La tragedia del vendicatore, visto alle Fonderie Limone di Moncalieri dal 20 al 25 novembre, è uno spettacolo diretto dal celebre regista inglese Declan Donnellan, alla sua prima direzione di un cast totalmente italiano e prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, su testo del giacomiano Thomas Middleton (contemporaneo di Shakespeare).
In un’Italia di un periodo imprecisato in cui il potere e la corruzione dilagano senza pietà sotto l’autorità del Duca, il giovane Vindice vuole rendere giustizia alla donna amata, che è stata stuprata e avvelenata dal corrotto regnante nove anni prima. Già il nome del protagonista è collegato all’idea di vendetta. Da questa premessa si snoda una vicenda di sotterfugi e inganni, intrisa di sangue e di sesso, che mette a nudo la natura dell’essere umano.
Una natura debole, assoggettata alla sete di potere, alla lussuria e a ogni vizio e peccato possibile e immaginabile. Gli uomini raccontati da Donnellan, interpretati da un cast eccellente ed estremamente affiatato, sarebbero disposti a vendere l’anima al diavolo per la sete di potere (o 15 minuti di celebrità), per un momento di passione o per un se pur credibile e invitante, ma misero ed effimero, miglioramento di carriera e di condizione sociale. Sono assassini, patricidi e fratricidi il Duca e la sua progenie; sono madri snaturate (Pia Lanciotti) la Duchessa, per lussuria, e Graziana, madre di Vindice, Ippolito e Castiza (interpretati da Fausto Cabra, Raffaele Esposito e Marta Malvestiti), che arriva quasi a scambiare la verginità della figlia per il lusso della corte.
La Vendetta è l’unico atto in grado di rendere giustizia, atto catartico all’ennesima potenza, in grado di riportare la Giustizia in un mondo corrotto e di infimi valori morali. Questo è ciò di cui Vindice (nomen omen) è fermamente convinto, sicurissimo di essere talmente al di sopra di quel mondo che lo circonda da non poterci finire dentro. «Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te». L’emblematico aforisma di Nietzsche riesce a catturare l’essenza del protagonista, e del fratello Ippolito, che, al momento cruciale della vicenda, in cui la vendetta sul Duca si compie, l’abisso scruta dentro Vindice, che, a mente fredda come un serial killer, trova conforto e piacere nel dolore del Duca. In scena c’è un cameramen che i riprende i dettagli di questa scena pulp e la esaspera, rendendo Vindice una sorta di voyeur. Voyeur in questo contesto è la traduzione più vicina al termine tedesco schadenfreude che definisce una persona che gode nel vedere situazioni di sofferenza o la sfortuna degli altri. Il termine però ha un’accezione preminentemente sessuale e che rende la scena quasi pornografica. Bisogna però intendere questo termine attraverso le parole dell’antropologo Geoffrey Gorer, dal suo libro The Pornography of the Death: « L’esperienza non menzionabile tende a diventare l’oggetto di fantasie private, più o meno realistiche, fantasie cariche di piacevole colpevolezza o colpevoli piaceri».
La vanitas vanitatum, resa simbolicamente dal teschio, di richiami shakesperiani, della moglie di Vindice, e la ciclicità del tempo sono enfatizzate dall’avverbio adesso, che è il termine più usato nello spettacolo, culminando nella danza macabra del finale in cui scorre a tempo di musica una serie di nuovi omicidi. L’ambiguità temporale dettata dalla dicotomia costumi/scenografia accentua nuovamente l’avverbio. Quest’ultima nel particolare proietta la vicenda nel passato, alla corte italiana del XVI-XVII secolo (a cui Middleton fa riferimento) attraverso dipinti di Andrea Mantegna, Piero della Francesca e Tiziano; i costumi invece sono più contemporanei e sottolineano come le vicende umane siano destinate a ripetersi, in uno scorrere del tempo ciclico.
Come un serpente che si morde la coda, la tragedia del vendicatore, e di tutto il genere umano, è destinata a ripetersi nelle stesse modalità, ed è pronta a colpire, senza via di scampo, ogni essere umano.
«Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te»
Friedrich Nietzsche
di Thomas Middleton
drammaturgia e regia Declan Donnellan
versione italiana Stefano Massini
con Ivan Alovisio, Alessandro Bandini, Marco Brinzi, Fausto Cabra, Martin Ilunga Chishimba,
Christian Di Filippo, Raffaele Esposito, Ruggero Franceschini, Pia Lanciotti, Errico Liguori, Marta Malvestiti,
David Meden, Massimiliano Speziani, Beatrice Vecchione
scene e costumi Nick Ormerod
disegno luci Judith Greenwood, Claudio De Pace
musiche originali Gianluca Misiti
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Lussurioso – Ivan Alovisio
Junior – Alessandro Bandini
Operatore TV/ Giudice/ Guardia – Alessandro Bandini
Vindice/ Piato – Fausto Cabra
Operatore TV/ Guardia – Martin Ilunga Chishimba
Supervacuo – Christian Di Filippo
Ippolito – Raffaele Esposito
Operatore TV/ Vescovo/ Guardia – Ruggero Franceschini
Duchessa/Graziana – Pia Lanciotti
Spurio – Errico Liguori
Castiza – Marta Malvestiti
Ambizioso – David Meden
Duca – Massimiliano Speziani
Operatore TV/ Medico/ Guardia – Beatrice Vecchione