Durante il terzo giorno di programmazione del Festival Conformazioni è andato in scena Sinopia, spettacolo che vede come suoi ideatori e performers MarcoPergallini e MariaStellaPitarresi. A fare da cornice la SalaStrehler del TeatroBiondo di Palermo.
Il titolo, Sinopia, racchiude il significato da cui i due danzatori sono partiti per la realizzazione del lavoro. Sinopia infatti è il nome di una delle tanti fasi necessarie per la messa in atto della tecnica pittorica dell’affresco.
Dal 23 maggio al 10 giugno 2023 Interplay Festival di Mosaico Danza animerà il capoluogo piemontese, con venticinque spettacoli (di cui sette prime nazionali) in programma, presso teatri e spazi multidisciplinari. Si susseguiranno compagnie italiane, realtà ampiamente affermate e giovani proposte, insieme a compagnie di stampo internazionale. A fianco della programmazione, Interplay anche quest’anno proporrà una significativa sezione di eventi performativi outdoor e/o site specific al fine di intercettare nuovo pubblico e incrementare l’offerta culturale rivolta ai cittadini, pure nei luoghi periferici della città.
“Io voglio mostrare a cosa può assomigliare un albero quando lo si vede per la prima volta nella vita”. – (Werner Herzog)
“Se siete finiti in un vicolo cieco tornate al punto di origine…” e quale origine può essere migliore del mito?
Gli eroi e i personaggi della mitologia greca, proprio perché eccezionali, sono i più indicati per mostrare sentimenti e valori in forme accentuate e, quindi, più evidenti. Per questo il mito è quasi sempre, sia nell’antichità che nella modernità, materiale per la tragedia.
Ma il mito, nella tragedia, è sempre reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali, sociali ed esistenziali che chi scrive vuole mettere in luce. Lo spettatore si trova così di fronte a uno specchio deformante di quello che lui stesso potrebbe essere e che a tratti è già.
La tragedia infatti diviene il luogo – letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale, affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base a conflitti insanabili, che sono propri di ogni era. Come nel caso dell’Orestea che vede contrapporsi giustizia e vendetta, polis e sfaldamento della società, legge del taglione e giustizia amministrata da un primo tribunale.
L’Orestea di Eschilo, l’unica trilogia integrale arrivata sino a noi da un lontano passato che ci risalda alle nostre origini, è andata in scena al teatro Carignano per la regia di Davide Livermore, in due serate ravvicinate (Agamennone e Coefore/Eumenidi) o proposta anche in un’unica maratona, dando la possibilità agli spettatori più temerari di testare il loro grado di resistenza fisica e mentale.
La tragedia, come abbiamo visto, è per sua stessa natura il genere delle grandi passioni, dei grandi amori e delle grandi atrocità.
Sarà a causa di tutta questa grandiosità che Livermore ci propone una trilogia, organizzata in due “atti”, dalla sfarzosa realizzazione: 40 attori, 2 pianoforti, 50mq di ledwall e una lancia Aprilia 1500 presente per la messa in scena al teatro greco di Siracusa, ma che al chiuso del teatro Carignano ci viene risparmiata.
Come da tradizione del mito, Livermore prende la storia degli Atridi e l’attualizza, così l’eco della guerra di Troia diviene, grazie agli splendidi costumi di Gianluca Falaschi e alle accurate acconciature, l’eco della Seconda guerra mondiale, in un’ambientazione che si attesta tra gli anni ’30 e ’40. Il cotesto evocato si rifà però più a un certo immaginario cinematografico, sarà perché non riproduce “l’orrida realtà” ma una realtà edulcorata, “imbellettata come fa il 99% dei film hollywoodiani” per citare Tarantino. E il cinema aleggia su entrambi gli spettacoli, frequenti sono le citazioni, pensiamo fra tutte al fantasma della piccola Ifigenia che apre l’Agamennone e che nel finale si sdoppia, restituendoci l’iconica immagine delle gemelle di Shining.
