CENCI- rinascimento contemporaneo, tra passioni e crudeltà
Torino, 15 ottobre 24, ore 19:30. Teatro Gobetti – Festival delle Colline Torinesi: Cenci, rinascimento contemporaneo Suoni stridenti, un motivetto rinascimentale risuona nel teatro. Il racconto si avvia come eco e ricordo proveniente da una tomba. Maschere fisiche e metaforiche danno inizio alla rappresentazione cupa e tragicomica ambientata a Villa Panfili nella Roma di fine Cinquecento. Un’aria inquietante attraversa la platea, il gelo di una storia brutale sembra fermare il tempo e tenere tutti in sospeso.
Per dissotterrare il sentimento e farci udire l’urlo di dolore, l’immedesimazione (dell’attore nel personaggio e dello spettatore nel personaggio) è l’unica via percorribile? Non riesco ad abbandonarmi al sentimento: ecco, forse, la dimensione politica di Cenci. La denuncia è fortissima, certamente. Ma se per pungolare le coscienze e scuotere gli animi fosse sufficiente la cronaca dei fatti (il “che cosa”) allora perché ricorrere a quello strumento, potente e pericoloso, che è il teatro? Basterebbe un testo ben scritto sulla storia di Beatrice Cenci. Il punto è che qui a essere politico è il “come”, cioè il modo in cui Piccola Compagnia della Magnolia sceglie di restituire la vicenda sulla scena.
Presentato con Piemonte dal Vivo in condivisione con Torinodanza
Il 12 e 13 ottobre 2023 lo spettacolo LA LUZ DE UN LAGO della compagnia catalana EL CONDE DE TORREFIEL è andato in scena presso il Teatro Astra, in occasione della 29esima edizione del Festival delle CollineTorinesi.
El Conde De Torrefiel è una compagnia fondata a Barcellona nel 2010 da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert. Il loro lavoro si articola attraverso varie collage di performance metafisiche tra video, pittura, suoni, luci.
Dopo il precedente lavoro Imagen interior questo spettacolo concentra il progetto come essenza minimalista artefice di una visione narrativa concentrata sui sensi dello spettatore.
El Conde si rifugia in una sala cinematografica. “Questo è un film” dice la voce fuori campo all’inizio del pezzo, di fronte a uno spazio vuoto scenografato da diversi pannelli bianchi che serviranno per proiettare le storie.
La musica, i suoni, le immagini in distorsione e le didascalie fanno da catena alla piece multimediale, un esperimento sonico e visivo all’interno di un programma multidisciplinare che tocca i sensi dell’essere umano.
Si passa dalla musica underground Atrocity Exhibition dei Joy Division degli anni ’80, ad Angels dei Massime Attack per finire al Vendredì di Flavier Berger del 2015. Questo è il lasso di tempo musicale: l’educazione tragico sentimentale di diverse generazioni temporali sfocia poi con un action shit painting.
Da lì nasce la storia di due ragazzi di 23 anni a Manchester nel 1995, che dopo un concerto dei Massive Attack (Angel fa da colonna sonora alla prima storia) decidono di andare al tempio della musica del momento, il mitico New Osborne. Lì, quei giovani scopriranno il suono tecno del loro tempo. Cito da un’intervista fatta al El Conde dal giornalista Pablo Caruana Húder e pubblicata su un periodico spagnolo:
“Una musica semplice, costante e ripetitiva, senza variazioni, senza complessità. Musica che non ha testi, musica che non ti dice nulla, musica che non intellettualizza, musica che non ti inganna, musica che ti penetra e soprattutto musica con volume. Un colpo grave, ritmico, continuo che ricorda la semplicità del tempo e allo stesso tempo la complessità del tempo”. E ancora: “Una marea di persone agita i loro corpi allo stesso ritmo. Invocano la complessità del tempo e ballano volendo scomparire…” Una storia di amore, corpi e LSD. Questa prima storia ci parla di quel passato in cui una generazione si è aperta al mondo quando Margaret Thatcher disse “La società non esiste, esistono solo gli individui…” I testi e la voce femminile che narra la storia procedono a ritmo diegetico.
