Il 6 dicembre ha debuttato al Carignano Ivanov con la regia e l’interpretazione di Filippo Dini, spettacolo già insignito del Premio le Maschere del Teatro 2016.
Primo dramma cechoviano, Ivanov tratta in quattro atti di un uomo di mezza età assediato da un forte mal di vivere, una forma di depressione che lo porta a lamentarsi costantemente; un uomo divenuto sterile dal punto di vista sentimentale e segnato dall’incapacità di rapportarsi con i personaggi che lo circondano.
La rappresentazione inizia già nel momento in cui lo spettatore fa ingresso in sala; infatti in scena, quasi in un fermo immagine, è già presente un Dini assolto nella lettura.
Nikolaj Alekseevič Ivanov viene successivamente sorpreso alle spalle dal lontano parente e amministratore delle sue terre Mihail Borki, il quale gli punta una pistola alle spalle nell’intento di farlo trasalire. La pistola sarà l’emblema e il simbolo di questo dramma, presente sin dall’inizio come monito e avverso presagio, tornerà poi anche alla fine segnando una perfetta chiusura ad anello.
Un dramma che non poteva che chiudersi con la sconfitta del suo eroe, il quale, fin da subito, appare segnato dall’impossibilità di salvezza.
Il finale profondamente drammatico viene reso con grande forza espressiva dalla regia di Dini, grazie alla capacità di coinvolgere gli spettatori su più livelli percettivi e sensoriali.
Il gesto estremo del suicido di Nikolaj Alekseevič, tanto cruento quanto elaborato, viene preceduto da un rumore assordante e viene seguito da una scena al rallenti, unico momento di stasi in tutta l’opera, che si chiude mentre l’odore della polvere da sparo si diffonde nella sala.
Filippo Dini porta in scena un personaggio nevrotico, a tratti spietato, a tratti comico. Un personaggio in grado di trascinare coloro che lo circondano nella sua follia, nella sua miseria, in grado di portare tutti sull’orlo della nevrosi. Eppure Ivanov non compie mai il male in modo volontario, consapevole sì, ma volontario mai.
E se è vero che le sue azioni sono mosse da una logica profondamente complessa e contorta, in grado di sfuggire pure a Ivanov stesso, Dini riesce a dare corpo a un personaggio fortemente contraddittorio, sempre in bilico tra lo scoppio d’ira e la volontà di reprimere tale sentimento.
In breve, un personaggio estremamente moderno, estremamente umano, in grado, anche dopo più di un secolo, di parlare ancora direttamente al pubblico.
La regia di Filippo Dini assume un andamento concitato e dinamico, in un susseguirsi di scontri frontali tra Ivanov e gli altri personaggi nel tentativo utopico e costante di trovare un punto di incontro. Un sogno questo però destinato ad infrangersi, come quelli delle due donne colte dall’amore per il protagonista: Anna, che per sposarlo ha abbandonato la sua famiglia e la religione ebraica, ammalandosi di tubercolosi; e Saša, giovane fanciulla che spera di poter guarire Ivanov dai suoi mali.
Un “Ivanov” dunque indubbiamente innovativo, che si allontana profondamente dal tipico andamento malinconico e statico dei tradizionali allestimenti cechoviani in favore di un ritmo frenetico, di una continua tensione emotiva che non lascia tregua allo spettatore.
Ivanov di Anton Čechov
traduzione Danilo Macrì
con Filippo Dini, Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Antonio Zavatteri, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe
regia Filippo Dini
scene e costumi Laura Benzi
luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino