Come non invecchiare? Ricordare, rivivere, reinterpretare? Occuparsi di qualche cosa? Un pianoforte, due poltrone, una lampada, un divano consunto, una chitarra acustica con il suo amplificatore, un charleston, qualche pianta: un luogo indefinito nel quale Zio Vanja, Sonja e Astrov si trovano a vivere dieci anni dopo la partenza di Elena e Serebrijakov. Si ritrovano o, meglio, sembrano perdersi nel ricordo della vicenda čechoviana. Tentano di leggere il passato, di proiettarsi nell’avvenire, lasciando il loro messaggio. Continua la lettura di VANJA 10 YEARS AFTER
MDLSX: un viaggio oltre i confini del corpo, oltre i generi, OLTRE!
” Sono nata due volte: la prima volta femmina e la seconda maschio.”
Silvia Calderoni, attrice della compagnia “Motus”, in MDLSX si mostra capace di manovrare qualunque strumento al proprio servizio.
Sul palco interpreta la figura del Cyborg in veste di vj-dj, avvalendosi di strumenti tecnologici come microfoni che filtrano, a seconda della tipologia, in modo diverso la sua voce; un traktor che le permette di accompagnare la sua performance con numerose tracce musicali significative; un Go Pro usato per filmarsi in alcuni momenti dello spettacolo; un video-proiettore che a volte proiettava su una parte del fondale del Palco, le immagini registrate dal Go Pro, mentre altre volte trasmetteva video di brandelli autobiografici.
Ho appena definito il personaggio della Calderoni come Cyborg, tralasciando però di spiegare chi e che cosa sia il Cyborg.
Dunque, questa figura è allo stesso tempo uomo e macchina, è un individuo non sessuato, né maschio né femmina, collocato oltre le categorie che noi abitualmente usiamo per interpretare il mondo.
Il Cyborg è arrivato a comprendere che i confini determinati dal sesso, dal colore della pelle, dalla nazionalità sono costruzioni culturali e imposizioni della società.
Inoltre è consapevole di come e quanto la scienza sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato la nostra vita, influenzando soprattutto la concezione del corpo, che non è più inalterabile e intoccabile, ma diventa manipolabile e campo di sperimentazione; pensiamo ad esempio all’ utilizzo delle lenti a contatto oppure all’ aggiunta di protesi.
Quindi, se il corpo può essere “gestito”, viene smentita l’ idea che vede esso come, esclusivamente, sede di naturalità.
Ecco che andare oltre le categorie e oltre i confini sociali significa superare i dualismi (maschio-femmina, naturale-artificiale, bianco-nero, corpo- mente) e semplicemente essere e riflettere sé stessi.
Silvia Calderoni affronta per un’ ora e mezza un viaggio-performance, raccontandoci con parole, canzoni, video, azioni simboliche, spesso forti e spiazzanti, la storia di un individuo Cyborg: una bambina nata femmina che si abbandonerà al flusso del cambiamento, per lei necessario e inevitabile, e rinascerà una seconda volta.
Sul palco il tavolo con la strumentazione della Cyborg Donna.
Un grande telo triangolare a terra.
Sullo sfondo una circonferenza sporgente dove viene proiettato un filmato di un ricordo dell’ infanzia della nostra protagonista: lei da bambina che canta al microfono.
È particolarmente stonata, il pubblico in sala ride.
Ecco che entra in scena dalla platea Silvia Calderoni, raggiunge il palco, afferra una bomboletta e inizia a spruzzarsi i capelli, muovendosi nevroticamente (per quasi tutta la performance manterrà un atteggiamento nevrotico, con gesti agitati e compulsivi e scatti continui).
Fa partire la prima traccia musicale e inizia a raccontare…
Così come la nostra attrice è stata diretta e “cruda”, spesso spiazzante, nell’ esporci la storia, lo sarò anche io riassumendovela.