Da lì, verranno altre storie che proseguono sulla sottile linea tra finzione e realtà. Nella seconda un impiegato di banca che, in un cinema sperduto in una Atene d’inizio crisi del 2006, vede un film sulla gioventù anni’80 incontra ripetutamente un tizio più giovane di lui: il tutto viene commentato da una voce narrante over. Questa gay story potrebbe omaggiare il cinema di Fassbinder con un finale ardente. Nella terza storia troviamo una biologa marina trans che tornando a casa legge una lettera lasciatagli dalla nonna morta, che si conclude con “Non aver paura”. Le didascalie ci accompagnano mentre un performer con gesti lenti tinge di nero due pareti bianche, come se ci volesse dire che l’inclusività non esiste.
Infine la quarta storia, ambientata nel futuro, esattamente nel 2036 a Venezia, al teatro della Fenice, dove in mezzo ad un dramma dai contenuti social environmental, irrompono in scena degli eco-attivisti smerdando gli spettatori in sala. Una storia che è anche un epilogo di riflessione meta-artistica, nel solco dei Friday for Future.
Non c’è trucco non c’è inganno, non esiste nessuna quarta, quinta , sesta parete tra le storie. Esistono solo pochi grandi pannelli che intrattengono il pubblico; le quattro storie si aprono e chiudono con l’aiuto dei tre attori in scena che svolgono con lentezza i movimenti dei cambi scena, sotto gli occhi degli spettatori, muovendo i pannelli fino ad arrivare ad un finale simile ad una installazione da happening d’arte concettuale.
Le didascalie, veri e propri testi, sono asciutti e vanno a ritmo seguendo una narrazione che non è parlata, non ci sono mai dialoghi: “I personaggi che non hanno immagine e sono solo parole sono come gocce d’acqua attraversate dalla luce che le fa brillare per un istante e poi le riporta alle profondità dell’anonimato” come lo sono i tre attori sul palco. Non succede nulla in scena e allo stesso tempo tutto accade. Non è teatro in senso classico, è un modo di rappresentare il disagio di un universo giovanile e il pubblico s’interroga se vale la pena di soccombere o combattere per una società consona ai nostri ideali.
El Conde ha voluto che fosse il pubblico a sviluppare il film durante lo spettacolo, per essere trasportato in un virtuale “Luz de Un Lago”. Sarebbe stato interessante, da un punto di vista soggettivo, dare forse più enfasi ai quattro episodi con maggiori sottolineature musicali. La fine è come uscire dalla sala cinematografica perché la Compagnia annulla il rito di ringraziamento con gli spettatori.
Luigi Rinaldi
regia e drammaturgia Tanya Beyeler e Pablo Gisbert
scenografia La Cuarta Piel (César Fuertes, Iñigo Barrón García, Ximo Berenguer), Isaac Torres, El Conde de Torrefiel
performer Mireia Donat Melús, Mauro Molina, Isaac Torres
sculture Mireia Donat Melús
coordinazione e direzione tecnica Isaac Torres
suonoRebecca Praga, Uriel ireland
luci Manoly Rubio García
video Carlos Pardo, María Antón Cabot
distribuzione e produzione Alessandra Simeoni
una produzione CIELO DRIVE – Alessandra Simeoni
con il supporto di ICEC – Generalitat de Catalunya, Festival TNT, Terrassa Teatre Principal de Lloret de Mar
coproduzione Festival GREC – Barcelona, CC Conde Duque – Madrid, Théâtre St. Gervais – Genève, Teatro Municipal de Porto – Rivoli, Festival d’Automne – Paris, Festival delle Colline Torinesi, Teatro Metastasio di Prato, VIERNULVIER – Gent
<< Dì la verità ma dilla obliqua>> così si apre la presentazione del 16 maggio del Festival delle Colline Torinesi, giunto alla sua 29 edizione, con una mostra alla Fondazione Merz, dal riflesso apollineo, una pala sacra situata in un luogo che sembra essere una chiesa, panchine vuote, candele bruciate ormai spente e dentro la pala lapidi distrutte, epigrafi con nomi, volti e foto differenti. Luci e ombre nuovamente si incontrano e si scontrano per restituire una visione, quanto più realistica e profonda del mondo di oggi. Numerosi gli ospiti invitati all’evento, quali la stessa Beatrice Merz presidentessa della Fondazione omonima che da anni collabora con il Festival delle Colline, Matteo Negrin direttore della Fondazione Piemonte dal Vivo, Filippo Fonsatti direttore