“Un teatro semplice, ma mai banale, popolare, ma non commerciale…che ha il solo scopo di generare umanità […]”.
Così si presenta la compagnia Carrozzeria Orfeosul suo sito internet ed è proprio ciò che ha mostrato al suo pubblico il 9 febbraio 2020 con l’ultima replica al Teatro Gobetti di “Thanks for vaselina”, dopo il successo ottenuto con “Cous Cous Klan”, in un percorso che prosegue con “Animali da bar”.
C’era una volta una metropoli. Dentro la metropoli un
quartiere. Dentro al quartiere, il bar.
Vincitore del Premio Hystrio Twister 2016, Animali da bar
giunge in tournèe anche a Torino al Teatro Gobetti. Scritto da Gabriele Di
Luca, la compagnia Carrozzeria Orfeo chiude con questo spettacolo la trilogia
inaugurata con Cous Cous Klan e Thank for Vaselina.
All’inizio vi è solo un flebile ticchettio; alla fine, il suono sincopato di una banda di paese. Nel mezzo, la storia del giovane Arturo, figlio settimino della prostituta Lucia, nato a seguito delle botte con cui l’uomo che l’aveva messa incinta ha ucciso sua madre, e che le amiche-sodali Bettina, Anna e Nuzza hanno deciso di accudire e crescere, pur nella miseria di un appartamento desolato, un tugurio che non basterebbe per una persona, dove per sopravvivere devono vendere il loro corpo alle fameliche voglie degli uomini di passaggio.
Il ticchettio è quello dei ferri da maglia: le tre donne sferruzzano, con Arturo (il bravissimo Simone Zambelli), affetto da un ritardo mentale dovuto alla sua nascita traumatica, che dondola a quel ritmo, poi si alza, danza, sublimando con il movimento sinuoso del corpo, la malattia, in uno stupore incantato che non ha bisogno di parole. E’ naturale pensare quelle donne come le tre Moire, le filatrici cui anche gli déi dovevano sottostare, che filano la vita, la misurano e, infine, ne decidono la lunghezza: e quello cui stiamo per assistere è il momento del taglio, della separazione, ma non è la morte ciò che attende Arturo, nel teatro di Emma Dante tutto si fa continua metamorfosi e trasformazione e la separazione che le tre donne hanno architettato da Arturo non è un abbandono, una fine, un lutto, piuttosto un’alba che miracolosamente disperde in colori delicati una notte nerissima.
Fedeli d’amore – Marco Martinelli/Ermanna Montanari
Al Teatro Astra è appena andato in scena Fedeli d’Amore, un “polittico in sette quadri” con la regia di Marco Martinelli e co-regia e interpretazione di Ermanna Montanari. Il polittico fa parte di un lavoro triennale dei due fondatori del Teatro delle Albe sul poeta de La Comedìa, che si concluderà nel 2021 con “Paradiso” – anno del settimo centenario della sua morte -.
In una fredda e nebbiosa alba ravennate del 1321, Dante Alighieri, in preda ad una febbre malarica, è assalito da visioni deliranti, sospeso fra la vita e la morte, fra l’inizio di una fine e una fine che non è una fine.
Elias Canetti racconta che l’idea originale di questo suo testo teatrale – quasi un unicum nella sua produzione, più nota per il romanzo Autodafé e, soprattutto, per l’imponente e fondamentale saggio Massa e potere – ovvero quella di un bando esteso a tutti di non potersi specchiare, di privarsi della propria o altrui immagine riflessa o fotografata, è nata come idea giocosa nel tedio ambiguo e per certi versi imbarazzante del guardarsi allo specchio dal parrucchiere, ma che fu solo il cortocircuito con la realtà dell’inizio del regime nazista, che produceva ordini e imposizioni aberranti, come il rogo dei libri, e che vedeva tali ordini eseguiti con ottuso fervore, a dare a Canetti l’intuizione finale di scrivere questo testo.