Nel 1960 nacque una bambina dai lineamenti del viso particolarmente maschili.
Crescendo il suo fisico era sempre meno femminile, il seno non compariva, il suo petto era simile a una tavola da Surf, si ritrovò perciò rinchiusa in un corpo avente un unico elemento che la identificava come appartenente alla categoria genetica “donna”: la vagina.
Durante l’ adolescenza foltissimi cespugli di peli iniziarono a crescerle in modo spropositato. Silvia interpreta questo momento della vita della Protagonista avvalendosi di peli mostruosamente lunghi, che infila nella manica della maglietta e sotto i pantaloni, facendoli fuoriuscire all’ altezza delle ascelle e del pube.
Prende il sopravvento sulla Ragazza-Maschio la paura dello specchio, che la induce a riflettere sulla propria identità, a cercare risposte a domande scaturite dal confronto del proprio corpo con quello delle altre adolescenti che avveniva, ad esempio, nello spogliatoio di Hockey; ma soprattutto, dal fatto di essere consapevole che il suo corpo, i suoi cromosomi, insomma la sua “malattia” fosse oggetto di studio di un dottore.
Un giorno si ritrova davanti alla sua cartella clinica, la apre, la legge, prende l’ enciclopedia, cerca la definizione della sua malattia, nella descrizione viene indicato un rimando a un’ altra patologia, da quest’ ultima un’ altro collegamento, un’ altro termine, sfoglia, legge e si ritrova vittima di un effetto domino di definizioni che lei omologa e traduce con un solo termine:
<<MOSTRO. MOSTRO. MOSTRO. SONO UN MOSTROOOO! MI VEDONO COME UN MOSTRO!!>>.
Il momento del cambiamento necessario è arrivato.
Decide di partire, prende la valigia e si avvia verso la sua RI-nascita: lei, individuo nata femmina, rinasce maschio diventando LUI.
Si apre una nuova parentesi della sua vita che resta pur sempre infelice.
Ora indossa una coda da sirena e vende il suo corpo, “sballato” perso.
Prima di ricevere i clienti fuma numerose canne e beve acqua, che non era solo acqua, come se fosse solo acqua, arrivando a percepire sempre meno il cliente e tuffandosi nella piscina dello sballo, dove, illusoriamente i pensieri che vuole evitare, annegano.
<< Una volta ero talmente sballato che feci una cosa che non avevo mai fatto: mi sono buttato nella vasca e ho aperto gli occhi sotto acqua e ho visto i visi dei clienti. >> .
Si accendono le luci in sala gradualmente. Silenzio. Qualche minuto di sospensione, la Calderoni ferma sul palco, come se lo spettacolo fosse concluso. Ho avuto quasi l’ impressione che l’ intento di quella situazione fosse proprio quella di portare il pubblico a guardarsi.
Riprende la storia…
Una “sfortunata” sera arriva la polizia al locale, le viene data la possibilità di chiamare un famigliare e lui decide di chiamare suo fratello.
Insieme, fratello e FRATELLO tornano a casa, arrivati suo padre apre la porta e….
<< Papà io sono sempre stato così>>.
Frase accompagnata dalla proiezione di un filmato che mostra una piccola festicciola famigliare, dove padre e figlia/figlio ballano e cantano serenamente.
Il padre, il fratello e il personaggio interpretato da Silvia, tutti quanti sono andati oltre, oltre le imposizioni sociali, oltre le categorie che altro non sono che costruzioni culturali, oltre i dualismi, oltre il genere maschile o femminile.
Lo spettacolo affronta in modo particolare, comunicando sia attraverso la parola, il gesto e la musica, un tema non facilmente accessibile e che richiede profonde riflessioni.
Silvia Calderoni si immerge in una performance piuttosto spiazzante, sparisce dietro il personaggio da lei interpretato, si mostra disinibita e “pronta” nelle scene di nudo dove strofina violentemente le sue parti pubiche, si trasforma insieme all’ individuo Cyborg.
