovanni Testori. Oltre ai 55 debutti, troviamo una collaborazione con TorinoDanza e con il Festival Delle Colline Torinesi (trovi l’articolo qui) con Il Terzo Reich di Romeo Castellucci.

Sostenibilità, inclusione e accessibilità sono le parole d’ordine della stagione Lo Spazio Del Tempo.

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