del Teatro Stabile di Torino e ancora Andrea De Rosa direttore artistico del Teatro Astra e ultima ma non per importanza Grazia Paganelli responsabile Area Cinema Museo Nazionale del Cinema e così tante altre figure in rappresentanza del Ministero della Cultura, della Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Circolo dei Lettori, Teatro DAMS, Mediateca Rai e altro ancora. La collaborazione sembra essere quindi la parola chiave del Festival delle Colline, nato nel 1996 da un’idea di Sergio Ariotti, direttore artistico del Festival e Isabella Lagattolla, direttore amministrativo. Coppia nel lavoro e nella vita, la loro sintonia è palpabile in ogni stagione, la visione contemporanea e attuale che vogliono trasmettere è fuori dagli schemi, un nuovo modo di portare il teatro nel mondo torinese e non solo. Confini e sconfinamenti è il tema di quest’anno, riproposto pensando al successo dell’anno precedente e rafforzato dalle quotidiane dinamiche odierne, che ci rendono spettatori di guerre, dolori, sofferenze e tanta dispersione. I confini sono quelli del tempo, delle nazioni, delle proprie radici ma anche quelli della memoria e dei ricordi. La 29 edizione abbraccia senza timore il passato, il presente ed il futuro rappresentandolo in ben 52 recite in 28 giorni. Una full immersion colma di significato, storie ed identità alla quale, sono sicura non mancherà l’effetto sorpresa. Numerosi sono gli eventi connessi alla programmazione teatrale che come un grappolo d’uva, accoglie i propri spettacoli in numerose sedi differenti tra cui la Fondazione Merz, il Teatro Astra,Lavanderia a Vapore e le Fonderie Limone. Partecipare al Festival delle Colline come spettatore permette di viaggiare per il mondo stando seduti su una poltrona. Un festival internazionale con la missione di far incontrare le diverse culture, di farle intrecciare, di creare una nuova e più positiva, consapevole e profonda visione del Diverso. Il pubblico è un nuovo cittadino, un cosmopolita teatrale. Non ci resta quindi che la trepidante attesa del 12 ottobre per immergerci completamente nella proposta artistica di Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla.
Da sempre il Baobab rappresenta l’albero della forza, dell’imponenza. Le sue grandi chiome, tinte di un verde acceso, urlano speranza e le sue radici si diramano tanto nelle profondità quanto nella larghezza della terra, abbracciandola, stringendola a volte fino a stritolarla, nella paura, forse, di perderla. Una donna stringe tra le braccia un albero, piccolo (per necessità scenica, forse). E’ spoglio, eppure il tronco è forte e imponente, tanto da sembrare un piccolo Baobab. “Cosa fa una donna adulta aggrappata ad un albero, dico sul serio, cosa fa?”. Queste le parole con cui Matilde Vigna esordisce, seduta, col suo albero, su una superficie imbottita coperta da un telo scuro. Sembra appoggiata su una riga, una riga nera. Al Teatro Bellarte di Torino è ospitato il tredicesimo spettacolo del 28 ° Festival delle Colline Torinesi, dal titolo, appunto, Una riga nera al piano di sopra. La sala teatrale accoglie gli spettatori in un’atmosfera calda e familiare, il soffitto è costellato di piccole luci, le quali rendono l’ambiente morbido e romantico, quasi confidenziale; il pubblico sembra mescolarsi perfettamente con lo spazio teatrale in cui si svolgerà lo spettacolo. Una performance emozionante, coinvolgente, stravolgente e travolgente, come l’acqua, protagonista del monologo scritto da Greta Cappelletti. 14 Novembre 1951, autunno, gli argini del Po cedono a seguito di un’alluvione, avviene quella che verrà ricordata come l’alluvione del Polesine, che verrà ricordata come “la peggior tragedia del dopoguerra”: ettari di terra sommersa, centinaia di vittime, dispersi ma soprattutto migliaia di sfollati, la vita di una donna costretta a scegliere quali ricordi, tra quelli rimasti, portare con lei. Una vita di sacrifici, dolori ma anche gioie e memorie di cui ormai non resta altro che acqua. L’acqua scorre, stravolge e travolge, affoga e annega sogni e speranze, in una coltre di fango che macchia pareti e muri, segnandoli per sempre, come fossero