Le luci, l’ atmosfera della struttura delle Lavanderie a Vapore, la voce della Calderoni e le tracce musicali accompagnano lo spettatore nel viaggio oltre i confini e oltre le categorie, fornendogli numerosi input significativi per iniziare a riflettere su un tema a cui probabilmente non han mai dedicato molta attenzione: l’ identità è un genere?
Ammetto che la comprensione dello spettacolo non è stata immediata, ma frutto di una riflessione e di una rielaborazione della performance vista e ascoltata.
Lo spettacolo mi ha spinta a provare a ragionare sull’ individuo Cyborg, ho cercato informazioni riguardo argomenti di cui prima ignoravo l’ esistenza.
Insomma MDLSX è uno di quegli spettacoli che, seguito con attenzione, e allo stesso tempo lasciandosi trasportare dal viaggio che ti propone e tendente all’ OLTRE, ti colpisce, fa scattare qualcosa in te e improvvisamente ti ritrovi travolto da una cascata di domande: con il fiato sospeso inizi a ragionare alla ricerca di risposte!
di Daniela Nicolò e Silvia Calderoni
regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
drammaturgia Daniela Nicolò e Silvia Calderoni
suoni Enrico Casagrande
in collaborazione con Paolo Panella e Damiano Bagli
luci e video Alessio Spirli
produzione Motus
in scena alle Lavanderie a Vapore
ORGIA: una spirale nevrotica di vita e di morte
«Orgia – rispondeva così Pasolini, nel 1968 – è il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il rapporto tra diversità e storia».
«La mia Orgia è la tragedia di chi non sa stare al mondo» risponde, invece, più sinteticamente Licia Lanera, regista, nonché attrice protagonista di questa revisione moderna, e a tratti un po’ punk, dell’omonima tragedia dello scrittore bolognese e fondatrice nel 2006, insieme al drammaturgo Riccardo Spagnuolo, della compagnia Fibre Parallele.
Ed è proprio quest’ultima a ridurre a uno la trinità del corpus pasoliniano, consegnando l’inadeguatezza e la difficoltà del vivere nelle mani e nel “cappuccio nero della felpa” dell’Uomo:
«Sono l’Uomo e la Donna perché io sono già quell’ambiguità, non c’è bisogno di travestimenti. La tragedia è di entrambi, solo la prostituta è totalmente inconsapevole del mondo. Il rapporto di potere, di carnefice e vittima, di dominio, tra marito e moglie, è però in fondo paritario, non lo è fisicamente ma mentalmente sì» spiega l’attrice.
I protagonisti vivono in due realtà: quella superficiale fatta dell’odore dei gelsi profumati, di sorrisi e di ingenuità e quella nuda e cruda della camera dei due sposi, dove si consuma ogni forma di piacere, di terrore, di rimorsi e di violenza, poiché quest’ultima è l’unico mezzo in grado di mettere in comunicazione le due fragili belve.
Una poltrona al centro del palcoscenico, un leggìo, un microfono – scelto appositamente dalla Lanera – per risuonare meglio, un cappuccio per trincerarsi e da tirare sopra la testa fino a coprire gli occhi; un’alternanza di luci e buio dove si muovono dei pesanti anfibi neri e un corpo irrequieto e pulsante che resta in ascolto della sua stessa voce registrata, riempiono il palcoscenico del Teatro Astra, che in occasione del Festival delle Colline Torinesi, ha ospitato la prima nazionale dello spettacolo.
Nella rilettura della Lanera, dove carnefici e vittime si scambiano continuamente i ruoli, viene enfatizzata la tragedia della diversità, cara a Pasolini, insieme a quella della linguistica: in particolare viene enfatizzata la dicotomia tra linguaggio verbale (inesistente e frivolo) e linguaggio del corpo, con i suoi tratti barbari e animaleschi.
