Mentre il pubblico ancora prende posto, chiacchiera o scatta l’immancabile foto ricordo alla sala e al sipario chiuso, una musica bossa nova comincia leggera a riempire l’ambiente. Un ragazzo in maniche di camicia attraversa la platea, si siede al limite del palcoscenico, si guarda intorno, sorride al pubblico, strizza anche l’occhiolino. Poi, dopo alcuni minuti d’attesa, le luci si abbassano, il ragazzo sale sul palco e si rivolge ai presenti in sala. Si presenta: è Tommaso Cantone (interpretato da Edoardo Purgatori), vuole ricostruire la sua storia e, sostiene, avrà bisogno anche dell’aiuto del pubblico per farlo. Un brivido percorre la sala.
In questa intervista telefonica Raffaele Paganini, étoile di danza classica e famoso personaggio televisivo, ci racconta del suo ritorno alle scene in un contesto teatrale diverso dal solito. Sullo sfondo di un concerto Rock su musiche dei Pink Floyd, suonato e cantato live dalla band Pink Floyd Legend, Raffaele interpreta la figura di Sid Barret, storico fondatore della band inglese scomparso nel Luglio 2006. Visionario ed eclettico Sid rappresenta l’archetipo del genio pop degli anni ’60 il suo impulso alla genesi del genere psichedelico rappresenta una pietra miliare nel panorama musicale del ventesimo secolo.
I PinK Floyd e la danza
Nel 1972, a Marsiglia, Roland Petit creò un balletto su musica dei Pink Floyd, suonata dal vivo dagli stessi musicisti, fu non solo un evento ma anche una profonda innovazione, grazie al magistrale disegno coreografico unito ad una fisicità prorompente del corpo di ballo. Petit capì subito cosa si celava dietro quel sound e riuscì a donarle oltre all’immagine un corpo danzante
Quella che tu stai facendo con questo spettacolo è una rivoluzione culturale anche se retrospettiva perché parliamo dei Pink Floyd non di gruppi pop rock attuali, premetto che sono sempre stato appassionato dei Pink Floyd per cui per me è terreno fertile, e vado subito al dunque : come hai vissuto questa nuova esperienza?
“ Sai Paolo, in realtà quando ero ragazzo, e tu sai che con la scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma eravamo molto centrati sulla disciplina anche da un punto di vista culturale, i nostri programmi di studio comprendevano, oltre alle lezioni di tecnica classica, ore di musica per la danza. Questo faceva sì che noi già dai primi anni venissimo a contatto con quella musica che faceva capo ai grandi compositori come Tchaikowsky, Prokoviev, Haydn, Adam e ovviamente la nostra conoscenza in campo musicale era totalmente di estrazione classica, per cui non ti nascondo che ho scoperto i Pink Floyd come tanti altri gruppi, che sarebbero dovuti essere parte integrante della del mio trascorso epocale della mia adolescenza cioè di quando ero giovanotto, e invece li sentivo così magari di sfuggita, erano sicuramente famosi però non li seguivo non li ascoltavo, devo dirti la verità e per questo mi sono sorpreso anch’io del fatto che oggi a distanza di tanti anni stia interpretando il ruolo del frontman dei Pink Floyd Syd Barrett.”
Parliamo dello spettacolo Shine
“è una cosa molto particolare, io lo chiamerei un concerto danzante perché ci sono dal vivo I Pink Floyd Legend che sono un gruppo quotatissimo qui in Italia, che va per la maggiore, almeno io lo vedo dall’affluenza del pubblico ai loro spettacoli, è pazzesco fanno dei numeri interessantissimi , ti dico la verità sono un po’ basito, perché non avrei immaginato che potesse accadermi una cosa così strana e straordinaria al tempo stesso.”
