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WHISKEY E SOUBRETTE – SIMONE SCHINOCCA

A pochi passi dal Polo del Novecento, nel piccolo teatro Juvarra, il 12 gennaio 2025 la compagnia Tedacà, dopo una lunga tournée italiana è andata in scena con l’ultima replica di Whiskey e Soubrette, viaggio in quarant’anni di storia tra i quartieri di Torino nella quale risplendono le figure di Isa Bluette, Erminio Macario e Fred Buscaglione.

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La Morte a Venezia – Liv Ferracchiati

Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi

“È scabroso mordere la fragola, è scabroso mordere la vita”

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Liv Ferracchiati è in tournée col suo ultimo spettacolo “La Morte a Venezia”. Questa volta si porta dietro una performer molto brava, Alice Raffaelli, attrice e ballerina ( dal 2015 si affaccia al mondo della prosa grazie alla collaborazione con la compagnia The Baby Walk, continua ad esplorare la scena legata al teatro di parola con Antonio Mingarelli. Nel 2018 è tra le finaliste del premio Ubu, categoria miglior performer under 35…).

Non si tratta di un adattamento teatrale de La morte a Venezia, ma di un percorso scenico liberamente ispirato alla novella di Thomas Mann. Chissà cosa potrebbe pensare …”Was ist das! dopo Luchino Visconti e Benjamin Britten arriva questo giovane regista e mi usa come spezzatino mettendo in scena solo il contorno alla mia novella, e meno male che non si chiama Gustav…”

Il sipario è aperto, tre grandi teloni ricordano i rivestimenti dei gazebo balneri belle epoque: null’altro. Il lavoro inizia con un fade in su una poesia di Josif Aleks. Brodskij “ In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni…” per poi lasciar apparire una foto di una ciotola di fragole. Una voce femminile narrante sibila e vibra il suono delle frrr…in questo mondo di frrr…di …agole. La causa del decesso viene subito messa in evidenza dalla voce narrante, che qui è onnisciente diegetica per tutta la durata del dramma. Il piatto di fragole è l’affordance non nascosta, si sa subito come agirà col personaggio.

Poco dopo sale sul palco Gustav von Aschenbach che viene accompagnato dalla voce narrante sotto un cielo scialbo a Venezia. Prende la videocamera e la punta verso il pubblico fino a zoomare su una ragazza seduta in terza fila, è Tadzio; non la perde di vista fino ad invitarla sul palco, nulla esiste di più erotico che due persone che si vogliono solo tramite lo sguardo. C’è l’incomunicabilità nello spettacolo, anche se la parola fa da padrone in tutta la scena.

La narrazione, le musiche che si dissolvono e s’accompagnano, la danza sono i tre elementi che caratterizzano la performance mentre tutto viene filmato da Gustav che segue la danza di Tadzio, la guarda a distanza ma si avvicina con l’obiettivo di prolungare la vista in maniera epidermica per provare più piacere. Le linee del corpo sono un messaggio sensuale ma anche imbarazzante per lui. La telecamera diventa carne e parla con lei (o lui ). Lo si capisce passo dopo passo che lei vorrebbe essere toccata, magari baciata ma Gustav non vuole, ha paura, sente brividi sulla pelle, vorrebbe toccarla ma si ferma, si blocca per non sentirsi turbato.

Va avanti così la performance, simulando la fine della vita umana secondo Gustav, con un continuo suono in sottofondo che prelude alla morte, senza difese e nudo. Vuole essere così perché Tadzio non parla la sua lingua, non si comprendono nemmeno quando lui si siede sulla poltrona da barbiere. Lei prende la videocamera e zooma sul viso per poi imbiancare la sua faccia dipingendo una lacrima blu sospesa: musica in dissolvenza, sentiamo il rumore del mare in sottofondo e infine in fade out di nuovo apparire sul telone un’altra poesia di Brodskij “Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi la torbida pupilla…”

Thomas Mann scriveva: “nelle parole non dette la solitudine genera la strana ed inquietante bellezza, la poesia, ma anche il contrario: l’assurdo, l’illecito…” Un’amore platonico si traduce in morte assistita. Proprio la morte di Gustav avviene in una città dove il colera avanza, qui preso e metabolizzato dalle fragole. Chi muore è colui che osserva, Aschenbach, e con lui si estingue lo sguardo afono verso Tadzio.