Il monologo finale dell’Uomo, che uccide la moglie-serva dopo aver messo in atto con lei pratiche sadomasochiste, vuole renderci consapevoli che la realtà intorno a noi è fatta di parole macchiate di menzogna, che addirittura ci vengono insegnate sin dall’infanzia; sono «parole, parole, parole che parlano», che riempiono le nostre cucine, i nostri luoghi di vita, le nostre camere da letto… parole che, in realtà, non hanno nulla da dire. Ricorrere alla violenza sembra ormai essere l’unico modo per l’Uomo di colmare questo vuoto, che lo porterà sino al suicidio: «Ho scoperto che c’era un qualcosa che mi tranquillizzava nel tenere la testa nel mio stesso vomito…».
Ed è soltanto grazie al suicidio, che egli raggiungerà la completa libertà. Durante i 60 minuti di spettacolo, infatti, la scenografia della Lanera muta via via forma, diventando sempre più grottesca, squallida e nauseante, quasi si stesse preparando un rito di morte, che è allo stesso tempo rinascita e vita.
La novità della messa in scena consiste, poi, nell’incursione dell’incalzante rap di Eminem e nell’apparizione di tre dipinti seicenteschi (Paesaggio con la Ninfa Egeria di Claude Lorrain, Maddalena in estasi di Caravaggio, Ila e le Ninfe di Francesco Furini), riprodotti dal pittore Giorgio Calabrese: immagini che permettono uno sdoppiamento della visione teatrale.
La voracità e la spregiudicatezza delle parole e dei movimenti di Licia Lanera, la sua crudeltà e la sua nudità scenica fanno del testo di Pasolini una “bomba a mano” in procinto di esplodere addosso al pubblico e di farlo riflettere su quanto sia estenuante vivere in un mondo dove i rapporti sociali altro non sono che rapporti violenti e di potere, in cui c’è sempre chi copre il ruolo di vittima e chi quello di carnefice, ma anche dove il carnefice è egli stesso vittima, quasi a rovesciare il concetto darwiniano di selezione naturale, dove a perdere e a vincere siamo tutti e non solo il più forte!
Martina Di Nolfo
ORGIA
Fibre Parallele
di Pier Paolo Pasolini
regia Licia Lanera
con Licia Lanera
e Nina Martorana
regista assistente Danilo Giuva
consulenza artistica Alessandra Di Lernia
luci Vincent Longuemare
costumi Antonio Piccirilli
dipinti Giorgio Calabrese
tecnico di produzione Amedeo Russi
organizzazione Antonella Dipierro
spazio Licia Lanera
produzione Fibre Parallele
coproduzione Festival delle Colline Torinesi, CO&MA Soc. Coop. Costing& Management
con il sostegno di L’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino
la compagnia è sostenuta dal MiBACT
Roberta Cade in Trappola: Viaggio verso il pianeta G570
Stanza piccola, buia.
Al centro, una scrivania, una pila di diari, un microfono, un bicchiere d’acqua, due attori, una piantana, una videocamera, un libro, un registratore.
Dai nastri escono rumori, suoni, canzoni di un tempo, voci.
“Questo spettacolo inizia con un numero di magia!”
Continua la lettura di Roberta Cade in Trappola: Viaggio verso il pianeta G570
ALEARGA: la donna che corre
Geppetto e Geppetto: biologia o sentimento?
“Toni perché abbiamo desiderato così tanto avere dei figli, forse per paura di rimanere soli?”
“No Franca, no, i figli non si fanno per questo!”
Anche io – seppur nella condizione di figlia e non ancora di genitore- confesso di essermi chiesta parecchie volte quale senso abbiamo noi figli per i nostri genitori e che senso ci sia nel desiderarci a tutti i costi. Avere figli può essere emozionante, talvolta può essere controproducente; il rapporto genitore-figlio non è sempre roseo, ci possono essere difficoltà economiche, ideologiche e pratiche, eppure sono sicura che qualsiasi madre sacrificherebbe la propria vita per quella del figlio, senza esitazione!
