Archivi tag: in evidenza

WHISKEY E SOUBRETTE – SIMONE SCHINOCCA

A pochi passi dal Polo del Novecento, nel piccolo teatro Juvarra, il 12 gennaio 2025 la compagnia Tedacà, dopo una lunga tournée italiana è andata in scena con l’ultima replica di Whiskey e Soubrette, viaggio in quarant’anni di storia tra i quartieri di Torino nella quale risplendono le figure di Isa Bluette, Erminio Macario e Fred Buscaglione.

Continua la lettura di WHISKEY E SOUBRETTE – SIMONE SCHINOCCA

LA FORMA DELLE COSE- MARTA CORTELLAZZO WIEL

“È possibile cambiare il mondo di qualcuno dal di dentro?” 

Marta Cortellazzo Wiel porta in scena, in prima nazionale, al Teatro Gobetti di Torino, uno dei testi della Trilogia della bellezza, scritta da Neil LaBute, La forma delle cose. L’incontro tra un’artista e uno studente, nonché guardia di un museo, sarà la genesi della depersonalizzazione di quest’ultimo, sempre più dipendente e manipolato.

Continua la lettura di LA FORMA DELLE COSE- MARTA CORTELLAZZO WIEL

NATALE IN CASA CUPIELLO – LUCA SACCOIA

Son tornato a teatro, in platea, da qualche annetto insomma. Vado a vedere Eduardo e basta”. Questo lo diceva Carmelo Bene alle telecamere della Rai, durante un’intervista risalente alla metà degli anni Settanta. Interessante pensare come dietro a quel nome proprio, menzionato in moltissimi casi senza il cognome, si apra tutto un mondo che va a rappresentare un pilastro portante della cultura teatrale e napoletana. Quando C.B. dice “vado a vedere Eduardo” chi ascolta sa, senza ulteriori precisazioni, di quale Eduardo si parla, e percepisce il peso che sta dietro a quel nome detto così alla veloce. Tale è l’impatto, l’impronta che l’operato di Eduardo De Filippo ha lasciato sul teatro italiano.

Continua la lettura di NATALE IN CASA CUPIELLO – LUCA SACCOIA

La Morte a Venezia – Liv Ferracchiati

Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi

“È scabroso mordere la fragola, è scabroso mordere la vita”

Leggi tutto: La Morte a Venezia – Liv Ferracchiati

Liv Ferracchiati è in tournée col suo ultimo spettacolo “La Morte a Venezia”. Questa volta si porta dietro una performer molto brava, Alice Raffaelli, attrice e ballerina ( dal 2015 si affaccia al mondo della prosa grazie alla collaborazione con la compagnia The Baby Walk, continua ad esplorare la scena legata al teatro di parola con Antonio Mingarelli. Nel 2018 è tra le finaliste del premio Ubu, categoria miglior performer under 35…).

Non si tratta di un adattamento teatrale de La morte a Venezia, ma di un percorso scenico liberamente ispirato alla novella di Thomas Mann. Chissà cosa potrebbe pensare …”Was ist das! dopo Luchino Visconti e Benjamin Britten arriva questo giovane regista e mi usa come spezzatino mettendo in scena solo il contorno alla mia novella, e meno male che non si chiama Gustav…”

Il sipario è aperto, tre grandi teloni ricordano i rivestimenti dei gazebo balneri belle epoque: null’altro. Il lavoro inizia con un fade in su una poesia di Josif Aleks. Brodskij “ In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni…” per poi lasciar apparire una foto di una ciotola di fragole. Una voce femminile narrante sibila e vibra il suono delle frrr…in questo mondo di frrr…di …agole. La causa del decesso viene subito messa in evidenza dalla voce narrante, che qui è onnisciente diegetica per tutta la durata del dramma. Il piatto di fragole è l’affordance non nascosta, si sa subito come agirà col personaggio.

Poco dopo sale sul palco Gustav von Aschenbach che viene accompagnato dalla voce narrante sotto un cielo scialbo a Venezia. Prende la videocamera e la punta verso il pubblico fino a zoomare su una ragazza seduta in terza fila, è Tadzio; non la perde di vista fino ad invitarla sul palco, nulla esiste di più erotico che due persone che si vogliono solo tramite lo sguardo. C’è l’incomunicabilità nello spettacolo, anche se la parola fa da padrone in tutta la scena.

La narrazione, le musiche che si dissolvono e s’accompagnano, la danza sono i tre elementi che caratterizzano la performance mentre tutto viene filmato da Gustav che segue la danza di Tadzio, la guarda a distanza ma si avvicina con l’obiettivo di prolungare la vista in maniera epidermica per provare più piacere. Le linee del corpo sono un messaggio sensuale ma anche imbarazzante per lui. La telecamera diventa carne e parla con lei (o lui ). Lo si capisce passo dopo passo che lei vorrebbe essere toccata, magari baciata ma Gustav non vuole, ha paura, sente brividi sulla pelle, vorrebbe toccarla ma si ferma, si blocca per non sentirsi turbato.