Cosa ti ha portato ad accettare questo ruolo
“ intanto la coreografia di Micha van Hoecke che è un coreografo molto importante, di lui mi piace questa sua introspezione questo suo modo di coreografare con i personaggi e con le persone, ho avuto modo di lavorare molto con lui e poi c’è un corpo di ballo straordinario ci sono dai 12 ai 14 elementi, tutti ballerini classici che formano la compagnia di balletto di Daniele Cipriani e questo mi ha fatto veramente riflettere, nonostante io avessi smesso di calcare le scene più di 15 anni fa al presentarsi di questa occasione ho detto.: “ beh guarda mi fa piacere” poi ti dico la sincera verità avendo io smesso da tempo, essendo avanti con l’età, naturalmente l’età dei danzatori, gli ho detto: “ ma quanti spettacoli abbiamo, cioè è una tournée tipo quelle dei balletti classici in cui si fanno 100 date in un anno? ” lui mi ha risposto :” no guarda è uno spettacolo talmente grande talmente importante e imponente che sicuramente arriveremo al massimo a 10 /15 date in tutto” allora mi sono tranquillizzato ho detto: ”va bene si può fare l’impegno non è così costante” e dunque ci siamo accordati sulle date. Questo spettacolo devo dire è molto bello, io l’ho visto in anteprima in video in uno schermo abbastanza grande proprio a casa di Cipriani e devo dire che ne sono rimasto affascinato, è molto particolare non puoi immaginare, c’è questa musica dirompente che ti avvolge perché noi ballerini abbiamo alle spalle, su una piattaforma di un 1 m 1 ½ m più alta del palcoscenico questo gruppo fantastico di musicisti , sono tutti professionisti molto molto bravi e tre coriste con delle voci eccezionali e allora mi son detto, ma questa occasione non me la posso perdere e poi non è la danza che conosciamo noi cioè la danza che ho frequentato io nel senso che non è il balletto classico è qualcosa di molto particolare, racconta la storia terribile di quest’uomo geniale che ha attraversato momenti umanamente terribili, legati alla droga e all’alcol, insieme a momenti di straordinario e prolifico percorso artistico e musicale tanto da farne una leggenda”
Come si è arrivati alla scelta Raffaele Paganini per questo ruolo, com’è nata questa collaborazione ?
“guarda, purtroppo il tutto nasce da un piccolo problema, vale a dire che questo spettacolo doveva essere interpretato dal caro e grande amico Denis Ganio, purtroppo Denis doveva subire un intervento all’occhio e sai, io l’ho capito perfettamente , perché quando hai una certa età, lui è leggermente più grande di me, ed hai una deficienza fisica questa ti può veramente destabilizzare. Mi ricordo che lui già dimostrava una certa titubanza riguardo la sua partecipazione e diceva “io non so se ho ancora voglia di farlo” poi è successo che lui parlando con Daniele Cipriani e con la moglie di Misha dice “guarda io non lo so se mi sento di continuare, ma scusate ha detto , io so che tra Raffaele e Misha c’è un rapporto professionale molto importante ma anche di grande amicizia per cui Raffaele lo conosce talmente bene, ci ha lavorato talmente tanto che probabilmente potrebbe essere una valida alternativa, è quindi nato tutto da questa strana combinazione, Denis ha detto a Daniele di contattarmi per verificare la mia disponibilità e così è stato , mi ha chiamato e mi ha esposto tutta la situazione, io l’ho assolutamente capita e ho capito che probabilmente poteva essere il mio tra virgolette addio definitivo alle scene, anche se ufficialmente c’era già stato, perché 12 anni fa avevo decisamente smesso di danzare e quindi ho detto: ”ti voglio ascoltare Daniele, parliamone perché voglio capire”, e lui mi ha raccontato tutta la storia, sapeva della mia amicizia con Misha e quindi tutto è partito da una situazione chiaramente favorevole , Paolo ti dico la verità, dopo averlo ascoltato attentamente nell’esposizione del progetto gli ho detto: “ guarda se devo danzare ti chiedo scusa ma non sono più nell’età, non me la sento più non voglio ballare, poi se devo fare che ne so una parte del tipo Doge nel Giulietta e Romeo te lo faccio pure parliamone, però danzare proprio no, non voglio più muovere passi come dire coreografati di danza in scena. Lui ha detto: ”no guarda adesso te lo faccio vedere, ti do un link dello spettacolo” , mi ha mandato il link ed ho visto una sorta di trailer dello show dopodiché l’ho richiamato: “ guarda vediamoci e parliamone” la cosa mi sembrava interessante quindi ci siamo incontrati come ti dicevo abbiamo parlato un pochino e lui mi ha tra virgolette convinto, ma ero già predisposto a fare questa nuova esperienza e sai cosa mi ha portato veramente nella mia decisione finale ? il fatto che lui mi ha fatto vedere anche le prove di tutto il balletto e mentre Misha parlava con il corpo di ballo e spiegava quello che era la sua idea , quello che avrebbe voluto in quel gesto cosa voleva raccontare cosa voleva dire, io sapevo già la risposta sapevo già la risposta perché avendo lavorato tanto con lui già sapevo che, se fossi stato io lì , cosa mi avrebbe chiesto e cosa io gli avrei risposto quindi tutto collimava, sembrava tutta già predisposto e allora ho detto: “ senti ci sto ci sto facciamolo, facciamo questa esperienza insieme, lavoriamo insieme”.
Quanti saranno gli spettacoli programmati?