Mi sono interrogata sulla tanto discussa “stepchild adoption” e se essa nasca da un reale desiderio d’amore o se, in fondo, non sia un pretesto per affermare il proprio orgoglio omosessuale e i propri diritti in un paese, sotto molti aspetti, ancora ben poco al passo coi tempi. Il regista Tindaro Granata mi ha fatto capire, pragmaticamente, che non c’è alcun senso, in realtà, nell’essere genitore e nell’essere figlio, esattamente come nell’amore: quando si ama qualcuno, lo si ama e basta, e si ama con esso la follia, il desiderio e le difficoltà che comporta. E così succede nel rapporto tra genitori e figli.
Con una scrittura empatica e aderente alla realtà, Granata porta in scena – in prima nazionale alla XXI edizione del Festival delle Colline Torinesi – Geppetto e Geppetto, la storia di Toni e Luca, due uomini che si amano, e che sono disposti ad andare contro tutti e contro tutto per avere il figlio che tanto desiderano. Dopo qualche esitazione, partiranno per il Canada, dove ricorreranno all’inseminazione artificiale tramite una “gravidanza per altri” (pratica vietata nel nostro paese). Dopo il ritorno in Italia e un lutto imprevisto, il figlio Matteo dovrà fare i conti con la difficoltà che il crescere comporta; mentre Luca farà i conti con il rapporto travagliato che ha con il figlio, rapporto che, solo nel finale commovente, troverà un suo positivo modo di esprimersi.
Una vicenda, quella di Geppetto e Geppetto che, a partire dalla favola di Collodi, cita un celeberrimo padre single, Geppetto appunto. Come ha spiegato, Granata non si schiera né “pro” né “contro” la questione, ma racconta la “semplice” storia di un papà che vuole fare unicamente il papà e di un figlio che vuole fare il figlio… “Se solo ci fosse più amore” ripete spesso ironicamente Luca, interpretato dallo stesso Granata, ci sarebbero meno problemi!
Estremamente attuale è dunque il tema dello spettacolo che richiama la legge Cirinnà (tanto criticata da una parte, tanto attesa dall’altra) su unioni civili e convivenze, legge infine approvata dopo un lungo iter.
“Ho rubato pensieri e ignoranza dalle persone; ho rubato loro paura, dolcezza, rabbia, intolleranza, odio e amore. Ho annotato sulla linea ferroviaria Cosenza- Milano Centrale punti di vista e luoghi comuni” spiega Granata , “così sono salito sui tram, ho incontrato persone, mi sono finto un giornalista per raccogliere riflessioni di madri e di donne spaventate da questa tecnica che prevede un utero in affitto”. Esempi lampanti sono infatti la figura di Franca (Alessia Bellotto), l’amica di famiglia e la maestra elementare di Matteo (Lucia Rea per la prima volta sul palcoscenico).
Efficace, nella sua semplicità, la scenografia: un tavolo al centro della scena e sedie lungo i lati del palcoscenico. I costumi sono magliette nere con dei nomi attaccati, che via via si staccheranno durante i 90 minuti dello spettacolo, perché la volontà della regia è quella di dare voce a personaggi, focalizzando l’attenzione sul dinamismo delle situazioni più che sulla realtà statica dei caratteri. Non manca poi un’attenta riflessione sui diversi tipi di famiglia di oggi. Granata ne mette a confronto tre. Quella cosiddetta normale di Walter, caro amico di Matteo, preoccupata unicamente dell’agognato “posto fisso” in azienda, scordando così le reali attitudini del figlio; quella a stampo “matriarcale” di Lucia, alla quale è mancato un padre, e quella “strana”, forse la più invidiata, e forse la più bella nonostante i problemi, di Matteo Luca e Toni.