cicatrici. Piove, autunno 2023, una giovane donna adulta di trent’anni è costretta a scegliere quali ricordi, tra quelli rimasti, portare con lei nella cosiddetta “valigia dell’addio” e non nella “valigia dell’arrivederci”. C’è una grande differenza, nella seconda infatti si sceglie solo ciò che è necessario per un breve arco di tempo, mentre nella prima, si deve scegliere ciò che è necessario per sempre, senza voltarsi indietro, nemmeno per salutare il passato. Lacrime, come gocce di pioggia lavano via ogni cosa e bagnano, inzuppando ogni tessuto, sia esso fatto di carne oppure no. Questo spettacolo è un viaggio, tutto scorre inesorabile, il tempo, i treni alla stazione, l’acqua, la perfetta metafora della vita, di un cambiamento irreversibile e radicale che porta ognuno di noi ad empatizzare profondamente con Matilde Vigna, vittima dei suoi trent’anni come ognuno di noi lo è della sua età. Lo stato dell’acqua muta in una nebbia reale, si espande nella scenografia ed abbraccia ogni cosa gli si ponga davanti, fino a coprire quasi completamente i piedi del pubblico, le nostre radici ad un certo punto scompaiono. Il progetto sonoro di Alessio Foglia e il disegno luci di Alice Colla e Andrea Sanson, oltre a tutto l’accurato lavoro tecnico, sono complici del magico intreccio tra presente e passato di cui siamo spettatori e protagonisti, dispersi, sfollati ma anche amici, di quella ragazza che muove sul palco corpo e coscienza. Un attimo ho le caviglie bagnate e l’altro sto prendendo un tè, a casa di un’amica, la stessa che ha fatto in frantumi il vetro della quarta parete, facendoci entrare nella sua vita, percorrendo una riga nera.
Rossella Cutaia
di e con
Matilde Vigna
aiuto regia
Anna Zanetti
dramaturg
Greta Cappelletti
progetto sonoro
Alessio Foglia
disegno luci
Alice Colla
costumi
Lucia Menegazzo
disegno luci
Andrea Sanson
voce registrata
Marco Sgarbi
direttore tecnico
Massimo Gianaroli
fonico
Manuela Alabastro
elettricista
Sergio Taddei
oggetto di scena realizzato nel
Laboratorio di ERT
scenografa decoratrice
Ludovica Sitti
produzione
ERT Emilia Romagna Teatro / Teatro Nazionale
foto di scena e ritratti
Mario Zanaria
si ringraziano
Bruno De Franceschi, Massimo Vigna, Anna Paola Fioravanti, Adriana Malaspina, Luciano Trambaiolli e tutti coloro che hanno raccontato la loro storia
Lo scorso 9 ottobre al Teatro Carignano Nanni Moretti ha debuttato all’età di 70 anni nel ruolo di regista teatrale inaugurando la stagione dello Stabile con i suoi Diari d’Amore.
Dal 25 al 27 ottobre 2023, al Teatro Astra di Torino, va in scena Il Terzo Reich, installazione audiovisiva di Romeo Castellucci, accompagnata dalla colonna sonora di Scott Gibbons. L’opera, che ha debuttato nel 2021, è ospite della programmazione della 28esima edizione del Festival delle Colline Torinesi.
Le orecchie umane sono spesso ricoperte da cuffie, causando così l’isolamento. Diventiamo soggetti privi di noi stessi creando una nostra storia mentale. Ma se evitassimo tutto ciò cosa accadrebbe? Ashes, della compagnia Muta Imago, ci mostra questa realtà ormai dimenticata, quei suoni che si sono dissolti, diventati cenere.
Con la regia di Valentina Aicardi, le attrici Diana Anselmo e Diana Bejan, Urla Silenziose mette in luce tutto ciò che ha vissuto e vive tutt’ora la comunità dei sordi.
Il 10 Ottobre 2023, con l’anteprima dello spettacolo Come gli Uccelli, che sarà presente nella stagione TPE, ha avuto inizio la 28° edizione del Festival delle Colline Torinesi. Dal 10 Ottobre al 4 Novembre sarà quindi possibile seguire il Festival. Il tema, anche quest’anno, sarà Confini e Sconfinamenti. Èancora molto necessario parlare di questa tematica, così attuale, dolorosa. E politica, nel senso più profondo del termine.
Per l’occasione abbiamo intervistato Sergio Ariotti, direttore del Festival delle Colline Torinesi insieme ad Isabella Lagattolla, che riportiamo qui di seguito in modo da poter indagare al meglio ciò che questa nuova edizione del Festival ha da dire al pubblico.
Perché si sente l’urgenza di esplorare nuovamente il tema Confini e Sconfinamenti? Qual è il messaggio che il Festival si propone di lanciare? Quali sono le aspettative?