“gli spettacoli non sono tanti perché come ti dicevo prima non è più il caso che io insomma mi metta a fare le tournée che si facevano una volta e poi sono rimasto scioccato dalla mia ultima tournée che è stata quella di 7 spose per 7 fratelli dove ho fatto 750 spettacoli, facevamo 2020 spettacoli l’anno quindi ho detto fermi tutti , un attimo io ho anche una vita ho una moglie dei figli ho i miei meravigliosi cagnolini che mi aspettano e poi alla fine tu Paolo sei come me, a 25 anni hai deciso di sposarti e mettere su famiglia e di fare dei figli e vivere una vita tra virgolette normale. Ad un certo punto devi anche assumerti la responsabilità di questo, quindi ho messo su famiglia perché volevo essere padre perché volevo essere marito perché voglio essere una persona normale nonostante ami in maniera smodata la mia arte il mio lavoro, insomma avevo veramente desiderio di costruire anche qualcosa di diverso infatti dopo 7 mesi avevo già un figlio poi subito dopo ne ho avuto un altro, questo Shine però è un passaggio della mia seconda vita artistica perché ora come sai io insegno non faccio il coreografo perché non sono capace non so fare coreografie è un talento che non ho quindi non mi cimento proprio, mi è stato chiesto più volte perfino in Rai mi hanno chiesto di fare delle coreografie, quelle un pochino più classiche, però ho sempre rifiutato, quello non è il mio mondo.
Quindi il diamante torna a brillare?
Amico mio, sai quanto io ami stare in scena, mi sono detto , faccio questa ultima esperienza, la voglio fare.
Negli ultimi anni ti sei dedicato molto all’insegnamento, la cosa ti soddisfa?
insegnare mi diverte tantissimo perché come diceva il buon Derevianko “noi purtroppo non sappiamo insegnare male sappiamo insegnare solo bene perché a noi hanno insegnato la danza bene, il tendu va fatto bene in quella maniera e dunque non abbiamo deviazioni, noi lo sappiamo fare solo bene quindi lo possiamo insegnare solo bene, e questo è un vantaggio per gli allievi ed è giusto che sia così, perché insomma veniamo da scuole importanti, dove la disciplina era al primo posto.
Se ti conosco bene, quando poi decidi di fare una cosa la fai con tutti i crismi?
Lo sai come la penso, mi sono detto, ma perché, no perché no, poi ne ho parlato anche Debora con mia moglie e che come sai lei è un ex ballerina del Teatro dell’Opera di Roma mi ha detto .”ma guarda Raffaele fallo “, perché io insomma, mi dispiaceva magari devo andar via devo partire, poi abbiamo visto che le date, non erano tantissime sono così a grappolo ed ho deciso di chiamare Daniele dopo un paio di giorni ho detto:” Daniele dai, accetto iniziamo le prove, abbiamo iniziato le prove ed abbiamo poi debuttato a Pisa quest’estate, è stato il primo spettacolo.
Questo progetto mi ha trovato piacevolmente predisposto perché c’è molta danza dentro c’è tanta tanta danza si danza dall’inizio alla fine, si ascolta musica meravigliosa suonata da ottimi professionisti ed è una buona occasione per ricalcare le scene senza avere la presunzione di danzare perché insomma poi purtroppo la vita è questa no? si cresce l’età cresce insomma basta va bene così è perfetto così, questo ruolo è assolutamente adatto a me, con questo non ti dico che cammino in scena facciamo anche delle piccole evoluzioni però sempre molto molto controllate molto dosate senza cadere mai nel, se vogliamo, scusami dico una parola che fra artisti non si dovrebbe dire cadere nel ridicolo, perché la mia paura è sempre stata questa e in effetti tu sai che io ho smesso di danzare la mia danza cioè lago dei cigni , lo schiaccianoci il il Don Chisciotte il corsaro che era vabbè il mio cavallo di battaglia, ho smesso di danzare perché intorno ai 36 anni ho detto basta non mi andava più di mettermi la calzamaglia di vestirmi in quel modo ero un uomo avevo già due figli avevo delle responsabilità avevo i mutui da pagare avevo un sacco di cose che non mi portavano più ad essere quel giovincello che guizzava all’interno del palcoscenico per cui al 36 anni ho detto basta. Poi ho continuato facendo altre cose tipo Zorba il greco che insomma ne avrai memoria, è stato anche quello un grande successo però era tutto molto diverso non era più quella danza per la quale io ero preparato. Ero pronto quindi, bello, perché questo stop l’ho deciso io, ho detto basta non voglio più calcare il palcoscenico, basta non lo voglio più fare e questa reentre così improvvisa mi ha dato un un guizzo di gioia e questo guizzo di gioia me lo sto, ti dico la sincera verità Paolo, me lo sto godendo tutto e vado in scena e lo faccio come possiamo dire, lo faccio con dignità e lo faccio con tanto tanto piacere.”