Se “Il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce” per dirla con Cocteau allora, come abbiamo anticipato, nella messa in scena di Livermore l’elemento che visivamente connota entrambi gli spettacoli è uno schermo di forma circolare, fatto di luce, un ledwall di 50 mq, sul quale appare una sfera che ruota sul proprio asse (come un globo terrestre) e dentro alla quale prendono forma i video progettati da D-Wok; l’elemento illusionistico è tutto tecnologico e lo riscontriamo soprattutto nella forte tridimensionalità delle immagini.
Il risultato è di impatto “grandioso”, uno strumento dall’enorme potenziale vanificato però da un utilizzo eccessivamente didascalico o che veicola una spicciola morale che disattende l’intento registico che troviamo nel pamphlet di sala:
“Ogni volta che realizziamo l’atto umano di ritrovarci a teatro, un atto intimamente più complesso della condivisione, ci troviamo a formulare una riflessione profonda nei confronti della società, una riflessione che, in questo caso diviene concreta in quanto, nell’abbraccio della parete di specchi che delimita il mondo dell’Agamennone, il destino dei personaggi sulla scena si unisce indissolubilmente a quello degli spettatori che, nel riflesso, divengono agenti”
Così siamo investiti da occhi giganti, maremoti, incendi, esplosioni, immagini di tragedie umane degli ultimi anni, tra cui persino la Costa Concordia… d’accordo con Andrea Pocosgnich si tratta di un “un campionario di effetti visivi tutt’altro che imprescindibili se non come compendio simbolico e didascalico di certe situazioni: il fuoco e il sangue nominato si riverberano nella sfera amplificando l’immagine già impressa nella parola”.
Quel desiderio di Herzog con cui abbiamo cominciato, mostrare un albero come se lo si vedesse per la prima volta, mi sembra che appartenga in qualche modo anche a Livermore ma la natura delle parole di Eschilo contengono un potere evocativo possente, per stessa ammissione del traduttore Walter Lapini, Eschilo è l’unico dei tre tragediografi greci “a parlare davvero una lingua ancestrale e oscura”. Il suo stile grandioso, solenne, magniloquente, seppur sbiadito nella traduzione, rimane comunque poderoso. Una lingua che come dice Pasolini “si fa strada verso la meta pressando e sfondando” e che proprio per questo non ha bisogno di rafforzi visivi che distraggono e in qualche modo de-potenziano. Soprattutto se si ha a che fare con degli interpreti di indubbio valore come la brava Linda Gennari, Giuseppe Sartori nei credibili panni di un Oreste partigiano o Laura Marinoni con la sua imponente presenza scenica, orchestrati da Livermore all’interno di una precisa partitura ritmica di gesti declamatori e ostentatori che richiamano alcune plasticità tipiche dell’opera lirica. Griglia che risultava a tratti, per alcuni interpreti, persino un po’ stretta, ma che rivela una certa fedeltà alla tragedia antica.
Il teatro di Livermore è un teatro di regia nel senso molto classico del termine. Abbiamo un assoluto rispetto del testo, si esige una fusione degli interpreti che vuol dire star lontano da un teatro che poggia sull’ “esibizionismo” degli attori, sul lusso delle attrici, sulla distinzione dei ruoli, nel senso che anche il più piccolo ruolo ha il suo momento di centralità e declamazione, in maniera molto “democratica”. Le sfarzose scene che hanno il compito di trasformare poeticamente il dramma di Eschilo, non sempre riescono nell’impresa. Scene e i costumi dovrebbero infatti essere considerati come parti integranti dell’opera poetica, cui è imposto l’obbligo non di fotografare la realtà ma di trasformarla poeticamente secondo lo stile e il carattere del dramma rappresentato a prescindere dalla scelta dell’adattamento. Ma per quanto riguarda la scenografia risulta decisamente poco organica, si ha l’impressione che gli apparati e i materiali scenici predomino e ingombrino. L’attore si trova così costretto nel movimento, a causa di uno spazio sacrificato, lo scenario spesso attrae tutta l’attenzione dello spettatore.
