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Edipo Re- Andrea De Rosa

“Abbracciare l’irrazionalità, più che altro l’ignoto, l’unico rapporto che può avvicinarci agli dei è la follia”

Platone

Un’impronta rimane sul vetro, come nell’anima, come sul cuore, senza far respirare i tessuti, nella smania di imparare l’arte di vedere le cose nascoste, soffochiamo ogni battito di sincera verità. 

Pannelli di plexiglass, pannelli dorati, fari antichi che proiettano una luce calda, quasi rovente. La scenografia di Daniele Spanò è metallica, direi trasmetta un  richiamo spaziale, simbolo di un lungo viaggio che si consuma durante il suo stesso percorso. Edipo, interpretato da Marco Foschi è come una navicella che arrivata troppo vicina al sole, brucia e si dissolve. Tiresia, portatore di profezie, colui che intimorisce l’animo umano e ne svela ogni fragilità. Cosa si è disposti a fare per non imbattersi nel proprio destino? Per mutarlo e cambiarlo a nostro piacimento?  Tiresia è interpretato da Roberto Latini, che incarna anche Apollo, un Apollo rivisitato, un Apollo rock. Personaggi sapientemente inseriti nella drammaturgia dal regista, nonché direttore artistico del Teatro Astra, Andrea De Rosa. Apollo, dio obliquo, dio della luce, colui che funge da guida appellandosi alla ragione, senno che il cuore rifiuta, rendendo cechi gli occhi di qualunque essere umano, la cui forza, è inevitabilmente sottratta dalla verità. Aletheia è la parola chiave, una verità fatta di reminiscenze che attende solo di uscire allo scoperto, come una nascita. Edipo Re indaga e svela la tragedia della verità, attraverso i legami, materni e fraterni nonché amorosi ma anche attraverso il significato del potere di cui Creonte mette a nudo l’essenza. Uno spettacolo che mette in mostra il fato, un destino ineluttabile che l’uomo incontra specialmente quando cerca di sfuggirgli.  La voce è la protagonista indiscussa della pièce teatrale, le corde vocali del coro composto da Francesca Cutolo e Francesca Della Monica vibrano forti e decise, voci dotate di un’amplificazione divina, i lamenti del coro appaiono indecifrabili, sono forse gemiti o grida? Sono strazianti urla di nascita o di vita sottratta? Domande a cui lo spettatore è chiamato a rispondere, collocando i suoni che sente in base alla propria interpretazione del dolore, della disperazione e della paura, sentimenti noti a tutta l’umanità seppur in modo differente per ognuno. Una sedia, rosso sangue è posta in primo piano, Edipo si mostra raramente in volto, le spalle sono ciò che lo spettatore vede per la maggior parte del tempo, anche noi siamo Edipo, anche noi siamo chiamati a vedere la verità con lui. Giocasta, interpretata da Frédérique Loliée, è un personaggio che seppur principale, risulta talvolta messo in secondo piano come ogni madre, inconsapevolmente, fa col proprio figlio: confessioni e rimpianti si slegano come nodi di uno stesso filo, ingarbugliato nel gomitolo della verità. La peste, antenata del Covid, viene richiamata come punizione divina all’ingiustizia, condannati, noi esseri umani ad una fragilità che non possiamo contrastare se non accettandola. Distanza, rabbia, paura e solitudine, le questioni irrisolte della vita ritornano indietro, come un boomerang, nella disperata ricerca della pace. 

Parlando con i protagonisti

Andrea De Rosa, Regista

Edipo e Giocasta, madre e figlio , marito e moglie per patto politico, un rapporto di condivisione e non di seduzione, nulla avviene per caso è Apollo a disegnare questo percorso ma chi è Apollo? Apollo è un personaggio che io ho inventato, come Tiresio, poichè per me è sempre esistito, è colui che porta la luce e che pone la verità in obliquo, così che non possa accecare. Edipo Re è lo spettacolo su cui è stata costruita l’intera stagione “Cecità”, non vedere non è solo un limite, talvolta è anche un vantaggio. Con questo spettacolo in particolare abbiamo indagato sul concetto odierno di verità comparandolo al concetto di verità per i Greci.