Il primo personaggio è la Danza che fluttua sulla percezione dello sguardo, il secondo personaggio è lo Sguardo dove c’è il guardare e l’essere guardati; poi c’è il terzo personaggio che è la Parola, degnamente interpretata dalla voce di Weronika Młódzik che la fa da padrone a tutta la piece cercando il disorientamento del pubblico ma anche accompagnandolo a danzare lungo il percorso del dramma.

Cito da un’intervista del giornalista Raimondo Montesi del Carlino:

R.M. “E’ davvero solo un rapporto ‘visivo’ quello che si crea tra i personaggi?”

L.F. “I due non si toccano mai. Anzi, non sappiamo neanche se Tadzio si accorge di Von Aschenbach, nel senso che non sappiamo cosa pensa di lui. Il ragazzo tra l’altro parla una lingua sconosciuta a Von Aschenbach, visto che la sua famiglia è polacca. In compenso in scena va il linguaggio del corpo vista la presenza della danzatrice Alice Raffaelli.”

R.M. “Cosa rappresenta nel suo percorso artistico questo spettacolo?”

L.F. “E’ un lavoro diverso dal solito. lo di solito ho a che fare di più con la prosa. ‘La Morte a Venezia’ mi ha coinvolto molto, e mi ha fornito possibilità di scrittura differenti. Nei miei spettacoli precedenti, poi, c’era una forte vena ironica. In questo caso c’è più liricità”.

Ha ragione, la liricità della narrazione continua fino al suo lungo monologo monosillabico per poi morire tra le onde paragonate alle lacrime amare della vita. In effetti nella piece c’è un aspetto performativo dal contenuto drammatico, l’artista ha voluto realizzare una libera interpretazione dell’incomunicabilità dell’essere umano usando come risposta alle sue domande il testimone del processo creativo, ovvero il dramaturg.

Liv Ferracchiati, artista associato del TST, tornerà a Torino ai primi di aggio del 2025 con lo spettacolo Stabat Mater.

Luigi Rinaldi

ispirato a La Morte a Venezia di Thomas Mann
drammaturgia e regia Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti, Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono Spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
Spoleto Festival Dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile Dell’Umbria
Fondazione Teatro Di Napoli
Teatro Bellini
In collaborazione con
Fondazione Piccolo Teatro Di MilanoTeatro D’Europa

LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

Al Teatro Carignano è andato in scena lo spettacolo La Locandiera, con Sonia Bergamasco, regia di Antonio Latella.

Lo spazio della scena, pur occupato da una scenografia fissa, rende l’idea della locanda in tutte le sue declinazioni: luogo d’incontro e conversazione ma anche di ristoro ed intimità.

In alto sono posti dei neon, e la sensazione è quasi di trovarsi in un laboratorio. Lo spettatore è forse chiamato ad osservare un esperimento.

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STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

Nel 1973, a Wuppertal, in Germania, nasce il Tanztheater Wuppertal. Il nome della compagnia, che include il termine “Tanztheater” (in italiano “teatrodanza”), è stato fondato da un gruppo di coreografi, tra cui spicca il nome più noto di Pina Bausch. Il termine indica progetti artistici che si differenziano dalla danza classica e moderna, includendo elementi recitativi teatrali e con l’intenzione di produrre opere con precise finalità drammaturgiche. Oltre alla percezione corporea che il danzatore dovrebbe acquisire fin dai primi tempi, Pina Bausch richiede ai membri della compagnia un’interpretazione personale del movimento, sostenuta dalla contrapposizione tra fragilità e forza. In questo luogo di ricerca artistica, nel 1986, Julie Anne Stanzak, danzatrice di danza accademica, partecipa a un provino con la compagnia che le permetterà di lavorare con Pina Bausch in modo permanente, partecipando alle opere più note e continuando a lavorare con la compagnia ancora oggi.