Va detto però che lo spettacolo, come abbiamo già accennato, e come si può vedere dall’immagine di copertina, nasce per essere rappresentato al teatro greco di Siracusa, che è uno spazio fuori misura, rivelando un progetto che forse manca di lungimiranza rispetto alla possibilità di un riadattamento in uno spazio diverso e al chiuso.
Il pubblico è chiamato in causa come parte integrante del dramma ma se in Agamennone non è così chiaro nonostante il monologo di Cassandra che si rivolge direttamente alla platea, del resto quasi tutta l’azione scenica si svolge in proscenio con una prossimità al pubblico che tenta di inglobarlo, ma rimane il dubbio se ci riesca, nel secondo spettacolo, che racchiude Coefore/Eumenidi, il coinvolgimento del pubblico è esplicitato nominandolo come popolo di Atene durante il processo. Il pubblico è infatti invitato a votare sulla colpevolezza o innocenza di Oreste, pura formalità visto che alla fine sarà Atene con il suo voto che vale doppio ad assolvere il matricida.
Gli spettacoli nel loro complesso sono estremamente godibili, ma non assomigliano a “un albero visto per la prima volta”. Quello stupore, quella meraviglia, quello shining che entrambi gli spettacoli hanno, abbaglia, confonde, disorienta, ammicca eccessivamente.
Così alla fine il verso greco non tradotto risveglia ricordi ancestrali e anela rimpiante passeggiate nei boschi, di alberi magari non visti per la prima volta ma che non hanno la pretesa di essere altro da sé.
Nina Margeri
CAST E CREDITI COMPLETI
AGAMENNONE
Produzione Teatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico
Traduzione Walter Lapini
Regia Davide Livermore
Personaggi e interpreti
Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli Sentinella | Maria Grazia Solano Corifea | Gaia Aprea Coro | Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando Clitennestra | Laura Marinoni Messaggero | Olivia Manescalchi Agamennone | Sax Nicosia Cassandra | Linda Gennari Egisto | Stefano Santospago Spettro di Ifigenia | Aurora Trovatello, Ludovica Iannetti Vecchi argivi | Davide Pennavaria, Marco Travagli, Alessandro Trequattrini Oreste bambino |Riccardo Bertoni Elettra bambina| Anita Torazza
Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi Gianluca Falaschi
Musiche originali Mario Conte
Luci Marco De Nardi
Video Design D-Wok
Regista assistente Giancarlo Judica Cordiglia
Assistente alla regia Aurora Trovatello
Costumista assistente Anna Missaglia
Cast tecnico
direttore di scena Alberto Giolitti direttore di palco Michele Borghini capo macchinista Marco Fieni macchinista Nathan Copello macchinista / attrezzista Giulia Chittaro capo elettricista Toni Martignetti fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri video Luca Nasciuti trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini
———
COEFORE/EUMENIDI
ProduzioneTeatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico
Traduzione Walter Lapini
Regia Davide Livermore
Personaggi e interpreti “Coefore”
Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli Oreste | Giuseppe Sartori Pilade | Gabriele Crisafulli Elettra | Anna Della Rosa Le Coefore | Gaia Aprea, Alice Giroldini, Valentina Virando, Cecilia Bernini (cantante), Graziana Palazzo (cantante), Silvia Piccollo (cantante) Voce e immagine di Agamennone | Sax Nicosia Clitennestra | Laura Marinoni Cilissa | Maria Grazia Solano Egisto | Stefano Santospago Una donna | Nicoletta Cifariello Le Erinni | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca Guardie | Lorenzo Crovo, Lorenzo Scarpino, Davide Niccolini
Personaggi e interpreti “Eumenidi”
La Pizia (Profetessa) | Maria Grazia Solano Apollo | Giancarlo Judica Cordiglia Le Eumenidi | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca Fantasma di Clitennestra | Laura Marinoni Statua di Atena | Bianca Mei Atena | Olivia Manescalchi
Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi Gianluca Falaschi
Musiche originali Andrea Chenna
Luci Marco De Nardi
Video Design D-Wok
Regista assistente Sax Nicosia
Assistente alla regia Aurora Trovatello
Cast tecnico
direttore di scena Alberto Giolitti direttore di palco Michele Borghini capo macchinista Marco Fieni macchinista Nathan Copello macchinista / attrezzista Giulia Chittaro capo elettricista Toni Martignetti fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri video Luca Nasciuti trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini
“ConFormazioni” ovvero la primavera performativa palermitana
Martedì 28 marzo 2023 si è svolta a Palermo, nella cornice dello Spazio Franco presso i Cantieri Culturali alla Zisa, la conferenza stampa del Festival ConFormazioni, arrivato alla sua settima edizione.
