“Per me felicità è quando da piccolo ti bastava il lungomare di Rimini la sera, in vacanza le due centrali di agosto. Un filo di aria improvvisa ad asciugarti il sudore sul collo, il gelato al puffo e fior di latte in una mano, l’altra mano nella mano di tuo papà e la mamma di fianco a te pronta con i tovagliolini.”
Così inizia lo spettacolo di
Giorgia Goldini, con un flashback, un tuffo nell’infanzia con un semplice
ricordo che alla fine riguarda ciascuno di noi, di quando bastava poco per
essere felici. Poi Giorgia fa un passo in avanti, un rapido cambio di luce, cambia
il tono e si ritorna al presente, alla realtà che, ahimè, non è sempre serena.
Tra manuali della
DeAgostini, l’inganno dei parrucchini da uomo, le “more” che finiscono presto, il
vestito da sposa sporco di fango e molte altre immagini e metafore Giorgia
riesce perfettamente a descrivere cosa è, o meglio cosa non è la felicità, senza
risultare banale e con un linguaggio che arriva al cuore di tutti, grandi e
piccini.
L’abilità dell’attrice di
muoversi nel grande palcoscenico della Sala Grande del Teatro Casa Ragazzi di Torino
e la grande empatia che è riuscita a creare con il pubblico hanno sopperito all’assenza
di qualsiasi tipo di scenografia. Giorgia è infatti completamente sola sulla
scena e anche il suo costume risulta essere molto semplice ( jeans e t-shirt)
ma ciò riflette bene la natura di uno spettacolo legato al “quotidiano” e senza
troppi artifici.
Il testo è indubbiamente comico ma la risata non è fine a sé stessa ma vuole condurre lo spettatore alla riflessione. Tale aspetto è stato confermato anche dallo stesso Stefano Dell’Accio, coautore insieme a Giorgia, in una breve intervista che abbiamo svolto dopo lo spettacolo durante la quale ci ha confermato questo suo intento nel lavoro di scrittura.
Forse non potrà risolvere i vostri dubbi esistenziali sulla felicità ma vi posso assicurare che io – e credo di poter parlare anche per le altre trecento persone (considerando la durata e l’intensità degli applausi) che erano presenti il 25 gennaio al teatro Casa Ragazzi di Torino – sono stata molto felice di assistere a questo spettacolo. Per questo motivo vi invito ad esserci alle prossime date torinesi dell’8 e 9 febbraio in zona Quadrilatero.
La felicità è uno schiaffo
Di Giorgia Goldini e Stefano Dell’Accio Con Giorgia Goldini Luci Agostino Nardella Costumi Francesca Mitolo e teeshare Produzione Teatro della Caduta
“Un uomo ingoiò una farfalla. Non mangiò per una settimana col timore di schiacciarla. Quell’uomo poi accoltellò la sua amante.”
Il caso W , arrivato al teatro Astra di Torino per la Stagione TPE 2019/2020, segna il grande ritorno sulle scene di una delle figure più importanti del panorama del teatro italiano contemporaneo: il Premio Ubu Claudio Morganti.
Con questo nuovo spettacolo Rita Frongia e Morganti tornano a lavorare sul Woyzeck di Buchner, prendendolo come spunto per creare un testo totalmente originale.
La storia del popolo ebraico è una storia in viaggio, una diaspora che dalle origini continua fino ai giorni nostri. Migrazione e dannazione, conducono il popolo ebraico in tutto il mondo; la dispersione come loro condanna, esilio trasformato in forza, che si trasforma in un agglomerato ammassato di cadaveri nei ghetti, nei treni, nei lager nazisti. Morte, e di nuovo dispersione. Cenere. Una storia intrisa di religione, l’attesa di un Salvatore, di un Messia, ma anche il dubbio dell’esistenza di Dio, durante il supplizio delle violenze ai loro danni, il dubbio dell’essere il popolo eletto.
Si apre il sipario. La scenografia è ridotta a una grande incubatrice, molto simile a una serra ma al posto dei fiori, dentro, lotta per la sopravvivenza una famiglia.
L’allungamento del naso in Pinocchio è solitamente raccontato in termini morali, legato alla riprovazione verso il proferire bugie; ma sollevandosi da questo orizzonte, si potrebbe anche dire: Pinocchio è colui che, raccontando fole o fantasie, subisce una trasformazione fisica: e non è, questa, una delle possibili condizioni o definizioni dell’attore?
Ecco dunque che gli avvenimenti dei tre capitoli del Gran Teatro dei Burattini nel Pinocchio di Collodi detengono il ruolo essenziale di rivelatore della natura burattinesca di Pinocchio: e le grida con cui Arlecchino e gli altri burattini interrompono la recita nel momento in cui lo scorgono tra il pubblico segnano il momento del riconoscimento, dell’appartenenza di Pinocchio a quel mondo, in una sorta di misterioso ritorno a casa. E in quel Teatro, messo alla prova da Mangiafoco, l’enorme e pauroso burattinaio, che minaccia di bruciare Arlecchino in sua vece dopo averlo graziato dalla medesima fine, Pinocchio si propone come eroe tragico, come legno da ardere, adeguandosi perfettamente e naturalmente, per dirlo con Giorgio Manganelli dal suo Pinocchio: un libro parallelo, al “mondo, le leggi, il linguaggio del Gran Teatro”: è il momento, sempre Manganelli dixit, in cui “Egli ha incontrato se stesso, e si è riconosciuto. E si è salvato.”
È la solitudine, in tutte le sue sfaccettature, a fare da protagonista in Si nota all’imbrunire, scritto e diretto dalla drammaturga Lucia Calamaro ( anche autrice dell’omonimo libro ) con la produzione di Silvio Orlando e della moglie Maria Laura Rondanini.
Anche quest’anno abbiamo assistito al consueto appuntamento di consegna dei Premi Ubu, ossia il più importante riconoscimento teatrale del panorama italiano. Il 16 dicembre scorso, presso il Piccolo Teatro di Milano, si è tenuta la quarantaduesima edizione del premio, condotta da Cinzia Spanò e Graziano Graziani con l’accompagnamento musicale di Francesca Morello. La serata è stata trasmessa radiofonicamente da Radio 3 ed è stata seguita da gruppi d’ascolto sparsi in tutta Italia.
In un mare di polistirolo si trova
una casa. Al suo interno, collocate in mezzo ad arredi di color pastello, una
donna e una ragazza. Clown. A lato, una figura ignota ha il volto coperto da
una scatola di cartone; rimarrà seduta in disparte per tutto il primo atto.
Entra un altro pagliaccio, ricorda
un Pierrot. Si chiama Tom e racconta la sua storia. Le sue ultime parole
animano le figure nella casa.
Come un tentativo di
distillazione, lo sforzo di cogliere una essenza che sia oltre il mero
susseguirsi degli eventi: così ci pare il lavoro di Letizia Russo nel suo
inevitabile tradimento del romanzo “Il Maestro e Margherita” di Michail
Bulgakov nella forma teatrale. Ne sia esempio la trasformazione del capitolo
più funambolico ed esaltante del romanzo, “La magia nera e il suo
smascheramento”, nella conclusione della quête
di Woland-Satana della Margherita che sarà sua Regina nel ballo dei cento
re di quella sera: evitando saggiamente la trasposizione in scena affida il
racconto di quei folli eventi del Teatro Varietà di Mosca ad una Margherita
straniata e incantata sotto lo sguardo di Woland che la scruta con i suoi occhi,
uno verde uno colore del buio, che la ascolta, la segue, e che, infine, al riconoscersi
e consegnarsi come in sogno di Margherita come la donna cercata, la accetta
come sua compagna.
Foto di Guido Mencari
L’infinita trama del romanzo da
centinaia di personaggi è sciolta e ritessuta davanti ai nostri occhi seguendo
tre fili narrativi: quello, come si è detto, della ricerca di Margherita da
parte di Woland; la storia d’amore tormentata di Margherita e del Maestro e la
sua reclusione in un ospedale psichiatrico a seguito della mancata
pubblicazione del suo romanzo; e quella di Jeshua e del Procuratore della
Giudea Ponzio Pilato, che è la trama del romanzo scritto dal Maestro. In una
scena chiusa sui tre lati da pareti nere ardesia istoriate da scritte e disegni
ma con aperture-ante da cui fuoriescono o si affacciano i personaggi, la regia
di Baracco fa sì che i tre fili si intreccino e si alternino giocando su stili
diversi: il grottesco feroce della coorte di Woland, con le sue marionette
crudeli Korov’ev, Behemot e Hella, perfetti e inquietanti nelle loro movenze e
alterità demonica; le caricature dei dirigenti del Teatro Varietà (caricature
che però talvolta sfumano in un eccesso di ridicolo), la forza greve e possente
del dialogo alto tra Jeshua e Pilato che si fa rito nella scena dell’esecuzione
di Jeshua; e poi il fervore di Margherita, la sempre intensa Federica
Rosellini, che vola nuda non a cavallo di una scopa ma su di una altalena, un balocco
infantile, come se la liberazione del vero sé possa affermarsi solo attraverso un
ritorno all’infanzia. E poi il Maestro, Francesco Bonomo anche nel ruolo di
Pilato, ora disperato ora sommesso, che brucia il proprio manoscritto una volta
rifiutata la pubblicazione ma che anche il ricongiungimento con l’amata
Margherita non pare regalare felicità. Infine Woland, un Satana dalla sguardo
in tralice, sconfitto ma non domo, che si aggira in quello che proclama anche
suo mondo e che si riconosce figlio del dubbio, della disperazione, di tutto
ciò che davvero e propriamente riconosciamo umano: nell’interpretazione di
Michele Riondino si sovrappongono talvolta reminiscenze cinematografiche, ma lo
scoppio di risata gelida, il peso del tempo infinito che è stato e che sarà che
si porta nello sguardo, il suo essere oltre il bene e il male (non appare come
un concentrato di malvagità, accetta il mondo così com’è e soffre piuttosto
delle stesse frustate che Jeshua riceve sul corpo prima dell’interrogatorio con
Pilato, per quanto le accolga con risate e scatti giullareschi) attraggono e ne
fanno una sorta di buco nero magnetico dello spettacolo stesso. Facendosi poi
esecutore dell’imperscrutabile decisione divina di concedere il riposo e non la
pace a Margherita e al Maestro, Woland rivendica nuovamente la sua adesione e
partecipazione alle vicende umane, molto più di un lontano creatore
impossibilitato a capire davvero le sue inafferrabili creature.
Spettacolo ambizioso per forme e
contenuti, Il Maestro e Margherita tenta di mostrarci quel mistero al quale il
popolo russo del Teatro Varietà aveva rinunciato, secondo le parole di Margherita
e lo fa in quella forma – il teatro – che forse unica può ancora custodirlo e
rivelarlo.
Gabriele Cardini
Piccolo
Teatro Strehler dal 15 al 27 ottobre 2019 Il Maestro e
Margherita di Michail
Bulgakov riscritturaLetizia Russo regiaAndrea Baracco conMichele Riondinonel ruolo di Woland eFrancesco Bonomo (Maestro / Ponzio
Pilato) Federica Rosellini (Margherita) e conGiordano Agrusta (Behemot) Carolina Balucani (Hella /
Praskoy’ja / Frida) Caterina Fiocchetti (Donna che fuma
/ Natasha) Michele Nani (Marco l’Ammazzatopi /
Varenucha) Alessandro Pezzali (Korov’ev) Francesco Bolo Rossini (Berlioz /
Lichodeev / Levi Matteo) Diego Sepe (Caifa / Stravinskij /
Rimskij) Oskar Winiarski (Ivan / Ieshua) scene e costumiMarta Crisolini Malatesta luciSimone De Angelis musiche originaliGiacomo Vezzani aiuto regiaMaria Teresa Berardelli produzione Teatro
Stabile dell’Umbria con il contributo speciale
della Brunello Cucinelli Spa
Apre la stagione del Teatro Stabile di Torino Rumori fuori scena, cult comico di Michael Frayn che svela i meccanismi che si celano dietro al funzionamento della macchina teatrale: fulcro della vicenda sono le difficoltà della messa in scena del testo e le rocambolesche dinamiche relazionali che intercorrono tra gli attori . La prima rappresentazione avviene a Londra nel 1982, trasformandosi in un successo internazionale che troverà spazio l’anno successivo anche in Italia (Roma). Il testo è stato soggetto anche ad un adattamento cinematografico nel 1992 dal titolo Noises off.
Con questo spettacolo torna sul palco Valerio Binasco, direttore artistico dello Stabile di Torino, dopo un periodo di assenza dedicato unicamente alla regia. Paradossalmente, il suo ritorno come attore avviene nel ruolo di un regista che allestisce una pièce teatrale: Rumori fuori scena è infatti una commedia metateatrale , di teatro nel teatro, che mette in scena le vicissitudini di una compagnia teatrale durante le prove e l’allestimento dello spettacolo “nothing on”- “niente addosso”. Binasco, nei panni di attore- regista (sia nella vita che sulle scene), dirige una commedia divisa in tre atti: allestimento, debutto e tournèe. Il pubblico sbircia dietro le quinte della rappresentazione e nella vita degli attori, tra i loro desideri e le loro rivalità: un dietro le quinte che si manifesta come mondo opposto e speculare a quello in cui siamo abituati a vivere.
Il target a cui aspira è quello della commedia all’ italiana: Rumori fuori scena è il suo tentativo di ricreare la comicità delle sitcom americane, parlando però di teatro e, nello specifico, di teatro nel teatro. Il teatro come luogo di narcisismi e controversie, come luogo in cui verità e finzione si scontrano in una strana lotta in cui il vero non esiste, e la leggerezza regna sovrana.
“Sembra che la missione poetica del teatro comico borghese sia quella di dare vita ad un mondo normale, del tutto simile al nostro, ma dove il male e il peccato non appartengono al diavolo ma bensì agli uomini.”
Una “missione” che ha dentro di sé ben più del semplice e puro intrattenimento: una lotta contro la comune pesantezza del vivere. Rumori fuori scena incarna in questo senso le caratteristiche tipiche del genere comico borghese: la molteplicità di situazioni che si manifestano e si sviluppano durante lo spettacolo ci mostrano come il senso di colpa e di responsabilità siano del tutto assenti nella rappresentazione, nonostante i personaggi siano “ordinari” e perfettamente integrati nel mondo. Binasco tenta così per una volta di di abbandonare i toni cupi a cui solitamente propende per dedicarsi invece ad una delle commedie più straordinariamente vitali ed esilaranti del teatro contemporaneo.
L’interesse di Binasco per il testo di Frayn nasce dalla volontà di parlare della vita degli attori, delle loro passioni: il suo è infatti un teatro d’attore, in cui si percepisce che il lavoro teatrale sia basato in gran parte sull’attore stesso. Il teatro d’attore come celebrazione dell’accadimento teatrale, dell’arte dell’attimo presente. Sua intenzione è che lo spettatore nell’ascolto e nella visione dello spettacolo si “scomponga” e si chieda che cosa sta accadendo, senza lasciarsi trasportare dall’accadimento teatrale ma essendone fautore egli stesso.
Mentre gli spettatori entrano in sala, troviamo il sipario aperto con gli attori già in scena. Il pubblico si sistema, chiacchiera e prende posto noncurante del fatto che lo spettacolo sia in realtà già iniziato: gli attori recitano, quello che prende forma di fronte ai nostri occhi è già un accadimento teatrale. Si inserisce però un elemento tipico del teatro di regia, che si impone sull’attore: uno dei personaggi femminili ad esempio (Brooke) recita ugualmente le battute del copione nonostante la rappresentazione abbia preso una piega diversa e le parole abbiano perso di significato nel nuovo contesto in cui vengono inserite.
Il ritmo dell’azione teatrale sembrerebbe concitato, ma nell’apparente caos che il testo vuole portare tutto trova un suo posto (tutto tranne le sardine, che costituiscono l’unico inghippo che non trova incastro nella rete di meccanismi) e scorre senza problemi. Binasco crea un congegno impeccabile di entrate ed uscite : una commedia fatta di porte, quasi musicale nel loro chiudersi e aprirsi continuamente, creando un dispositivo di ingranaggi che si muove in maniera perfetta .
“ è una questione di ritmo, che è fondamentale in questo tipo di teatro. Produrre un effetto comico non vuol dire per forza adattarsi ad un ritmo indiavolato.. ci sono anzi continue frenate di ritmo. Quando c’è grande comicità il ritmo non accelera, si placa.”
Un riconoscimento va, oltre alla splendida elaborazione di Binasco, anche al lavoro sulle scene di Margherita Palli, che contribuiscono all’ eccellente riuscita dello spettacolo, e alla bravura degli attori che riescono a destreggiarsi in un testo pieno di insidie e di complessi meccanismi.
Testo di Michael Frayn, traduzione di Filippo Ottoni Regia di Valerio binasco Scene: Margherita Palli Costumi: Sandra Cardini Luci: Pasquale Mari Attori: Milvia Marigliano, Andrea Di Casa, Francesca Agostini, Nicola Pannelli, Elena Gigliotti, Fabrizio Contri, Valerio Binasco, Ivan Zerbinati, Giordana Faggiano. Teatro Stabile di Torino con il sostegno della fondazione CRT.
Ilaria Stigliano
Il blog degli studenti di teatro del D@ms di torino