 E’ Edipo Re un’opera fatalista? 

Apollo lascia le scelte, sono gli stessi uomini a decidere quali prendere, decretando così il proprio destino. 

Qual è il significato dei pannelli in scena?

L’idea dei pannelli è nata nel lockdown,  quando arrivano questi eventi a cambiare il corso della storia, ci si chiede il perché ed è la stessa domanda a cui Edipo Re si sottopone con l’arrivo della peste a Tebe. 

A quale parte di voi stessi avete rinunciato per interpretare al meglio i vostri personaggi? 

Fabio Pasquini, Creonte

Più che rinunciare a qualcosa, l’abbiamo aggiunta, io personalmente ho portato con me la paura, il risentimento, la stessa sensazione di impotenza, mettiamo tanto di noi nella complessità dei personaggi.

Qual è stato il vostro rapporto con questa tragedia?

Frédérique Loliée, Giocasta 

Per me il rapporto con la tragedia greca di Andrea De Rosa è stato scioccante, indagare la verità è stato folgorante. La tragedia è per me il primo stupore, ciò che ti lascia attonito.

Quale è l’importanza della voce , interagendo in un Edipo archetipico e atipico? 

Francesca Della Monica, Coro

Ogni spettacolo dovrebbe essere un concerto di voci, liberare la voce dalla sua identrofia espressiva permette di lavorare sul binomio mutos/vogos e così abbracciare la voce e la parola. Un connubio perfetto tra verbale ed extraverbale, tra voce della storia e voce del muto. 

Rossella Cutaia

IL SESSANTOTTO A TEATRO

Edoardo Fadini nella temperie rivoluzionaria

Un critico «militante» e «ricettivo» (Giuliana Pititu), un «filosofo del teatro» (Federica Mazzocchi) «sempre all’erta per i cambiamenti» (Susanna Fadini), Edoardo Fadini negli anni Sessanta giunge a Torino e avverte i fervori di una città che si prepara a raccogliere le voci della contestazione.

L’incontro sul Sessantotto a teatro del 14 marzo 2024, presso la Fondazione Archivio Lorenzo Ferrero, si è aperto con la proiezione di un estratto di Paradise Now del Living Theatre. Datato proprio 1968, le prove del lavoro teatrale – che di “teatrale” ha ormai ben poco e si precisa anzi come dissoluzione della prassi scenica – si svolgono nel clima del maggio francese, i cui fermenti accelerano la fuoriuscita del gruppo dal teatro verso una più diretta lotta politica nelle piazze. Recuperando la fede anarchica di Antonin Artaud e l’idea di teatro come arma politica di Erwin Piscator, il Living persegue la bella rivoluzione anarchica non violenta. Un caso emblematico di una temperie di più ampio respiro.

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LA SIGNORA DEL MARTEDÌ – PIERPAOLO SEPE

GLI ANGOLI BUI DELLA SOCIETÀ

Quattro bizzarri personaggi accomunati da un infelice fil rouge danno vita a La signora del martedì nella sua prima replica torinese al Teatro Gobetti: sono anime sconfitte, poste ai margini della società a causa di errori personali, sventure o ingiustizie ricevute.

Fantasmi della memoria e un oscuro passato vengono risvegliati nel corso della commedia-thriller rivelando contraddizioni e forti passioni celate. Chi paga rapporti sessuali all’insegna della propria indipendenza, chi ricatta per ossessione, chi si trasforma continuamente per affermare la propria identità, chi tradisce, uccide o si toglie la vita per amore.

L’autore Massimo Carlotto ha scontato anni di carcere per un omicidio che non ha commesso. La drammaturgia attinge dal suo vissuto e descrive alcuni angoli bui della società contemporanea. Affronta il tema della persecuzione attuata dalla stampa, disposta ad alterare la realtà dei fatti pur di servire un prodotto ben confezionato e accattivante ai lettori ingordi. Una caccia alle streghe sempre alla ricerca di un colpevole, anche a costo di trascurare la verità e rovinare l’esistenza degli interessati.