Il Festival di danza e linguaggi contemporanei tornerà a Palermo dal 21 al 30 aprile 2023. Una versione allargata dell’ormai conosciuta azione che vede alla direzione artistica Giuseppe Muscarello e a quella organizzativa Danila Blasi: a precedere il festival ci sarà un’anticipazione in collaborazione con Scena Nostra, rassegna dello Spazio Franco dedicata alle creazioni contemporanee.
L’idea per lo spettacolo Come tutte le ragazze libere, andato in scena al Teatro Gobetti dal 21 al 26 febbraio all’interno della stagione teatrale 2022/2023 Out of the blue, nasce da un singolare fatto di cronaca: sette tredicenni, originarie della Bosnia Erzegovina, al ritorno da una gita scolastica scoprono di essere rimaste incinte. La notizia ha un impatto globale, attorno ad esso si crea un dibattito accesso per capire di chi siano le responsabilità di un’educazione sessuale non adeguata, se non addirittura mancante. La scuola e le famiglie scaricano queste responsabilità l’una sulle altre.
Da tutto questo la drammaturga Bosniaca Tanja Sljivar prende l’ispirazione per scrivere, nel 2017, questa pièce teatrale, nella sua versione italiana tradotta da Manuela Orazi e diretta da Paola Rota.
Per la stagione Buchi Neri, il Teatro Astra, dal 7 al 12 Febbraio, ha presentato Frankenstein, scritto e diretto da Filippo Andreatta, tratto dall’omonimo e iconico romanzo di Mary Shelley.
Lo spettacolo si apre con un fuoco vero, crepitante, che brucia direttamente nello spazio scenico. La fiamma viene presa dal moderno Prometeo, portata simbolicamente agli uomini in una forma addomesticata, domata, non più fuoco che divampa ma focolare domestico. Ma questo piegare la natura porta ad un disastro ambientale, e la fiamma della conoscenza umana si trasforma in sofferenza.
Dal 7 al 19 febbraio, sul palco del Carignano, è andato in scena Uno sguardo dal ponte, secondo testo di Arthur Miller a calcare le tavole di questa stagione dello Stabile dopo Il crogiuolo diretto da Filippo Dini. Ma se in quest’ultimo si respirava un’atmosfera quasi monumentale, vuoi per la messa in scena, vuoi semplicemente per il tema storico trattato, in Uno sguardo dal ponte l’azione si predispone ad un approccio decisamente più intimo, ed è su questa intimità, su queste interazioni ravvicinate tra i personaggi, che Massimo Popolizio, regista nonché interprete principale, sembra voler far leva.
Attore e regista teatrale, Fabrizio Falco invade la città di Torino portando il suo Closer durante la stagione Out Of The Blue del Teatro Stabile di Torino al Teatro Gobetti, dal 14 al 19 febbraio, con Davide Cirri, Eletta Del Castillo e Paola Francesca Frasca; ma lo troviamo anche dal 2 marzo al cinema come protagonista del film La Memoria Del Mondo di Mirko Locatelli e, infine, al Circolo Dei Lettori con il suo monologo MolièreUanmensció (O Come Volete Voi), il 13 marzo.