Raffaele questa chiacchierata tra amici, la direi così, è veramente piacevole e non ho difficoltà a dirti che secondo me sei stato uno dei pochi danzatori italiani che è stato in grado fino ad oggi di vivere la danza con la naturale evoluzione sia fisica che psicologica perché non vedo nel panorama mondiale tantissimi danzatori che hanno saputo vivere la loro età in modo coerente tu invece hai saputo gestire la tua età con consapevolezza e l’intelligenza che ti ha sempre contraddistinto ed hai affrontato ad esempio il discorso televisivo con naturalezza portando anche la bella danza come all’epoca era in televisione
“guarda Paolo io naturalmente sono assolutamente d’accordo con te, la danza che noi portavamo all’epoca in tv, parliamo di metà anni 80 più o meno, la mia prima trasmissione fu Fantastico due eravamo io Heather Parisi che comunque era una danzatrice che veniva dal classico, la stessa Fracci, ha approcciato la televisione, quindi io mi ricordo benissimo quell’edizione di Fantastico era un periodo molto florido, la mia fortuna è stata quella di essere arrivato per primo, voglio dire dal teatro alla tv. Avevo decine e decine di richieste specialmente televisive e anche dalle compagnie private ed enti lirici, Io ho avuto la fortuna di capire che al mio fianco avrei dovuto mettere sempre persone di alto livello. In quella edizione di fantastico, c’era Mario Pistoni come coreografo, cioè voglio dire un personaggio del nostro mondo della danza classica per antonomasia poi c’era Oriella Dorella e poi un bel corpo di ballo alcuni presi dalla Scala di Milano addirittura,ricordo che Mario mi diceva che faceva le audizioni ma era molto severo e voleva prendere tutti ragazzi che avessero questa duttilità, il fatto di poter stare all’interno di questo mondo così pieno di lustrini, però facendo cose ben mirate insomma modernizzando il tutto ma tenendo sempre la nostra base che era la nostra forza, il classico. Il mio successo lo si deve alla gente che da lì ha iniziato a capire qual’era la differenza tra il ballo della televisione e la danza televisiva, erano due mondi, poi l’avvento di Carla Fracci, Luciana Savignano e Oriella Dorella ha portato ancora più sicurezza e ancora più forza all’interno di questa kermesse televisiva, noi lì eravamo realmente gli ospiti eravamo un lumicino nella notte di uno sconosciuto, proprio eravamo lì piccolini messi là, però avevamo il nostro spazio, tiravamo come dire artisticamente fuori le unghie e ricordo che, non so Paolo non mi vorrei sbagliare correggimi, ma noi facevamo tipo 8 minuti di balletto e costruivamo proprio una storia, non erano sicuramente gli stacchetti che sono arrivati dopo in televisione, insomma era qualcosa di estremamente impegnativo, voglio dire che dovevamo adeguarci a quel mondo che ci ospitava e dovevamo dare il meglio. Ne sono grato perché poi è stata parte anche della mia popolarità però sempre ho cercato di fare qualcosa che fosse a livello di quella disciplina che io amavo e conoscevo che era la danza classica”
Io credo Raffaele che questa sia diventata più che un’intervista rivolta a Shine, una monografia su Raffaele Paganini il che non può che farmi piacere, per cui volevo chiudere con questa piccola provocazione: come si sta evolvendo secondo te la danza contemporanea?
“beh qui purtroppo tocchi un tasto molto delicato , è una bella provocazione però io ti dico, con il mio temperamento al di la della mia attitudine, proprio la danza sia moderna che contemporanea, se rinascessi oggi studierei tantissima danza classica come base, adoro talmente tanto il bel contemporaneo che purtroppo non lo so interpretare bene perchè non mi appartiene.
A me piace molto e nella mia piccola se vogliamo piccola esperienza trovo che ci sia stata da ieri a oggi una buona evoluzione ma circoscritta a situazioni di grande professionalità come per esempio in Germania c’è stata un’evoluzione della danza contemporanea straordinaria, devo dire che sono talmente affascinato dal mondo della danza che lo amo tutto, ovviamente è un po’ come la danza classica che se non è fatta più che bene diventava noiosa ma molto noiosa, e la stessa cosa vale per la danza contemporanea, ogni tanto scusami faccio un piccolo inciso, vedo su questi social in Internet delle variazioni di ballerini e ballerine allucinanti, fantastici, bellissimi, ecco quella danza contemporanea mi piace e mi entusiasma tantissimo, vuol dire che se c’è uno solo che lo sa fare in quel modo che è evoluto a quel livello vuol dire che c’è stato un lavoro dietro, poi dipende dalle generazioni, a quanto si impegnano affinché possano apprendere e capire che la danza contemporanea senza la danza classica diventa molto molto complicata”
Secondo me dovrebbero istituire proprio un repertorio di floor work , i ballerini nel lavoro a terra spesso vanno anche bene ed hanno movimenti molto molto interessanti però poi quando si alzano in piedi e si avvicinano alla danza lì diventa complicato diventa molto molto difficile e spesso sono impacciati.