Quest’ultima si scontrerà con la madre di Toni (Roberta Rosignoli) che metterà in discussione il rapporto con il figlio poiché totalmente contraria al modo in cui dovrà nascere Matteo: “Non è che uno può pensare una cosa e poi la fa! I figli sono una cosa seria…siamo animali che amano”.
A fare da “intermezzo musicale” allo spettacolo ci sono frammenti registrati durante il Family Day del 30 gennaio scorso, che riportando voci distoniche e opinioni dei manifestanti, voci che paiono aggredire la platea!
Per concludere, sono stati invitati a raccontare la propria esperienza, due “Geppetti” in carne ed ossa: Francesco e Piero, due uomini che, come Toni e Luca, si amano e che stanno lottando per avere un figlio, ben consapevoli delle difficoltà di crescerlo. I figli sono una cosa seria e i genitori lo sono altrettanto per la nostra identità di figli; quando si parla di avere due padri o due madri, di affittare un utero, non so dove stia la ragione, cosa sia davvero giusto e cosa sbagliato, ma forse dovremmo togliere a questa questione un po’ di biologia e metterci un po’ più di sentimento: in fondo anche un nonno, una nonna, un amico, un cane o gatto possono essere la nostra famiglia. Tutti sbagliano, tutti amano, tutti odiano e tutti hanno diritto ad avere diritti. Se poi a far da mamma è un padre e far da padre è una mamma forse poco importa, no?
Martina Di Nolfo
Geppetto e Geppetto
Scritto e diretto da Tindaro Granata
Con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli.
Coproduzione: Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res.
Regista assistente: Francesca Porrini
Allestimento: Margherita Baldoni
Luci e suono: Cristiano Camerotti
Movimento di scena: Micaela Sapienza
Presentato “Teatro a Corte” 2016
Venerdì 20 Maggio è stata presentata la nuova edizione di Teatro a Corte, l’importante iniziativa che ormai da diversi anni dà risalto alle celebri dimore sabaude.
La fondazione TPE affiancata dal sostegno di Fondazione CRT, Compagnia San Paolo, dalla Regione Piemonte e dalla Città di Torino, dà vita alla decima edizione di questo festival. Un appuntamento ricco di spettacoli, tutti improntati sull’innovazione e sulle arti digitali. A comporre il calendario della durata di otto giorni, saranno presenti infatti ben 19 compagnie internazionali, che con i loro spettacoli creeranno un’iniziativa dal fascino particolare.
Ormai diventato tratto distintivo di questo festival è l’inclusione scenografica degli allestimenti, la quale tiene conto degli sfarzosi scenari donati dai palazzi.
I luoghi dove si terranno gli spettacoli sono: Il castello di Agilè, Racconigi e Rivoli, Palazzo Madama, Stupinigi e la Venaria Reale.
Sono consigliati abbonamenti prolungati a tutta la durata del festival al costo di 100 euro. Esistono inoltre altre soluzioni, nate dalla collaborazione con il Festival delle colline torinesi, che include quattro spettacoli al costo di 32 euro.
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Rising. Danzando verso il Cosmo
Danzatore anglo-indiano di Kathak e Bharata Natyam, due danze tradizionali dell’India, Aakash Odedra è stato ospite della Lavanderia a Vapore di Collegno il 18 aprile. Lo spettacolo si compone di quattro assoli che, certamente, possono avere vita autonoma sulla scena, ma allo stesso tempo accompagnano lo spettatore in un percorso che trae origine dalla Madre Terra, percossa con i piedi, passa attraverso una dimensione animalesca a tratti felina, giunge a una sfuggente
dimensione umana per approdare, infine, alle più alte sfere del Cosmo. Continua la lettura di Rising. Danzando verso il Cosmo
La donna serpente
Dalla buca d’orchestra si sgranchiscono i violini, si scaldano le corde delle viole. A poco a poco si risvegliano tutti gli strumenti in un tocco di bacchetta. Sale in platea uno sciame di note irrequiete e d’un tratto un cono di luce illumina i volti di ballerini che compaiono poco per volta. Lo sfondo scenografico è discreto ed essenziale composto da soli elementi geometrici, neutri, che permettono di far risaltare pienamente gli attori in scena. Inizia un racconto animato da creature fantastiche, la fiaba dell’immortale fata Miranda e del suo amore per il mortale Altidòr, re di Téflis. È la lotta tra un sentimento sconfinato e il volere dell’autorità paterna, sviluppati in un gioco di voci, in un dialogo tra un soprano e un baritono, tra i toni leggeri dei flauti e quelli cavernosi delle percussioni a caratterizzare l’opera di Alfredo Casella.
