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ALEARGA: la donna che corre

Corri. Corri per mantenerti in forma, per rilassarti, per il puro piacere di praticare uno sport. Ma correre significa solo questo? Non di certo per la protagonista di Alearga (che appunto significa “Corri!”), una giovane donna la cui età non ci viene mai svelata ma che si presuppone sia attorno ai trent’anni. Lei corre perché vede il tempo fuggire troppo velocemente portando via con sé la sua giovinezza. Corre quando sente che la vita le sta mettendo davanti sfide difficili da superare. Corre quando le sembra di essere inadatta alla figura di donna perfetta che la società vuole. Corre, ma nello stesso tempo riflette in solitudine sulle sue esperienze passate, sulle delusioni e i suoi cambiamenti.

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Geppetto e Geppetto: biologia o sentimento?

 “Toni perché abbiamo desiderato così tanto avere dei figli, forse per paura di rimanere soli?”

“No Franca, no, i figli non si fanno per questo!”

Anche io – seppur nella condizione di  figlia e non ancora di genitore- confesso di essermi chiesta parecchie volte quale senso abbiamo noi figli per i nostri genitori e che senso ci sia nel desiderarci a tutti i costi. Avere figli  può essere emozionante,  talvolta può essere controproducente; il rapporto genitore-figlio non è sempre roseo, ci possono essere difficoltà economiche, ideologiche e pratiche, eppure sono sicura che qualsiasi madre sacrificherebbe la propria vita per quella del  figlio, senza esitazione!

Mi sono interrogata sulla tanto discussa “stepchild adoption” e se essa nasca  da un reale desiderio  d’amore o se, in fondo, non sia  un pretesto per affermare il proprio orgoglio omosessuale e i propri diritti in un paese, sotto molti aspetti, ancora ben poco al passo coi tempi. Il regista Tindaro Granata mi ha fatto capire,  pragmaticamente, che non c’è alcun senso, in realtà, nell’essere genitore e nell’essere figlio, esattamente come nell’amore: quando si ama qualcuno, lo si ama e basta, e si ama con esso la follia, il desiderio e le difficoltà che comporta. E così  succede nel rapporto tra genitori e figli.

GEPPETTO

Con una scrittura empatica e aderente alla realtà, Granata  porta in scena – in  prima nazionale alla XXI edizione del Festival delle Colline Torinesi –  Geppetto e Geppetto, la storia di Toni e Luca, due  uomini che si amano, e che sono disposti ad andare contro tutti e contro tutto per avere il figlio che tanto desiderano. Dopo qualche esitazione, partiranno  per il Canada, dove ricorreranno all’inseminazione artificiale tramite una “gravidanza per altri” (pratica  vietata nel nostro paese). Dopo il ritorno in Italia e un lutto imprevisto, il figlio Matteo dovrà fare i conti con la difficoltà che il crescere comporta; mentre Luca farà i conti con il rapporto travagliato che ha con il figlio, rapporto che,  solo nel  finale commovente,  troverà un suo positivo modo di esprimersi.

Una vicenda, quella di Geppetto e Geppetto che,  a partire dalla    favola di Collodi, cita un celeberrimo padre  single, Geppetto appunto. Come ha spiegato, Granata non si schiera né “pro” né “contro” la questione, ma  racconta  la “semplice” storia di un papà che vuole fare unicamente il papà e di un figlio che vuole fare il figlio… “Se solo ci fosse  più amore” ripete spesso ironicamente Luca, interpretato dallo stesso Granata,  ci sarebbero meno problemi!

Estremamente attuale è dunque il tema dello spettacolo che richiama la  legge Cirinnà (tanto criticata da una parte, tanto attesa dall’altra) su unioni civili e convivenze, legge infine approvata  dopo un lungo iter.