è stata veramente una chiacchierata piacevolissima, come sempre, ti auguro tanto tanto successo per questa parte della tua vita di danzatore. Per concludere vuoi darci qualche data? dove ti porterà la tournée ?
“avremo il 3 Febbraio qui a Roma al teatro della conciliazione e poi il 21 Marzo saremo a Firenze al Teatro Verdi e poi Bologna ed altre città importanti.”
Raffaele, in bocca al lupo per la tua tournée e tantissimi complimenti per il tuo ritorno alle scene-
“ Grazie a te Paolo ed un caro saluto a tutti gli studenti del DAMS di Torino”
Dalla pellicola al palcoscenico un’operazione riuscita
Siamo da tempo abituati alle versioni cinematografiche di grandi opere letterarie e teatrali o best seller della narrativa trasformati in film campioni d’incasso. Non c’è opera di Shakespeare che sia sfuggita alla celluloide, anche se non tutte le operazioni sono state degne della matrice originale.
In questo caso ci troviamo invece a ragionare di un film che diventa una commedia musicale, quindi una rappresentazione teatrale. Una operazione tutta made in Italy quella della commedia musicale che ha origini nobili, non dal punto di vista sociale bensì per la caratura degli attori e registi che hanno dato vita ad un filone teatrale tutto italiano, appunto quello della commedia musicale e della rivista , da non confondere con il musical d’oltreoceano che seppur di matrice analoga è più votato alla produzione cinematografica.
Tornano alla mente grandi nomi come Carlo Dapporto, Erminio Macario, Delia Scala, Aldo Fabrizi, Ettore Petrolini, Gino Bramieri, Lauretta Masiero, Totò, Alberto Sordi, Renato Rascel ed ancora Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Enrico Montesano, Monica Vitti, Jonny Dorelli. Tutti grandi interpreti che proprio con questi generi teatrali hanno fatto come si dice la gavetta , eccezion fatta per Gassman artista dalle profonde radici classiche che nella sua lunga carriera è riuscito a passare con straordinaria disinvoltura da ruoli classici a innumerevoli divertissement cinematografici e televisivi, guadagnandosi la popolarità del grande pubblico.
Il film
Quando si nomina il Marchese del Grillo immediatamente torna alla mente Alberto Sordi e la sua grande interpretazione nel film del 1981 per la regia di Mario Monicelli. La pellicola prende spunto da una figura storica realmente esistita, racconta la Roma papalina di inizio ‘800 attraverso un tracciato carico di ironia e spregiudicato sarcasmo di cui il nobile romano è protagonista assoluto, e consegna uno straordinario Alberto Sordi e il film stesso alla storia della comicità cinematografica.
La trama
Siamo a Roma agli inizi XIX secolo e il potere della chiesa e quindi del pontefice Pio VII è pressoché totale. Qui vive il Marchese Onofrio del Grillo, Guardia nobile del Papa. L’ozio e l’organizzazione di scherzi ai danni di nobili e popolani sono il suo passatempo preferito , frequenta bettole e osterie, coltivando relazioni amorose clandestine con popolane e tenendo un atteggiamento ribelle agli occhi della sua famiglia, tra cui emerge la figura della madre bigotta e autoritaria.
Le sue giornate sono caratterizzate dall’irrefrenabile desiderio di prendersi gioco del prossimo senza far distinzione di razza, sesso e strato sociale, non risparmiando neppure la sua famiglia oltre allo stesso Papa. La sua spregiudicatezza senza limiti prosegue liberamente fino al giorno in cui Napoleone invade lo Stato Pontificio e i francesi entrano a Roma arrestando il Pontefice, a guardia del quale ci sarebbe dovuto essere proprio Onofrio che, invece di assicurarne l’incolumità abbandona la postazione per dedicarsi al suo passatempo preferito. Durante il periodo d’occupazione il Marchese incontra una giovane e bellissima attrice, primadonna di una compagnia francese che debutta al Teatro dell’Opera e allaccia amicizia con un giovane ufficiale di Napoleone. I discorsi di libertà del giovane e la visione moderna ed emancipata dell’attrice esaltano il Marchese al punto da indurlo a lasciare Roma per trasferirsi a Parigi. La disfatta di Napoleone a Waterloo pone la parola fine al sogno e ristabilisce le vecchie gerarchie, il Marchese del Grillo torna a Roma dove ad accoglierlo trova un clima ostile e una condanna a morte, decisa dallo stesso pontefice, per il suo alto tradimento nei confronti del Papa. Naturalmente la commedia non finisce in tragedia bensì con un finale a sorpresa, infatti il Marchese che sta per essere giustiziato altri non è che una povera vittima di uno dei tanti scherzi del nobiluomo, un povero carbonaio che è la copia perfetta del Marchese il quale, con la complicità del suo fedele servitore, mette in scena la sua burla migliore.