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Ogni martedì alle 15:00 una donna sfuggente (Giuliana De Sio) varca la soglia della Pensione Lisbona per concedersi un’ora di piaceri carnali. Quest’abitudine è diventata negli anni un rituale necessario, Nanà reitera le medesime azioni con sistematica meticolosità. Si mostra risoluta e autorevole, ma nel secondo atto la sua marmorea corazza di ghiaccio andrà in frantumi. Ella compra sessanta minuti di sesso alla settimana per fuggire la realtà della propria vita, l’algida insensibilità è una maschera dietro cui si nasconde.
Al contrario Bonamente, attore porno in declino, agogna disperatamente fama e celebrità. Non riuscendo mai a concretizzare tali aspirazioni, ripiega sul mestiere di gigolò. Egli vive ormai da quindici anni nella pensione Lisbona, è l’unico inquilino.
L’alberghetto decadente è gestito dalla signora Alfredo, un travestito che si occupa del prezioso cliente come fosse il proprio bambino. La proprietaria si rifugia nell’edificio per poter indossare liberamente abiti da donna. In strada porta indumenti maschili al fine di non sconvolgere i passanti, non rinuncia però alle scarpe col tacco, così da rammentare agli sguardi giudicanti la loro colpa nel costringerla a vestirsi diversamente da come vorrebbe.
L’ingresso di un ambiguo vecchio avvezzo all’alcol (Alessandro Haber) rompe la monotona quotidianità dell’albergo riesumando antichi scheletri a lungo tenuti sottochiave. Egli si presenta come un nuovo affittuario senza malizia, ma presto svela di essere un machiavellico giornalista di cronaca la cui psicosi viene somatizzata nella perdita dell’uso delle gambe.

Lo spettacolo è un adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Massimo Carlotto. Il drammaturgo nel trasporre il testo ha lavorato a contatto diretto con gli attori e tale collaborazione ha generato delle modifiche nei personaggi. Ad esempio la costrizione sulla sedia a rotelle della figura del giornalista è una scelta che nasce dall’attuale limitazione fisica dell’interprete Haber.

Nonostante l’utilizzo dei microfoni ad archetto, il testo pronunciato come un torbido fiume di parole è spesso di difficile comprensione.
La prima parte si sviluppa come una breve commedia; a seguire invece gli avvenimenti tendono verso un clima cupo e sofferto. Inaspettatamente all’apice drammatico il registro vira verso una marcata comicità che potrebbe risultare stonata agli occhi dello spettatore.
Per quanto riguarda i movimenti scenici e i cambi di stato degli attori, talvolta questi appaiono macchinosi e poco fluidi.

A proposito dell’arco narrativo dei soggetti invece, lo sviluppo è facilmente intuibile fin dal loro primo ingresso. In alcune interviste De Sio parla di Nanà come un carattere dal profilo totalmente tragico; Haber spiega che nel romanzo il giornalista è dipinto con le caratteristiche di un sadico crudele, agisce solo per nuocere al prossimo. Egli in quanto artista cerca di dargli una luce diversa nell’opera teatrale, indagando la sua fragilità e disperazione date da un affetto mai ricambiato.
La figura del travestito è un ruolo che rischia facilmente di essere appiattito in una macchietta, ma Paolo Sassanelli ci sorprende con piacevole freschezza e spontaneità.

Inframezzato anche da assoli in cui ogni personaggio canta un classico della musica italiana, lo spettacolo risulta in fin dei conti un pastiche di registri poco armonico. Ne sono un ulteriore segnale i finali di entrambi gli atti che si discostano dal realismo di cui è permeato il resto del lavoro. Nanà nella sua vulnerabilità si libera dagli affanni della vita e danzando crea un’onirica immagine poetica: “Il tango è molto meglio della vita perché se sbagli un passo puoi comunque andare avanti a ballare senza dover rimediare”.

Ariel Ciravegna Thedy

Autore Massimo Carlotto
Con Giuliana De SioAlessandro HaberPaolo SassanelliRiccardo FestaSamuele Fragiacomo
Regia Pierpaolo Sepe
Scene Francesco Ghisu
Costumi Katarina Vukcevic
Produzione Gli Ipocriti Melina BalsamoGoldenart ProductionTeatro della Toscana

MARCO CORSUCCI – LE MIE PAROLE VEDRANNO PER ME

Uno sguardo interno e amplificato

Nell’ambito della stagione 2023/24 del TPE Teatro Astra è stato presentato un lavoro di ricerca sullo sguardo in relazione alla cecità, tematica che attraversa i 25 spettacoli selezionati per questa stagione.

Le mie parole vedranno per me nasce dalla proposta di Andrea De Rosa, direttore del TPE, a Marco Corsucci e Andrea Dante Bernazzo, giovani talenti del teatro contemporaneo, di indagare il tema della cecità attraverso la loro attenzione verso la percezione visiva e il ruolo delle immagini, già intrapresa nei precedenti lavori.

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HOTEL BORGES – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Finalmente l’Attore!

Piccola Compagnia della Magnolia firma un lavoro vivo, a tratti anarchico, che anziché precisarsi macchinosamente si manifesta come urgenza artistica. A partire da una necessità espressiva la Compagnia edifica la sua creazione. Finalmente il Teatro! Neanche un accenno di intellettualismo o falsi manierismi. È presenza vissuta, essenziale e libera da abbellimenti. Tutto rifugge la menzogna. 

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IL CAPITALE – KEPLER 452

Alla ricerca dei luoghi in cui le pagine di Marx diventano persone, spazi, accadimenti

Un’operaia addetta alle pulizie, tre operai metalmeccanici, un attore. In scena attrezzi e carrelli di una fabbrica di automotive e un megafono. Quanto è labile il confine tra finzione e realtà?

La compagnia bolognese Kepler-452 propone come spettacolo il risultato di un esperimento sociale e creativo: dare corpo a Il Capitale di Karl Marx. I registi e drammaturghi Enrico Baraldi e Nicola Borghesi consumano il grande classico di filosofia ed economia, poi la domanda sorge spontanea: dov’è il capitale oggi? In quali corpi si incarna? Chi danneggia fino allo sfinimento? La nostra Costituzione stabilisce che la proprietà privata assicuri una funzione sociale e sia accessibile a tutte/i. Ma esattamente qual è la funzione sociale dello sfruttamento, dei licenziamenti a tappeto, dell’abbandono? La riflessione critica attorno all’opera stimola la necessità di un’azione teatrale che prenda vita da un’azione reale. Dunque conciliare l’iniziativa artistica con il tessuto sociale attuale è l’inevitabile strada da percorrere per cercare la risposta. E la compagnia la trova in uno spazio, in donne e uomini che occupano quello spazio, nella fisicità di un ambiente e di persone: nell’autunno del 2021 Baraldi e Borghesi fanno il loro ingresso nella fabbrica occupata dal collettivo lavoratori GKN di Campi Bisenzio e chiedono alle/i occupanti la possibilità di vivere del tempo lì con loro al fine di raccogliere materiale per il prossimo progetto teatrale.

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È QUESTA LA VITA CHE SOGNAVO DA BAMBINO? – LUCA ARGENTERO

Il 12 e il 13 febbraio 2024 il Teatro Colosseo di Torino ha ospitato lo spettacolo di Luca ArgenteroÈ questa la vita che sognavo da bambino?” con la regia di Edoardo Leo.

Argentero porta in scena le storie di tre sportivi italiani che condividono l’atteggiamento coraggioso e spavaldo con cui hanno affrontato la loro vita.

Si apre il sipario:

Impossibile.

Questo aggettivo mi ha sempre perseguitato.

Impossibile.

Einstein diceva: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare poi, arriva qualcuno che non lo sa…e lo fa”

Impossibile.

Ad ognuno di noi è capitato almeno una volta nella vita di rinunciare ad un sogno perchè sembrava impossibile.

La lezione dei tre protagonisti dello spettacolo è proprio questa.

Luigi Malabrocca, l’inventore della maglia nera, il ciclista che correva per arrivare ultimo.

Dino Buzzati lo definirà il perdente perfetto, in quanto rifletteva quella che era l’Italia nel secondo dopoguerra: la gente faceva il tifo perché si rivedeva in lui.

Malabrocca ci insegna che per arrivare al gradino più alto non serve vincere.

Alberto Tomba, uno dei più grandi sciatori italiani.

Figura contradditoria ma molto amata dagli italiani… A tal punto che la serata finale del Festival di Sanremo del 1988 venne interrotta per trasmettere in diretta la sua discesa alle Olimpiadi invernali di Calgary .

Argentero però, di Tomba, vuole ricordare l’ ultima gara di Coppa del Mondo nel 1998 in cui l’icona sportiva finalmente abbandona la sua esuberanza e, per la prima volta, si mostra vulnerabile al mondo.

Sono ancora impresse nella mente dei suoi tifosi le immagini di un uomo che piange, mentre sembrava essere invulnerabile.

Walter Bonatti, alpinista che dovette aspettare cinquant’anni perchè la verità venisse a galla.

E’ simbolo di onestà in un’Italia paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi.

Un’Italia in cui qualsiasi controversia non viene mai affrontata, si preferisce accantonarla e nessuno ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.

È questa la vita che sognavo da bambino? è lo spettacolo perfetto per descrivere quel periodo della vita in cui ti chiedi se la strada che stai percorrendo sia quella giusta.

Argentero ci ricorda che un errore non è mai un errore finchè non lo hai commesso.

Quindi, io, dinanzi all’indecisione e al dubbio, dovrei avere sempre il coraggio di scegliere e di fare.

Come Robin Williams ne L’Attimo Fuggente quando invita i suoi studenti a lottare per trovare il proprio posto nel mondo Luca Argentero ci invita a cogliere l’attimo e a non fermarsi di fronte ad un ostacolo ma ad affrontarlo con coraggio.

Sofia De March

Prodotto da Stefano Francioni Produzioni;

scritto da Gianni Corsi, Luca Argentero ed Edoardo Leo, che ne cura anche la regia;

musiche di Davide Cavuti.

ANTONIO E CLEOPATRA – VALTER MALOSTI

Come un Giano bifronte questo spettacolo del Teatro Stabile di Torino mostra due facce della stessa medaglia che si prestano a molteplici interpretazioni. Abbiamo modernità e antichità che si mescolano nella tragedia storica di Shakespeare, reinterpretata sia in qualità di attore che di regista da Valter Malosti in una visione comica e disincantata, in cui l’Eros non può essere vincitore sulla ragione e il rigore del contesto storico per quanto possa essere passionale e contraddittorio.

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Where the hell is Bernard?

Dietro la maschera della routine quotidiana si cela un mondo distopico dove il gioco è bandito, le domande represse e la fuga considerata un crimine. In questo universo alienato, quattro Agenti, custodi di un sistema perfetto quanto asettico, si ritrovano a fronteggiare un’anomalia inaspettata: la fuga di un cittadino, Bernardo.

Lo spettacolo Where the hell is Bernard? che ho avuto visto il 2 febbraio a Torino, presso Casa Fools, ha suscitato in me un acceso dibattito interiore. Da un lato, l’originalità dell’idea, la performance delle attrici e la capacità di mescolare generi diversi hanno creato un’esperienza teatrale unica e stimolante. Dall’altro, alcune debolezze nella caratterizzazione dei personaggi e nella coerenza narrativa hanno impedito all’opera di raggiungere il suo pieno potenziale.

Le Agenti, identificate solo da codici numerici, non possiedono una vera e propria identità. Pur essendo ben distinte grazie alle loro azioni e parole, mancano di una profondità psicologica. Non conosciamo le loro storie personali, le loro motivazioni profonde o i loro desideri. La presenza di quattro attrici senza una chiara motivazione o differenziazione nel loro ruolo sembra non influenzare significativamente lo sviluppo della trama. Anche con una riduzione del numero di attrici, la storia potrebbe procedere senza alterazioni sostanziali.

La trama sembra presentare alcune incongruenza. La scena dei neonati, ad esempio, appare slegata dal contesto e priva di un significato chiaro. Il finale, pur essendo aperto all’interpretazione, lascia allo spettatore un senso di incompletezza. La mancanza di una risoluzione definitiva o di una spiegazione plausibile per alcuni eventi indebolisce la coesione narrativa.

Azioni e personaggi appaiono a volte privi di una logica interna, creando un po’ di confusione nello spettatore. La fuga di Bernardo, l’apparizione dei neonati, il destino delle Agenti: tutto sembra accadere senza una ragione precisa, lasciando lo spettatore con un senso di frustrazione.

Where the hell is Bernard? possiede un potenziale interessante, ma necessita forse di alcune modifiche per raggiungere una maggiore coesione e profondità. Il contesto della Casa Fools a Torino ha fornito uno sfondo unico per lo spettacolo, tuttavia, un lavoro di approfondimento sui personaggi e sulla trama potrebbe rendere l’opera più coinvolgente e di impatto.

Roozbeh Ranjbarian

Prodotto da Haste Theatre e Turnpike Productions
Regia di Ally Cologna e Haste Theatre
Cast: Elly Beaman-Brinklow, Valeria Compagnoni, Jesse Duprè, Sophie
Taylor
Voice over: Ally Cologna e Lorenzo Andrea Paolo Balducci
Tecnico suono e luci: Jethro Walker
Designer luci: Katrin Padel
Designer suono: Paul Freeman
Designer set: Georgia de Grey
Foto poster di Nick Milligan
Fotografo di scena Rara Su

Tre Sorelle- Muta Imago

 È buio, un piccolo bagliore si accende al centro del palco, appare come una luce vista da un occhio socchiuso. Si riuniscono intorno al bagliore tre donne e, come in un rituale, fanno danzare le mani nella luce sottile. La calma prima della tempesta, un silenzio tombale, quasi religioso, regna in tutta la sala, attendiamo. Le luci prendono lentamente possesso della scena, diventano quasi abbaglianti, a tratti disturbanti come i suoni, rumori che irrompono sulla scena aggressivamente in completa opposizione al silenzio precedente. Gli opposti sono i protagonisti della narrazione dello spettacolo Tre Sorelle. La compagnia Muta Imago gioca sui volumi, in una formula misteriosa che indaga lo spazio-tempo. Tre donne, tre sorelle, una sola storia che diventano tre. Dolori, angosce, ricordi e speranze perdute, si manifestano attraverso la voce e i gesti  delle tre sorelle che agiscono talvolta in maniera disordinata e inspiegabile. La più giovane: colei che detiene dentro di sé la forza di andare avanti con la sicurezza che il futuro, seppur lontano, sarà sicuramente migliore. La media: disillusa e sconfortata, le consapevolezze del presente la tengono incatenata nel tempo in cui si trova, nessuna prospettiva. La più grande: la vita ormai ha fatto il suo corso, si aggrappa a tutto ciò che possa vagamente darle sollievo, per sfuggire dalla consapevolezza che non ci sia più un futuro ad aspettarla. Errori, scelte sbagliate, lo stesso essere donne in una cultura che predilige il maschio. Uno spettacolo che mette in scena la mente di una donna, nella quale lo spettatore può viaggiare senza scappare, una pièce teatrale che predilige raccontare la vita attraverso il magico numero del tre, la rappresentazione è esoterica e sconvolgente, demoni, ombre e colpe ma anche sogni distrutti, abbandono e oblio. I monologhi, per quanto profondi e complessi, risultano forse talvolta troppo dilatati, così come i volumi della musica spesso troppo alti, rendono difficile una fruizione scorrevole dello spettacolo. La performance delle attrici Monica Piseddu, Arianna Pozzoli e Federica Dordei è risultata a mio avviso forte ed incisiva, le voci penetrano la quarta parete dando la possibilità al pubblico di empatizzare più facilmente con la storia raccontata.

Rossella Cutaia