La regia dello spettacolo è affidata all’attore e regista Arturo Cirillo, che lavora su La Donna Serpente sottolineandone il velo leggero di crudeltà che ne attraversa le righe, in cui i protagonisti si vedono obbligati ad un cammino di purificazione attraverso il dolore. Anche qui, come in ogni fiaba, è presente lo scontro tra il male e bene, incarnati rispettivamente in Demogorgone (padre di Miranda) e Miranda, che viene rappresentato attraverso mutamenti scenici inaspettati, alternanze improvvise di luci e ombre, intermezzi comici, accadimenti tragici e magici, nel trionfo della massima potenzialità espressiva.
È un movimento altalenante tra eroicità e debolezza spettaccolarizzate, nel sottile confine tra amore e maledizione che si sfidano in una prova iniziatica: una prova d’inganni, viene ordita da Demogorgone per Altidòr, ignaro della propria responsabilità verso il destino della sua sposa. Inevitabile è il passaggio attraverso il dolore, cantato e danzato nella costante moderazione, rifuggendo gli eccessi dei toni melodrammatici. La metamorfosi è il punto centrale dell’opera inscenata con maestria nell’alternanza di canto e ballo: con il corpo squamato e la lingua biforcuta, la donna canta la sua triste sorte accasciata in un angolo, assorta nei suoi aspri dolori, mentre una ballerina ne sottolinea, con il corpo contorto, la disperazione.
Il racconto, che inizialmente si sviluppa con un ritmo lento e poco coinvolgente, e con l’orchestra che pare non essere ancora decisa al decollo, continuerà con più scioltezza e fluidità fino al terzo atto. È una rappresentazione che si mantiene viva anche se talvolta tende a perdersi in una leggera prolissità portando a volte il pubblico a distrarsi.
Si agitano gli archi, una cascata di campanellini accompagna le voci femminili del coro in festa; l’attenzione degli spettatori viene ricuperata abilmente con un ultimo lazzo di personaggi comici, un botta e risposta tra cantanti e orchestra: trionfa la gloria nel banchetto in onore del Re e della Regina. Gloria a Miranda e Altidòr, gloria ai loro spiriti innamorati. Il palco brulica di voci sprigionando emozioni che invadono il pubblico, tutti i personaggi entrano in scena per festeggiare gli innamorati stretti nei loro abbracci e circondati dall’eco “Tutto è vano ciò che amor non è.”
Teatro Regio, Giovedì 14 Aprile 2016 – Domenica 24 Aprile 2016
LA DONNA SERPENTE di Alfredo Casella Opera fiaba in un prologo, tre atti e sette quadri. Musica di Alfredo Casella.
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Fattoria Vittadini
Nuovo allestimento
in coproduzione con Festival della Valle d’Itria
Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”
La quinta puntata de “I Tre Moschettieri”, esperimento di “teatro a puntate” prodotto dalla fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa) in scena al teatro Astra e diretta da Andrea Baracco sul testo riscritto da Ghigo de Chiara, soddisfa le aspettative e la curiosità destate.
Ormai la vicenda di D’Artagnan e dei suoi fedeli compagni Athos, Porthos e Aramis è già avviata, ma Continua la lettura di Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”