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UNA COSA ENORME – FABIANA IACOZZILLI

Nel profondo silenzio amniotico

In una fresca serata di fine novembre il palco dell’Off topic s’irradia di fasci di luce caravaggeschi; riecheggia il suono del silenzio, punteggiato da rumori di vita quotidiana e sentimenti sinceri.
Cinquanta minuti di puro teatro fisico ripulito dalla parola, tuttavia mai stonata nei suoi sporadici interventi, vengono sostenuti da una prova d’attore eccezionale. Lo spettatore è agganciato alla scena in continua attesa di quel che accadrà, coinvolto in un flusso continuo di occasioni per riflettere.
Fabiana Iacozzilli dipinge delle vere e proprie immagini in movimento animate da Marta Meneghetti e Roberto Montosi, due interpreti trasparenti e luminosi che si consegnano al pubblico con onestà. È a partire dalla stessa carne dei performer che scaturisce un’emotività mai sovradimensionata, in una lucida operazione di cruda realtà.
Al contrario l’allestimento metonimico ingigantisce ed enfatizza alcuni elementi della scenografia, rendendoli nella loro sproporzione portatori di un forte significante.
Così, a una dimensione genuina e sensistica della recitazione si contrappone una messa in scena iperbolica e icastica.

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ZELDA. VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Un letto. In esso si esaurisce il trattamento scenico (una scenografia metonimica, stando alla definizione di R. Jakobson), che oltre a suggerire l’ambiente si pone come singolare elemento di gioco: quello che dentro l’universo rappresentativo è avvertito come costrizione, da un punto di vista recitativo incentiva un minuzioso lavoro attoriale. Dalla staticità del corpo, Giorgia Cerruti libera una tempra fervida e trepidante che, grazie a una dimestichezza del mestiere teatrale ormai consolidata, riesce a dosare e incanalare senza perderne il controllo.

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IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA

È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.

Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.

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GLI ANNI – MARCO D’AGOSTIN – MARTA CIAPPINA

E’ andato in scena il 15 novembre, a Racconigi al teatro SOMS insieme al Progetto Cantoregi, lo spettacolo di Marco D’Agostin con Marta Ciappina. Uno spettacolo che nel 2023 vince due premi UBU come migliore spettacolo di danza dell’anno e miglior performer. Il coreografo D’Agostin costruisce per la Ciappina un assolo che ci accompagna in un viaggio nella memoria, con l’evocazione di frammenti di vita della stessa artista e che in qualche modo appartengono ad un passato comune.

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TABULA RASA – DORIANA CREMA

La luce e il corpo

È contenuta in questa tabula rasa la sintesi degli ultimi trent’anni di lavoro di Doriana Crema. Qui viene scritta un’estetica primitiva dello spazio e l’artista lo fa dialogando con la luce ideata dall’autore luci Gianni Staropoli . C’è il buio, la feroce notte, il raggio che disegna forme sagomate, c’è il dentro e il fuori, c’è l’esterno con i suoi suoni di traffico automobilistico e di aeroplani che attraversano il cielo, che si mescola all’interno.

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LA NOTTE – PIPPO DELBONO

Due punti di vista per uno stesso spettacolo a cura di Bianca Ferretti e Gabriele Corbo

La notte di Pippo Delbono alla Fondazione Merz è per lo spettatore una camminata lenta e inquieta in un corridoio pieno di quadri. 
Pochi e semplici ‘colori’ ne costituiscono la tavolozza: due sedie, una chitarra elettrica, un microfono su asta, un leggio e un plico di fogli destinati a spargersi a terra, intorno all’attore, come fossero pezzi di Storia lasciati cadere nell’oblio.

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