“Ho rubato pensieri e ignoranza dalle persone; ho rubato loro paura, dolcezza, rabbia, intolleranza, odio e amore. Ho annotato sulla linea ferroviaria Cosenza- Milano Centrale punti di vista e luoghi comuni” spiega Granata , “così sono salito sui tram, ho incontrato persone, mi sono finto un giornalista per raccogliere riflessioni di madri e di donne spaventate da questa tecnica che prevede un utero in affitto”. Esempi lampanti sono infatti la figura di Franca (Alessia Bellotto), l’amica di famiglia e la maestra elementare di Matteo (Lucia Rea per la prima volta sul palcoscenico).

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Efficace, nella sua semplicità,  la scenografia: un tavolo al centro della scena e  sedie lungo i lati del palcoscenico. I costumi sono  magliette nere con dei nomi attaccati, che via via si staccheranno durante i 90 minuti dello spettacolo, perché la volontà della regia è quella di dare voce a personaggi, focalizzando  l’attenzione sul dinamismo delle situazioni più che sulla realtà statica dei caratteri.  Non manca poi un’attenta riflessione sui  diversi tipi di famiglia di oggi. Granata  ne mette a confronto tre. Quella cosiddetta normale di Walter, caro amico di Matteo, preoccupata unicamente dell’agognato “posto fisso” in azienda, scordando così le reali attitudini del figlio; quella a stampo “matriarcale” di Lucia, alla quale è mancato un padre, e quella “strana”, forse la più invidiata, e forse la più bella nonostante i problemi, di Matteo Luca e Toni.

Quest’ultima si scontrerà con la madre di Toni (Roberta Rosignoli) che metterà in discussione il rapporto con il figlio poiché totalmente contraria al modo in cui dovrà nascere Matteo: “Non è che uno può pensare una cosa e poi la fa! I figli sono una cosa seria…siamo animali che amano”.

A fare da “intermezzo musicale” allo spettacolo ci sono frammenti registrati durante il Family Day del 30 gennaio scorso, che riportando voci distoniche e opinioni dei manifestanti, voci  che paiono aggredire la platea!

Per concludere, sono stati invitati a raccontare la propria esperienza, due “Geppetti” in carne ed ossa: Francesco e Piero, due uomini che, come Toni e Luca, si amano e che stanno lottando  per avere un figlio, ben consapevoli delle difficoltà di crescerlo. I figli sono una cosa seria e i genitori lo sono altrettanto per la nostra identità di figli; quando si parla di avere due padri o due madri, di affittare un utero, non so dove stia la ragione, cosa sia davvero giusto e cosa sbagliato, ma forse dovremmo togliere a questa questione un po’ di biologia e metterci un po’ più di sentimento: in fondo anche un nonno, una nonna, un amico, un cane o gatto possono essere la nostra famiglia. Tutti sbagliano, tutti amano, tutti odiano e tutti hanno diritto ad avere diritti. Se  poi a far da mamma è un padre e far da padre è una mamma forse poco importa, no?

 

Martina Di Nolfo

 

Geppetto e Geppetto

Scritto e diretto da Tindaro Granata

Con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli.

Coproduzione: Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res.

Regista assistente: Francesca Porrini

Allestimento: Margherita Baldoni

Luci e suono: Cristiano Camerotti

Movimento di scena: Micaela Sapienza

Rising. Danzando verso il Cosmo

Danzatore anglo-indiano di Kathak e Bharata Natyam, due danze tradizionali dell’India, Aakash Odedra è stato ospite della Lavanderia a Vapore di Collegno il 18 aprile. Lo spettacolo si compone di quattro assoli che, certamente, possono avere vita autonoma sulla scena, ma allo stesso tempo accompagnano lo spettatore in un percorso che trae origine dalla Madre Terra, percossa con i piedi, passa attraverso una dimensione animalesca a tratti felina, giunge a una sfuggente
dimensione umana per approdare, infine, alle più alte sfere del Cosmo. Continua la lettura di Rising. Danzando verso il Cosmo

