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Una riga nera al piano di sopra- 28° Festival delle Colline Torinesi

Da sempre il Baobab rappresenta l’albero della forza, dell’imponenza. Le sue grandi chiome, tinte di un verde acceso, urlano speranza e le sue radici si diramano tanto nelle profondità quanto nella larghezza della terra, abbracciandola, stringendola a volte fino a stritolarla, nella paura, forse, di perderla. Una donna stringe tra le braccia un albero, piccolo (per necessità scenica, forse). E’ spoglio, eppure il tronco è forte e imponente, tanto da sembrare un piccolo Baobab. “Cosa fa una donna adulta aggrappata ad un albero, dico sul serio, cosa fa?”. Queste le parole con cui Matilde Vigna esordisce, seduta, col suo albero, su una superficie imbottita coperta da un telo scuro. Sembra appoggiata su una riga, una riga nera. Al Teatro Bellarte di Torino è ospitato il tredicesimo spettacolo del 28 ° Festival delle Colline Torinesi, dal titolo, appunto, Una riga nera al piano di sopra. La sala teatrale accoglie gli spettatori in un’atmosfera calda e familiare, il soffitto è costellato di piccole luci, le quali rendono l’ambiente morbido e romantico, quasi confidenziale; il pubblico sembra mescolarsi perfettamente con lo spazio teatrale in cui si svolgerà lo spettacolo. Una performance emozionante, coinvolgente, stravolgente e travolgente, come l’acqua, protagonista del monologo scritto da Greta Cappelletti. 14 Novembre 1951, autunno, gli argini del Po cedono a seguito di un’alluvione, avviene quella che verrà ricordata come l’alluvione del Polesine, che verrà ricordata come “la peggior tragedia del dopoguerra”: ettari di terra sommersa, centinaia di vittime, dispersi ma soprattutto migliaia di sfollati, la vita di una donna costretta a scegliere quali ricordi, tra quelli rimasti, portare con lei. Una vita di sacrifici, dolori ma anche gioie e memorie di cui ormai non resta altro che acqua. L’acqua scorre, stravolge e travolge, affoga e annega sogni e speranze, in una coltre di fango che macchia pareti e muri, segnandoli per sempre, come fossero cicatrici. Piove, autunno 2023, una giovane donna adulta di trent’anni è costretta a scegliere quali ricordi, tra quelli rimasti, portare con lei nella cosiddetta “valigia dell’addio” e non nella “valigia dell’arrivederci”. C’è una grande differenza, nella seconda infatti si sceglie solo ciò che è necessario per un breve arco di tempo, mentre nella prima, si deve scegliere ciò che è necessario per sempre, senza voltarsi indietro, nemmeno per salutare il passato. Lacrime, come gocce di pioggia lavano via ogni cosa e bagnano, inzuppando ogni tessuto, sia esso fatto di carne oppure no. Questo spettacolo è un viaggio, tutto scorre inesorabile, il tempo, i treni alla stazione, l’acqua, la perfetta metafora della vita, di un cambiamento irreversibile e radicale che porta ognuno di noi ad empatizzare profondamente con Matilde Vigna, vittima dei suoi trent’anni come ognuno di noi lo è della sua età. Lo stato dell’acqua muta in una nebbia reale, si espande nella scenografia ed abbraccia ogni cosa gli si ponga davanti, fino a coprire quasi completamente i piedi del pubblico, le nostre radici ad un certo punto scompaiono. Il progetto sonoro di Alessio Foglia e il disegno luci di Alice Colla e Andrea Sanson, oltre a tutto l’accurato lavoro tecnico, sono complici del magico intreccio tra presente e passato di cui siamo spettatori e protagonisti, dispersi, sfollati ma anche amici, di quella ragazza che muove sul palco corpo e coscienza. Un attimo ho le caviglie bagnate e l’altro sto prendendo un tè, a casa di un’amica, la stessa che ha fatto in frantumi il vetro della quarta parete, facendoci entrare nella sua vita, percorrendo una riga nera.