Il marchese in teatro
Il Sistina è per antonomasia il teatro della commedia musicale, chi non ricorda Aggiungi un posto a tavola, Accendiamo la lampada, Alleluja brava gente, grandi successi di pubblico e grandi incassi tutti firmati Garinei e Giovannini. Il pubblico romano e non solo attende la prima del Sistina come quello scaligero a Milano, una tradizione che accomuna un pubblico eterogeneo e voglioso di una parentesi di ilarità ed a volte di irriverenza nel pieno rispetto dei canoni romani: non a caso il fil rouge del Marchese del grillo è proprio lo sfottò e lo scherzo a tutti i costi. Così la trama della commedia si espande e straripa, toccando il politico il sociale ed il religioso presentando pennellate di una Roma sempre attuale con le sue problematiche e le contraddizioni che la caratterizzano e la rendono popolare nel mondo. Dopo una magistrale interpretazione di Enrico Montesano andata in scena nel 2016 con grande successo di pubblico e critica seguita da una altrettanto riuscitissima tournèe Italiana, è stata la volta di Max Giusti che si è consacrato degno successore dell’Albertone nazionale. Le due edizioni entrambe firmate da Massimo Romeo Piparo si incasellano in modo inequivocabile nella collezione dei grandi successi dello storico teatro romano. Lo stesso Piparo, a conferma della continuità vincente dello spettacolo ha voluto il medesimo cast di attori e ballerini della precedente edizione. Anche per questa edizione si profila una tournée nazionale, mentre per soddisfare le numerose richieste del pubblico e viste le numerose repliche sold-out di ottobre e novembre, la commedia musicale campione d’incassi e di risate, tornerà al Sistina in maggio 2023.
“Siamo nati in città e piccole contrade” – questo è il tema dello spettacolo presentato al Teatro Marchesa in Corso Vercelli a Torino il 18 Dicembre 2022. Il lavoro nasce come continuazione del progetto Bio-Grafia, iniziato con la precedente produzione, “Le Sorelle” e offre uno sguardo complessivo sulla società odierna di Barriera di Milano con le sue storie e i suoi sogni mancati in un crocevia di melting pot.
Dal 9 al 18 dicembre 2022, per la stagione Ritorno Al Futuro del Teatro Biondo di Palermo va in scena Don Giovanni Involontario di Francesco Saponaro. Tratto dall’omonimo testo di Vitaliano Brancati, Saponaro porta in scena il paradigma di una società patriarcale e maschilista, nella quale è più interessante parlare delle donne che far parlare le donne stesse. Una Sicilia con uomini ignobili e donne isteriche, ma belle.
Per la stagione Out Of The Blue, il Teatro Gobetti, dal 22 novembre al 4 dicembre 2022, ha presentato Dante tra le fiamme e le stelle, dell’attore e autore Matthias Martelli, con la consulenza storico-scientifica del professor Alessandro Barbero. L’adattamento teatrale vede la regia di Emiliano Bronzino e la partecipazione della violoncellista Lucia Sacerdoni, che accompagna l’attore in tutto il suo monologo.
Il David di Donatello Toni Servillo si è presentato con estrema umiltà alla masterclass tenutasi il 26 novembre durante il quarantesimo anniversario del Torino Film Festival. Facendo una carrellata sulla sua vita, Servillo è passato dal racconto di storie familiari con zii “zitelloni” che andavano soli a teatro, al suo tardo incontro con il cinema, fino a parlarci della sua visione del mondo degli attori.
Durante l’ultima settimana del Festival delle Colline Torinesi la scena è stata dedicata ai Motus che hanno portato, al centro della ribalta, tre dei loro lavori più emblematici e forti. Nelle giornate di martedì 1 e mercoledì 2 novembre, presso la Fondazione Merz, è andato in scena You were nothing but wind.
“Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler essere in accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili, le rarità ai rari”
(Friedrich Netzsche)
Come ci suggerisce Marianna Tomasello “L’idea che l’universo sia un tutto ordinato e ben connesso in ogni sua parte è un tratto comune al pensiero cosmologico greco […] La convinzione che l’universo sia strutturato secondo delle regole e proporzioni precise è rintracciabile già nei miti cosmologici che tengono inoltre conto che l’ordine stabilito dal dio sia un ordine opportuno e, accordando ogni elemento al suo interno, sia conveniente e miri a un fine”.
Quest’idea greca del cosmo come “ordinato”, “proporzionato” e “accordato” si organizza attorno a dei modelli che toccano diversi ambiti semantici ma il più diffuso che assume un posto di rilievo per la vastità di letteratura a riguardo è l’ARMONIA intesa in senso musicale.
Ma nel caso specifico della tragedia “la musicalità” dell’universo non è mai rappresentato attraverso l’immagine familiari dell’armonia delle sfere: i termini che la esprimono rimandano piuttosto alla sfera del canto e a quell’idea del potere magico della parola, che trova dimostrazione in quella capacità reificante della parola del dio.
Tomasello prosegue dicendo che nei processi di simbolizzazione, propri del pensiero tardo arcaico, si pongono le basi per una rappresentazione del mondo secondo i termini delle scienze musicali sottolineando questa particolare attenzione al canto.
Questa premessa diventa interessante nel momento in cui ci troviamo ad analizzare i due spettacoli dei Motus: You were nothing but wind e Of the Nightingale I envy the fate che ci propongono l’approfondimento di due importanti figure femminili della tragedia greca che arrivano da quell’universo apocalittico delineato in Tutto Brucia in cui veniva brutalmente mostrato il mondo de Le troiane di Euripide.
I due lavori proposti decidono di indagare ognuno la linea narrativa di un personaggio, approfondendo il mondo interiore di Ecuba in You were nothing but wind e di Cassandra in Of Nightingale I envy the fate.
Partiamo per entrambi gli spettacoli da un assunto comune: il “mondo” dal quale provengono Ecuba e Cassandra è ormai bruciato. Persino il loro legame di madre e figlia è ormai estinto, tanto da doverle indagare separatamente senza più alcun nesso tra loro. Entrambe profanate nel corpo e nello spirito vivono l’impossibilità di un risanamento. Quest’ordine perduto per sempre porta a uno stravolgimento del sé, che si concretizza nell’unico atto possibile: il “suicidio” dell’umano. Questo scenario apocalittico produce un universo disarmonico in cui la parola non solo non è più magica, incapace di reificare, ma perde ogni scopo: in assenza di un dio, in assenza dell’uomo, non è più musica, non è più canto.
Quindi che rimane? Cosa ancora una volta può emergere da quelle ceneri, “pronta a testa bassa a continuare, perché ancora una volta, non era previsto che sopravvivesse”?
La bestialità.
Come si legge nell’Ecuba di Euripide, alla fine la donna accetterà di essere trasformata in una “cagna dagli occhi di fuoco”, sostituendo alle parole/canto dissonanti latrati.
Questo latrato cacofonico stona e risulta sgradevole all’udito, proprio perché rappresenta una trasgressione alle regole sia della prassi musicale che della forma tradizionale del genere poetico. Ma il mancato rispetto di un sistema di riferimento comunemente accettato costituisce un elemento di disturbo che ha l’effetto di risultare estremamente sgradevole e irregolare, esattamente come estremamente sgradevoli e irregolari sono state le vicende vissute da Ecuba. Quindi in questa demoniaca trasformazione in cui l’usurpatore vince persino la natura umana di Ecuba, il suo latrato è un atto di ribellione che vuole apertamente contrapporsi all’ARMONIA di un sistema ingiusto.
Nei testi della letteratura greca il “canto” di Cassandra è spesso paragonato a quello di un usignolo perché come quella dell’uccello anche la sua voce è forte e acuta, non solo per dar sfogo al dolore, ma perché vuole o deve farsi sentire. Nello spettacolo la metamorfosi animalesca fa sì che le parole/canto delle sue profezie vengano tramutate in acuti cinguettii di usignolo. Un usignolo a cui sono state strappate le ali e a cui è impossibile fuggire, condannato a strisciare nella terra come condizione che non gli appartiene. L’acutezza del suono, insieme alla forte emotività che lo connota, è funzionale perciò ai contenuti che si vogliono veicolare, e come per Ecuba questa scelta formale costituisce nello stesso tempo impossibilità di comunicazione verbale che diviene cifra espressiva.
“Par ch’abbia entro le fauci e in ogni fibra
rapida rota o turbine veloce.