Claudio Longhi, in questo quarto pannello di scavo sull’identità europea dopo La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht, Il ratto d’Europa e Istruzioni per non morire in pace di Paolo Di Paolo, affronta il difficile e complesso testo canettiano organizzando una sinfonia in tre tempi basato su di uno spazio circense, come il monologo iniziale del banditore Wenzel Wondrak poteva suggerire, e dove i numerosi personaggi si aggirano come marionette stilizzate e oppresse da un potere invisibile ma onnipresente, che ha lanciato il divieto assoluto di specchiarsi o di vedersi in immagine fotografiche. Accompagnati da Fausto Russo Alesi che sovente si fa una sorta di guida-burattinaio dello spettacolo, recitando le didascalie del testo, informandoci dei luoghi e dei personaggi che appena dopo appaiono e così uscendo e straniandosi dai tre personaggi che interpreta, l’imballatore Barloch – uomo grezzo e popolano – Heinrich Föhn e Josef Garaus, emblemi, come spiega Longhi stesso nel libretto introduttivo, il primo di una versione degenere del superuomo nietzschiano e il secondo della frustrazione del potere, assistiamo nel primo movimento alla gioiosa e carnevalesca adesione al bando, dove tutti i personaggi, agghindati da abiti appariscenti o grotteschi, spesso deformanti le figure, portano al rogo le fotografie, che diventano quasi una moneta di scambio per potervi partecipare con più zelo. La successione di questi personaggi (dall’insegnante alle tre amiche fino alle sei ragazzine in abito color pastello) rammenta lo svolgimento a “numeri” dei varietà e dei circo, una sorta di variazione su di un unico tema, dove la regia spinge sul pedale del grottesco per una società che pare ballare inconsapevolmente sull’orlo di un abisso – o, forse, più propriamente con l’ambientazione dello spettacolo come acrobati che non sanno di non avere reti di sicurezza sotto di sé.
Prosegue la serie di incontri Fuori Foyer. Dialoghi oltre il teatro, organizzati e promossi dall’associazione culturale Pratici e Vaporosi, che ha sede nel cuore di San Salvario, in via Donizetti 13. Questi incontri, come i contenuti extra dei DVD fanno con i film, offrono occasioni di approfondimento, discussione attorno al mondo teatrale che passa per Torino. Il pubblico ha modo di incontrare i protagonisti e gli artigiani del teatro e scambiarsi opinioni, in un’atmosfera intima e informale.
E’ in scena fino al 31 gennaio 2020 presso la Galleria d’Arte Franco Noero, in Piazza Carignano 2, a Torino, per la stagione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE del drammaturgo franco-inglese Gérard Watkins, nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Elena Serra.
Gli attori e i personaggi: Roberto Corradino (Pascal Frontin), Clio Cipolletta (Annie Bardel), Aron Tewelde (Liam Merinol), Annamaria Troisi (Rachida Hammad) e Elena Serra (Agnes Pertuis).
La regista mette in scena la Debolezza, e lo fa affinché lo spettatore arrivi a percepire sia quella dei personaggi che di se stesso.
Il luogo (una sala all’interno della Galleria) e il numero e la disposizione del pubblico (quaranta spettatori seduti in circolo attorno alla scena) sono funzionali alla catarsi personaggi-spettatori.
La storia si svolge in un appartamento di Parigi in cui si incrociano le vicende di due coppie di diverse estrazioni sociali: Liam, ex bullo di periferia in cerca di riscatto, e Rachida che cerca di sfuggire al clima soffocante della sua famiglia; Annie, ragazza madre in cerca di lavoro, e Pascal, fotografo radical chic. Destini paralleli che si incontrano casualmente nelle stanze dell’appartamento – che entrambe le coppie si trovano contemporaneamente a visitare con la “regia” dell’agente immobiliare, interpretata proprio da Elena Serra – e finiscono per combaciare nella spirale di violenza che, via via, trascina i protagonisti nelle profondità del dramma.
Se non vista “di pancia”, attraverso cioè il cliché della violenza di genere e il sottocliché della violenza di genere donna-vittima e uomo-carnefice, la vicenda pone in evidenza l’inesistenza di buoni e cattivi in cui il discorso di genere fortunatamente declina fino ad annullarsi e diventare sfondo per la riflessione sulla Debolezza, sia implicitamente nel corso della narrazione e nella definizione dei personaggi sia, esplicitamente, nel finale in cui Liam, Rachida, Annie e Pascal confessano, singolarmente, i motivi sociali e psicologici dei loro comportamenti che hanno portato all’escalation di violenza.
I cambi di scena tra la vita delle singole coppie sono scanditi dal suono di una campana. A mano a mano che la narrazione e la violenza e brutalità (mai mostrate nel compimento fisico se non attraverso un sapiente e potente utilizzo delle voci fuori scena) avanzano, i personaggi cominciano a condividere la scena, senza mai sfiorarsi, evidenziando così una vicinanza ideale fino al finale in cui dal dramma di coppie si passa alle debolezze di singoli e in cui si «mettono sotto la lente di ingrandimento i processi mentali e comportamentali di vittima e carnefice», secondo le parole del drammaturgo Gérard Watkins, autore del testo.
L’appartamento diventa metaforicamente una gabbia all’interno della quale sia i carnefici sia le vittime finiscono per rimanere schiacciati dagli effetti della loro Debolezza. Watkins costruisce un ingranaggio teatrale millimetrico, riportando i percorsi mentali dei quattro protagonisti.