Rossella Cutaia

di e con

Matilde Vigna

aiuto regia

Anna Zanetti

dramaturg

Greta Cappelletti

progetto sonoro

Alessio Foglia

disegno luci

Alice Colla

costumi

Lucia Menegazzo

disegno luci

Andrea Sanson

voce registrata

Marco Sgarbi

direttore tecnico

Massimo Gianaroli

fonico

Manuela Alabastro

elettricista

Sergio Taddei

oggetto di scena realizzato nel

Laboratorio di ERT

scenografa decoratrice

Ludovica Sitti

produzione

ERT Emilia Romagna Teatro / Teatro Nazionale

foto di scena e ritratti

Mario Zanaria

si ringraziano

Bruno De Franceschi, Massimo Vigna, Anna Paola Fioravanti, Adriana Malaspina, Luciano Trambaiolli e tutti coloro che  hanno raccontato la loro storia

PASSAGE – CONVERSAZIONE CON ALCUNI POSTERI

L’aria a Berlino era diventata irrespirabile.

Parole che risuonano senza una chiara provenienza all’interno delle cuffie bluetooth distribuite al pubblico, mentre quest’ultimo, sotto il portico di Palazzo Carignano, si guarda intorno alla ricerca della bocca che le ha pronunciate. Poi, dopo un breve giro di sguardi da una parte all’altra, l’attenzione si volge oltre le colonne, verso piazza Carlo Alberto. Poco distante, su una panchina, ecco la fonte della voce: un uomo in giacca e cravatta con una valigetta nera posatagli di fianco. Siede da solo e parla, lo sguardo fisso a terra, mentre la gente seduta sulle panchine lì accanto lo ignora o gli volge qualche occhiata incuriosita. Chi è quest’uomo? Al giudizio dei passanti che lo guardano distrattamente potrebbe benissimo sembrare un pazzo che parla da solo, non molto dissimile da certi altri personaggi peculiari che quotidianamente si lasciano intravedere in giro per il centro di Torino. Noi, però, sappiamo non trattarsi di un pazzo, bensì di un profugo: Walter Benjamin.

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NON SIETE STATI ANCORA SCONFITTI

Tra giovani alberi di ulivo e silenzio, in un museo contemporaneo e suggestivo, Massimiliano Speziani inizia a leggere.

Una protesta, una cella, suo figlio appena nato, un viaggio in Palestina, giustizia e dignità, sono i temi centrali della lettura della pubblicazione di Alaa Abd el-Fattah, in questo spettacolo a cura di Sergio Ariotti, voce narrante, con la partecipazione di Massimiliano Speziani, voce di Alaa.

Condannato a cinque anni di reclusione con l’accusa di divulgazione di notizie false online, Alaa Abd el-Fattah inizia nel carcere di Tora una lunga lotta per quei diritti che sembrano essere ancora lontani in quest’epoca veloce e progressiva. Lo sciopero della fame, durato sette mesi, è uno degli urli di protesta più struggenti contro le ingiustizie dei detenuti politici egiziani. Rivalsa, ragione ma soprattutto l’amore per suo figlio, spingono Alaa a continuare con determinazione la sua lotta per la libertà e la verità, tra processi, libertà vigilata, celle e sommosse.

La storia così irrequieta e attuale dello scrittore e blogger egiziano, comincia lungo una discesa di fogli di carta stropicciati, vuoti e stesi per terra. Una similitudine così delicata che ci avvolge in quella che sarà la vita del protagonista nei prossimi anni, oltre a essere scenografia efficace che accompagna tutto lo spettacolo. La piccola sala, infatti, è arredata da pagine bianche adagiate sui muri e da immagini di acqua di mare tra l’Egitto e la Palestina, proiettate sulla parete di fronte al pubblico. Basta il tocco di Speziani per animarle e coinvolgere lo spettatore e farlo andare oltre quella parete.

Tante sono le domande che ci poniamo di fronte alle ingiustizie di questo racconto. Perché ancora oggi esistono processi per motivi politici? Perché un padre non può assistere alla nascita di suo figlio? Perché così tanti giudici si schierano contro una protesta invece di insistere per i diritti di tutti? E, oggi più che mai, la lettura scenica di Speziani è un buon trampolino per portare lo spettatore a riflettere su quanta strada ci sia ancora da percorrere per assicurare a tutti quei diritti, a volte ancora troppo sottovalutati.

I diritti umani.

Rebecca Trio

Lettura scenica di Massimiliano Speziani dal libro omonimo di Alaa Abd el-Fattah

Adattamento e cura di Sergio Ariotti

Immagini FRANA Smashing Videos

Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria – Festival delle Colline Torinesi – Fondazione Merz

Hopefulmonster editore