La donna serpente

Dalla buca d’orchestra si sgranchiscono i violini, si scaldano le corde delle viole. A poco a poco si risvegliano tutti gli strumenti in un tocco di bacchetta. Sale in platea uno sciame di note irrequiete e d’un tratto un cono di luce illumina i volti di ballerini che compaiono poco per volta. Lo sfondo scenografico è discreto ed essenziale composto da soli elementi geometrici, neutri, che permettono di far risaltare pienamente gli attori in scena. Inizia un racconto animato da creature fantastiche, la fiaba dell’immortale fata Miranda e del suo amore per il mortale Altidòr, re di Téflis. È la lotta tra un sentimento sconfinato e il volere dell’autorità paterna, sviluppati in un gioco di voci, in un dialogo tra un soprano e un baritono, tra i toni leggeri dei flauti e quelli cavernosi delle percussioni a caratterizzare l’opera di Alfredo Casella.

La regia dello spettacolo è affidata all’attore e regista Arturo Cirillo, che lavora su La Donna Serpente sottolineandone il velo leggero di crudeltà che ne attraversa le righe, in cui i protagonisti si vedono obbligati ad un cammino di purificazione attraverso il dolore. Anche qui, come in ogni fiaba, è presente lo scontro tra il male e bene, incarnati rispettivamente in Demogorgone (padre di Miranda) e Miranda, che viene rappresentato attraverso mutamenti scenici inaspettati, alternanze improvvise di luci e ombre, intermezzi comici, accadimenti tragici e magici, nel trionfo della massima potenzialità espressiva.

È un movimento altalenante tra eroicità e debolezza spettaccolarizzate, nel sottile confine tra amore e maledizione che si sfidano in una prova iniziatica: una prova d’inganni, viene ordita da Demogorgone per Altidòr, ignaro della propria responsabilità verso il destino della sua sposa. Inevitabile è il passaggio attraverso il dolore, cantato e danzato nella costante moderazione, rifuggendo gli eccessi dei toni melodrammatici. La metamorfosi è il punto centrale dell’opera inscenata con maestria nell’alternanza di canto e ballo: con il corpo squamato e la lingua biforcuta, la donna canta la sua triste sorte accasciata in un angolo, assorta nei suoi aspri dolori, mentre una ballerina ne sottolinea, con il corpo contorto, la disperazione.

Il racconto, che inizialmente si sviluppa con un ritmo lento e poco coinvolgente, e con l’orchestra che pare non essere ancora decisa al decollo, continuerà con più scioltezza e fluidità fino al terzo atto. È una rappresentazione che si mantiene viva anche se talvolta tende a perdersi in una leggera prolissità portando a volte il pubblico a distrarsi.

Si agitano gli archi, una cascata di campanellini accompagna le voci femminili del coro in festa; l’attenzione degli spettatori viene ricuperata abilmente con un ultimo lazzo di personaggi comici, un botta e risposta tra cantanti e orchestra: trionfa la gloria nel banchetto in onore del Re e della Regina. Gloria a Miranda e Altidòr, gloria ai loro spiriti innamorati. Il palco brulica di voci sprigionando emozioni che invadono il pubblico, tutti i personaggi entrano in scena per festeggiare gli innamorati stretti nei loro abbracci e circondati dall’eco “Tutto è vano ciò che amor non è.”

Teatro Regio, Giovedì 14 Aprile 2016 – Domenica 24 Aprile 2016

LA DONNA SERPENTE di Alfredo Casella Opera fiaba in un prologo, tre atti e sette quadri. Musica di Alfredo Casella.

Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Fattoria Vittadini

Nuovo allestimento
in coproduzione con Festival della Valle d’Itria

Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”

La quinta puntata de “I Tre Moschettieri”, esperimento di “teatro a puntate” prodotto dalla fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa) in scena al teatro Astra e diretta da Andrea Baracco sul testo riscritto da Ghigo de Chiara, soddisfa le aspettative e la curiosità destate.

Ormai la vicenda di D’Artagnan e dei suoi fedeli compagni Athos, Porthos e Aramis è già avviata, ma Continua la lettura di Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”

Clitennestra: il riscatto di una donna e la lotta contro la civiltà decaduta

Martedì 1 marzo e per le cinque serate a seguire, il Teatro Carignano ha ospitato sul suo palcoscenico lo spettacolo Clitennestra, una produzione del Teatro Biondo Stabile di Palermo. Scritto e diretto da Vincenzo Pirrotta, la rappresentazione ha presentato un cast totalmente al femminile: infatti, accanto all’interpretazione di Anna Bonaiuto nel ruolo del personaggio principale (Clitennestra), abbiamo avuto Odette Piscitelli (Oreste), Giulia Andò (Elettra), Roberta Caronia (Corifea) e Cinzia Maccagnano (Corifea), Elisa Lucarelli (Sacerdotessa), Lucia Portale (Coreuta) e Yvonne Guglielmino (Coreuta).

Dopo un lungo sonno durato tremila anni, Clitennestra si risveglia con un unico scopo: spiegare le motivazioni che l’hanno portata a macchiarsi dei noti scempi e riscattare così la propria dignità. Ma a stento riesce a riconoscere la sua Micene, tutto è cambiato, siamo infatti in un mondo immaginario collocato in un futuro impreciso. Continua la lettura di Clitennestra: il riscatto di una donna e la lotta contro la civiltà decaduta

I tre moschettieri al teatro Astra: la rivoluzione in scena.

Il debutto de “I tre moschettieri” è stato un gran successo, la seconda puntata è stata accolta magnificamente sia dal pubblico sia dalla critica; non si poteva mancare all’appuntamento del 13 febbraio per il terzo capitolo di quest’avventura. Chi come me non ha potuto assistere agli spettacoli precedenti non deve preoccuparsi: all’inizio della puntata viene fatto un riassunto di quanto è successo in precedenza e durante lo spettacolo gli attori fanno liberamente riferimento “alla puntata precedente” suscitando le risate dei presenti. Le aspettative erano grandi certo, ma sono state superate ampiamente. Una folata di vento che ha spazzato via tutte le mie credenze e i luoghi comuni sul teatro.

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I Tre Moschettieri: terza puntata

I Tre Moschettieri

Spettacolo coinvolgente e avvincente quello dei Tre Moschettieri tenutosi lo scorso martedì 8 marzo al teatro Astra, in cui è stata messa in scena la terza delle otto puntate dell’opera teatrale che riprende il romanzo di Alexandre Dumas, dirette da 8 diversi registi di spicco (Beppe Navello, Gigi Proietti, Piero Maccarinelli,
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I tre moschettieri: seconda puntata

di Matteo Tamborrino

Il secondo appuntamento con il serial teatrale del TPE è andato in scena dal 27 febbraio al 4 marzo sul “palco stravolto” del Teatro Astra di Torino, per la regia del proteiforme istrione Gigi Proietti.


Foto di scena:
Foto di scena: Luca Terracciano e Maria Alberta Navello

«D’Artagnan e i suoi nuovi amici – così recita il programma di sala (e così reciterà all’inizio della terza puntata anche Lia Tomatis nei panni di una seicentesca Annunciatrice/Popolana) – banchettano e festeggiano con i soldi ricevuti dal Re per il loro coraggio. Un bel giorno Bonacieux, padrone di casa di D’Artagnan, va a trovare il giovane e gli chiede di ritrovare sua moglie Costanza, guardarobiera della Regina, misteriosamente sparita. D’Artagnan gli promette aiuto ma poco dopo lo abbandona nelle grinfie delle Guardie del Cardinale venute ad arrestarlo perché sospetto complice nella sparizione della moglie. D’Artagnan finge collaborazione con i questurini per poter continuare a cercare Costanza che infatti, di lì a poco, ritorna in segreto a casa Bonacieux, rischiando pure lei l’arresto. Ma D’Artagnan la salva mettendo questa volta in fuga le guardie del Cardinale. Perché Costanza è sparita? Il suo segreto ha a che fare con l’arrivo clandestino del Duca di Buckingham, ministro d’Inghilterra, innamorato della Regina? D’Artagnan a sua volta si innamora di Costanza e per lei si ritrova invischiato nei misteriosi intrighi di corte: la Regina, Buckingham, il Cardinale che li vuole svergognare, il Re sospettoso e incollerito, Milady e il misterioso sfregiato, sicuramente due agenti del cardinale».