La regia è concentrata anche sugli aspetti inespressi del testo, ovvero quelli che coinvolgono il ruolo e le reazioni del pubblico, perché se è forse scontato il comportamento delle vittime e dei carnefici lo è assai meno quello dei testimoni. La domanda fondamentale diventa quindi “che cosa faccio io di fronte a tutto questo?” Elena Serra tenta di riconoscere nello spettatore la potenziale risorsa di salvezza, negata però dalla consapevolezza, dello spettatore stesso, che alla fine, il sipario si chiude e che, forse, la salvezza non può che essere racchiusa, essa stessa, nella gabbia della finzione teatrale e, dunque, solamente rappresentata.
Galleria
d’Arte Franco Noero | Piazza Carignano 2 | Torino
20-31
gennaio 2020
Prima
nazionale
SCENE
DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE
di
Gérard
Watkins
traduzione
Monica
Capuani
regia
Elena
Serra
in scena Roberto Corradino, Clio Cipolletta, Aron Tewelde, Annamaria Troisi e Elena Serra
spazio
scenico Jacopo
Valsania |
progetto sonoro Alessio
Foglia
produzioneTeatro
Stabile di Torino – Teatro Nazionale /Teatro di Dioniso /PAV con il
supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – fondazione franco-italiana
di sostegno alla creazione contemporanea nell’ambito di Fabulamundi
Playwriting Europe – Beyond Borders
“Per me felicità è quando da piccolo ti bastava il lungomare di Rimini la sera, in vacanza le due centrali di agosto. Un filo di aria improvvisa ad asciugarti il sudore sul collo, il gelato al puffo e fior di latte in una mano, l’altra mano nella mano di tuo papà e la mamma di fianco a te pronta con i tovagliolini.”
Così inizia lo spettacolo di
Giorgia Goldini, con un flashback, un tuffo nell’infanzia con un semplice
ricordo che alla fine riguarda ciascuno di noi, di quando bastava poco per
essere felici. Poi Giorgia fa un passo in avanti, un rapido cambio di luce, cambia
il tono e si ritorna al presente, alla realtà che, ahimè, non è sempre serena.
Tra manuali della
DeAgostini, l’inganno dei parrucchini da uomo, le “more” che finiscono presto, il
vestito da sposa sporco di fango e molte altre immagini e metafore Giorgia
riesce perfettamente a descrivere cosa è, o meglio cosa non è la felicità, senza
risultare banale e con un linguaggio che arriva al cuore di tutti, grandi e
piccini.
L’abilità dell’attrice di
muoversi nel grande palcoscenico della Sala Grande del Teatro Casa Ragazzi di Torino
e la grande empatia che è riuscita a creare con il pubblico hanno sopperito all’assenza
di qualsiasi tipo di scenografia. Giorgia è infatti completamente sola sulla
scena e anche il suo costume risulta essere molto semplice ( jeans e t-shirt)
ma ciò riflette bene la natura di uno spettacolo legato al “quotidiano” e senza
troppi artifici.
Il testo è indubbiamente comico ma la risata non è fine a sé stessa ma vuole condurre lo spettatore alla riflessione. Tale aspetto è stato confermato anche dallo stesso Stefano Dell’Accio, coautore insieme a Giorgia, in una breve intervista che abbiamo svolto dopo lo spettacolo durante la quale ci ha confermato questo suo intento nel lavoro di scrittura.
Forse non potrà risolvere i vostri dubbi esistenziali sulla felicità ma vi posso assicurare che io – e credo di poter parlare anche per le altre trecento persone (considerando la durata e l’intensità degli applausi) che erano presenti il 25 gennaio al teatro Casa Ragazzi di Torino – sono stata molto felice di assistere a questo spettacolo. Per questo motivo vi invito ad esserci alle prossime date torinesi dell’8 e 9 febbraio in zona Quadrilatero.
La felicità è uno schiaffo
Di Giorgia Goldini e Stefano Dell’Accio Con Giorgia Goldini Luci Agostino Nardella Costumi Francesca Mitolo e teeshare Produzione Teatro della Caduta
“Un uomo ingoiò una farfalla. Non mangiò per una settimana col timore di schiacciarla. Quell’uomo poi accoltellò la sua amante.”
Il caso W , arrivato al teatro Astra di Torino per la Stagione TPE 2019/2020, segna il grande ritorno sulle scene di una delle figure più importanti del panorama del teatro italiano contemporaneo: il Premio Ubu Claudio Morganti.
Con questo nuovo spettacolo Rita Frongia e Morganti tornano a lavorare sul Woyzeck di Buchner, prendendolo come spunto per creare un testo totalmente originale.