CENCI- rinascimento contemporaneo, tra passioni e crudeltà
Torino, 15 ottobre 24, ore 19:30. Teatro Gobetti – Festival delle Colline Torinesi: Cenci, rinascimento contemporaneo Suoni stridenti, un motivetto rinascimentale risuona nel teatro. Il racconto si avvia come eco e ricordo proveniente da una tomba. Maschere fisiche e metaforiche danno inizio alla rappresentazione cupa e tragicomica ambientata a Villa Panfili nella Roma di fine Cinquecento. Un’aria inquietante attraversa la platea, il gelo di una storia brutale sembra fermare il tempo e tenere tutti in sospeso.
Per dissotterrare il sentimento e farci udire l’urlo di dolore, l’immedesimazione (dell’attore nel personaggio e dello spettatore nel personaggio) è l’unica via percorribile? Non riesco ad abbandonarmi al sentimento: ecco, forse, la dimensione politica di Cenci. La denuncia è fortissima, certamente. Ma se per pungolare le coscienze e scuotere gli animi fosse sufficiente la cronaca dei fatti (il “che cosa”) allora perché ricorrere a quello strumento, potente e pericoloso, che è il teatro? Basterebbe un testo ben scritto sulla storia di Beatrice Cenci. Il punto è che qui a essere politico è il “come”, cioè il modo in cui Piccola Compagnia della Magnolia sceglie di restituire la vicenda sulla scena.
Da spettatrice teatrale, se raschio la superficie di certe rappresentazioni e provo ad indagarne i processi, mi capita di scorgere quel fare proprio dell’attore-burattino (e del regista-burattinaio). È una questione che ha a che fare non con il personaggio ma con l’attore. Smorzato e trattenuto, è appeso ai fili controllati dalla mano registica che – predisposto un disegno – li manovra dall’alto. Una riflessione che intenzionalmente estremizzo per giungere al punto: laddove il teatro si esaurisce in un compiacimento registico andrebbe, forse, ripensato. Se la regia si fa presenza ingombrante – cioè se riduce l’attore a mezzo esecutivo di un’idea aprioristicamente fissata – la premessa è verosimilmente quella di un teatro rigido e asettico.
Piccola Compagnia della Magnolia firma un lavoro vivo, a tratti anarchico, che anziché precisarsi macchinosamente si manifesta come urgenza artistica. A partire da una necessità espressiva la Compagnia edifica la sua creazione. Finalmente il Teatro! Neanche un accenno di intellettualismo o falsi manierismi. È presenza vissuta, essenziale e libera da abbellimenti. Tutto rifugge la menzogna.