Una puntata ricca di intrecci e fulcri, dunque, anche se a dominare la scena – per l’intera durata dello spettacolo – è il giovane e abile Luca Terracciano/D’Artagnan, dallo stile fresco e ironico: si muove fluidamente in scena (sempre che di scena tradizionale si possa parlare), coinvolgendo il pubblico, anche solo con sguardi, ammiccamenti e caratteristiche risate, così come i suoi colleghi moschettieri Alberto Onofrietti/Athos, Diego Casalis/Porthos e Matteo Romoli/Aramis. Ad acuire questo senso di inglobamento dello spettatore è sicuramente la disposizione scenografica, che produce interessanti effetti prossemici. Il pubblico si sistema ai lati di una scena centrale (una sorta di lungo corridoio che collega le facciate di due palazzi dirimpettai), su una cascata di gradoni. La scenografia è curata e metonimica: un tavolo per un’abitazione, una vasca d’oro per il Louvre. L’atmosfera sembra fondere rievocazione storica (soprattutto nei mirabili costumi) e comicità dai toni amabilmente kitsch.

Certo questo connubio così particolare è ricercato coscientemente dal regista stesso, che trasforma questa puntata del romanzo in un vaudeville fumettistico, ricco di brevi monologhi a mo’ di didascalia e misuratamente ridanciano, complici anche le battute napoletane di Fabrizio Martorelli/Bonacieux e quelle spagnole della simpatica Maria José Revert/Dama Estefania, nonché gli interventi del dipartito padre Sergio Troiano, spesso in vesti femminili di domestica. Nell’intervista di presentazione Proietti afferma: «Sicuramente ci sarà dell’ironia, ma senza esagerare». Non si cade mai infatti in uno stile meramente macchiettistico. Tuttavia, i punti deboli non mancano: la messinscena è infatti priva di quella pulizia, di quel labor limae, che si pretende da uno spettacolo presentato come grande kolossal e sostenuto da un’impeccabile campagna pubblicitaria sui social e sul web. Le scene di Riccardo Ripani/Buckingham non funzionano: l’attore – dall’ottima dizione, in perfetto stile Paolo Grassi – manca però dei giusti tempi comici nella scena della spada reintrodotta nel fodero e impreziosita dalla battuta “Un momento!” rivolta a D’Artagnan che chiede ripetutamente il suo perdono. Una sequenza su cui Proietti aveva tanto insistito in prova (forse troppo), ma che non riesce. E così anche il momento musicale “Perché sono Bah-king-ham”.

La ragione di queste fragilità è forse da ricercare nell’estenuante lavoro a cui gli interpreti sono sottoposti: prove mattutine e pomeridiane della puntata successiva e repliche serali della puntata in corso. Quella di Proietti – in prova – si presenta come una regia “verticale”, quasi imitativa: non dà soltanto degli input agli attori, ma delle vere e proprie soluzioni sceniche da riprodurre. Il tempo è troppo poco per lavorare diffusamente con gli interpreti. Questo comunque non toglie che ci siano anche importanti elementi positivi. Ad esempio, la coppia dei reali di Francia: lei – Marcella Favilla/Anna d’Austria – domina (anche grazie al poderoso abito) la scena del dialogo con Buckingham, presenti le dame. La sua parodia melodrammatica – e il movimento ritmato della mascella asburgica – è eccellente. Così anche l’effeminato consorte Luigi XIII, interpretato dal bravissimo Gianluigi Pizzetti, che nonostante il fugacissimo cammeo nel finale, propone una maschera facciale davvero peculiare. E infine, le sapide gags del profumo Tonatto, che si inseriscono armonicamente nel tessuto drammaturgico.