Sembra la lingua, che si volge e vibra,
spada di schermidor destro e feroce”.
(da Canto dell’usignolo di Giovan Battista Marino)
Nel flyer che accompagna lo spettacolo dedicato a Cassandra si legge che stiamo assistendo a una “performance-grido” che precede l’ingiusta uccisione della giovane. All’interno della sua maledizione di profeta non creduto, il grido di Cassandra diviene non solo contrappunto che si sviluppa come linea melodica indipendente rispetto a ciò che accade, in quanto deve ancora accadere, ma è al contempo un canto funebre, una lamentazione che ella intona per se stessa.
Un altro elemento che accomuna entrambe le performance è la scelta di connotare i personaggi all’interno di una dimensione che evoca antichi rituali sciamanici, come dichiarato nello stesso flyer dello spettacolo su Cassandra:
Un rito sciamanico dove si fondono la stereotipica fragilità femminile e il suo spirito di vendetta infuocato, le funeste visioni del futuro, come la prodezza animale, l’eleganza del gesto e dello sbattere di ciglia […] in dialogo con una luce mobile (d’oltremondo?) che la insegue e la sfida.
In questi scenari post-umani il tentativo di ricorrere ad un tramite sciamanico, che come è noto utilizza spesso nei suoi riti elementi musicali, per risanare l’insanabile, lo ritroviamo anche nello spettacolo dedicato a Ecuba. Pensiamo infatti alla scelta di mettere il pubblico in cerchio attorno a un cumulo di cenere dal quale emerge, non come fenice, ma come animale ferito, relitto, sopravvissuto, la “cagna” Ecuba.
Immaginatevi seduti in un cerchio con gli altri membri della vostra comunità. Vi siete raccolti insieme per sostenere un membro della comunità che sta soffrendo a causa di una esperienza traumatica. Sapete che una persona sta soffrendo e che la malattia va ad influenzare l’intera comunità. Così sei arrivato per aiutare e per mantenere sacro lo spazio, affinché avvenga la guarigione.
(in merito allo sciamanesimo in Recupero dell’Anima. Guarire il Sé Frammentato di Sandra Ingerman)
Ma all’interno di questa circolarità e nonostante il tentativo di Ecuba di avvicinarsi al pubblico con l’illusione di trovarci uno sciamano tramite di guarigione, la salvezza è una chimera. Intanto perché noi non siamo la comunità a cui Ecuba appartiene, comunità che è stata annientata, ed è chiaro il nostro totale disinteresse a farla entrare nel cerchio della nostra comunità. Lei infatti non siede accanto a noi, si pone difronte a noi con le sue ferite esposte, urlante, con quei dissonanti latrati. Non nostro il compito di una sua ipotetica guarigione, né tanto meno vogliamo assumercene la responsabilità.
Al massimo proviamo compassione là dove non sentiamo ribrezzo, per quell’essere intenzionalmente sgradevole che manifesta così il suo ultimo atto di protesta. E l’intervento del deus ex machina arriva come atto risolutivo nei confronti del nostro dramma interiore di spettatori, non per quello di Ecuba, che si è già risolto ancora prima di emergere da quelle ceneri. Il dramma è il nostro ed è in quella battaglia tutta interiore di vincere quel turbamento di dover condividere uno spazio così angusto ed intimo con la sgradevolezza di un reietto. Quel turbamento nell’essere costretti a non poter distogliere lo sguardo da quelle oscene ferite.
Quindi l’arrivo di un uomo in tuta da lavoro che con una spazzatrice tira via quello che rimaneva delle ceneri e ciò che rimaneva della stessa Ecuba, salva noi dall’imbarazzo. Adesso il campo è sgombro, è finita, possiamo ritornare al nostro ordinato e armonico orticello, ripulito dal putrido fogliame, incapaci come siamo di imparare alcuna lezione, nonostante i recenti avvenimenti. Incapaci di comprendere che dalla “salvezza”, dalla “guarigione” dell’altro dipende anche la nostra.
Destinati all’estinzione perché troppo incivile e selvatico ci appare il talento, in fondo atavico, dello sciamano.
Nina Margeri
Per i riferimenti agli spettacoli si rimanda ai rispettivi link:
Sabato 29 e domenica 30 ottobre 2022 lo spettacolo BROS di Romeo Castellucci è andato in scena presso Le Fonderie Limone di Moncalieri, in occasione della 27esima edizione del Festival delle Colline.
I protagonisti di questo spettacolo sono i civili: chiamati come figuranti a vestire i panni di un nutrito gruppo di poliziotti e ad eseguire pedestremente gli ordini ricevuti in scena tramite un auricolare.