Insomma, un ciclo teatrale, quello dei Moschettieri, che merita di essere seguito, ma che necessita ancora di qualche accorgimento da parte degli interpreti.

I TRE MOSCHETTIERI – II puntata
da Alexandre Dumas
testo Aldo Trionfo
coordinamento drammaturgico Andrea Borini
regia Gigi Proietti
regista assistente Lia Tomatis
con Luca Terracciano, Alberto Onofrietti, Diego Casalis, Matteo Romoli, Sergio Troiano, Maria Alberta Navello, Alessandro Meringolo, Stefano Moretti, Marcella Favilla, Riccardo Ripani, Fabrizio Martorelli, Vincenzo Paterna, Domenico Macrì, Matteo Anselmi, Giacomo Mattia, Marco Intraia, Andrea Romero, Maria Jose’ Revert, Michela Di Martino, Valeria Tardivo, Alessandro Panatteri, Lia Tomatis, Daniela Marcelli
scene e costumi Luigi Perego
con l’assistenza di Luca Filaci
musiche Germano Mazzocchetti
al piano Alessandro Panatteri
coreografie Federica Pozzo
progetto luci Gigi Saccomandi
scenografo collaboratore Francesco Fassone
costumista collaboratrice Augusta Tibaldeschi
allestimento scenografico realizzato in collaborazione con TEATRO REGIO TORINO
collaborazione per la costruzione di elementi di attrezzeria a cura degli studenti del corso di Teatro di figura dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino: Micol Rosso, Branislav Dimov

Un gabbiano quasi… sognato

È stato in scena dal 13 al 16 aprile presso le Fonderie Limone di Moncalieri, penultimo spettacolo del ciclo Progetto Internazionale del Teatro Stabile di Torino : Il Gabbiano di Anton Cechov diretto da Thomas Ostermeier.

Lo spettacolo arriva a Torino, con la sua unica tappa Italiana in una tournée europea. Uno spettacolo nuovo, visionario e attuale, marchio del regista tedesco Ostermeier.
Un lavoro che inizia spiazzando gli spettatori che non appena entrano in sala vedono una scena spoglia, con gli attori seduti ai lati di un palco chiuso che dà verso la platea. L’attore francese, con un italiano non perfetto si rivolge al pubblico, facendoci capire che è inutile che noi siamo lì, dovremmo preoccuparci di quello che sta succedendo nel mondo, che sta accadendo in Siria. Il pubblico, attonito, non capisce se sia o no da copione. Ma lo spettacolo inizia, e le pareti grigie iniziano a prendere forma anche grazie a un disegno che un artista crea sullo sfondo tra una scena e l’altra.

Quello che vediamo è un Gabbiano moderno dove bastano pochi oggetti per creare un palco, un pontile, una stanza… Qui sono importanti le parole, parole spesso interrotte da semi-improvvisazioni che ci riportano alla realtà, al 2016. Straniamenti degli attori che ci attirano molto di più delle stesse parole di Cechov.
Per tutto il corso dello spettacolo subiamo un processo di straniamento, che permette di riflettere sul presente, su come stia cambiando il modo di fare e di scrivere il teatro oggi.  E questo nuovo modo, lo mostra molto bene Konstantin con la rappresentazione del suo spettacolo. Il tema della piccola rappresentazione  è un mondo che non sappiamo se esisterà ancora in futuro, un mondo che non si capisce oggi e che piano piano stiamo distruggendo. A rendere moderno questa forma di metateatro, è soprattutto la costruzione di una figura quasi onirica del personaggio/voce interpretato da Nina, nella piccola, ma molto intensa rappresentazione. Continua la lettura di Un gabbiano quasi… sognato