Va avanti così la performance, simulando la fine della vita umana secondo Gustav, con un continuo suono in sottofondo che prelude alla morte, senza difese e nudo. Vuole essere così perché Tadzio non parla la sua lingua, non si comprendono nemmeno quando lui si siede sulla poltrona da barbiere. Lei prende la videocamera e zooma sul viso per poi imbiancare la sua faccia dipingendo una lacrima blu sospesa: musica in dissolvenza, sentiamo il rumore del mare in sottofondo e infine in fade out di nuovo apparire sul telone un’altra poesia di Brodskij “Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi la torbida pupilla…”

Thomas Mann scriveva: “nelle parole non dette la solitudine genera la strana ed inquietante bellezza, la poesia, ma anche il contrario: l’assurdo, l’illecito…” Un’amore platonico si traduce in morte assistita. Proprio la morte di Gustav avviene in una città dove il colera avanza, qui preso e metabolizzato dalle fragole. Chi muore è colui che osserva, Aschenbach, e con lui si estingue lo sguardo afono verso Tadzio.

Il primo personaggio è la Danza che fluttua sulla percezione dello sguardo, il secondo personaggio è lo Sguardo dove c’è il guardare e l’essere guardati; poi c’è il terzo personaggio che è la Parola, degnamente interpretata dalla voce di Weronika Młódzik che la fa da padrone a tutta la piece cercando il disorientamento del pubblico ma anche accompagnandolo a danzare lungo il percorso del dramma.

Cito da un’intervista del giornalista Raimondo Montesi del Carlino:

R.M. “E’ davvero solo un rapporto ‘visivo’ quello che si crea tra i personaggi?”

L.F. “I due non si toccano mai. Anzi, non sappiamo neanche se Tadzio si accorge di Von Aschenbach, nel senso che non sappiamo cosa pensa di lui. Il ragazzo tra l’altro parla una lingua sconosciuta a Von Aschenbach, visto che la sua famiglia è polacca. In compenso in scena va il linguaggio del corpo vista la presenza della danzatrice Alice Raffaelli.”

R.M. “Cosa rappresenta nel suo percorso artistico questo spettacolo?”

L.F. “E’ un lavoro diverso dal solito. lo di solito ho a che fare di più con la prosa. ‘La Morte a Venezia’ mi ha coinvolto molto, e mi ha fornito possibilità di scrittura differenti. Nei miei spettacoli precedenti, poi, c’era una forte vena ironica. In questo caso c’è più liricità”.

Ha ragione, la liricità della narrazione continua fino al suo lungo monologo monosillabico per poi morire tra le onde paragonate alle lacrime amare della vita. In effetti nella piece c’è un aspetto performativo dal contenuto drammatico, l’artista ha voluto realizzare una libera interpretazione dell’incomunicabilità dell’essere umano usando come risposta alle sue domande il testimone del processo creativo, ovvero il dramaturg.

Liv Ferracchiati, artista associato del TST, tornerà a Torino ai primi di aggio del 2025 con lo spettacolo Stabat Mater.

Luigi Rinaldi

ispirato a La Morte a Venezia di Thomas Mann
drammaturgia e regia Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti, Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono Spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
Spoleto Festival Dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile Dell’Umbria
Fondazione Teatro Di Napoli
Teatro Bellini
In collaborazione con
Fondazione Piccolo Teatro Di MilanoTeatro D’Europa

LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

Al Teatro Carignano è andato in scena lo spettacolo La Locandiera, con Sonia Bergamasco, regia di Antonio Latella.

Lo spazio della scena, pur occupato da una scenografia fissa, rende l’idea della locanda in tutte le sue declinazioni: luogo d’incontro e conversazione ma anche di ristoro ed intimità.

In alto sono posti dei neon, e la sensazione è quasi di trovarsi in un laboratorio. Lo spettatore è forse chiamato ad osservare un esperimento.

Continua la lettura di LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

L’ULTIMA ESTATE – CHIARA CALLEGARI

Teatro Gobetti, 5 dicembre 2024.

Rumore: frastuono e sirene si sovrappongono alle voci dei notiziari.

L’atmosfera è caotica e molto agitata, lo spettacolo si apre con la notizia dell’esplosione di 140 kg di tritolo alle 16:58 del 23 maggio 1992 a Capaci.

Leggi tutto: L’ULTIMA ESTATE – CHIARA CALLEGARI

È una vicenda troppo conosciuta e troppo recente per lasciare indifferente il pubblico che, seduto con la schiena dritta, la testa sporta in avanti e gli occhi strabuzzati, sembra rivivere l’apprensione di quel giorno.

La sfumatura scelta dalla regia di Chiara Callegari intende avvicinare le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino al pubblico, mostrando il loro lato più umano e quotidiano oltre al loro lavoro nella lotta contro la mafia.

Motivo di tale scelta, indicato dalla stessa regista dal palco alla fine dello spettacolo, è mostrare sfaccettature di normalità nella vita di due uomini che a seguito delle loro azioni sono divenuti eroi e spesso vengono idealizzati, azione che rischia di allontanarli dalla quotidianità e lasciare che le persone si deresponsabilizzino credendo che la lotta alla mafia stia solo all’interno dei tribunali e non nelle scelte che si compiono ogni giorno.

Il racconto parte dal 1985, all’interno di una stanza in un carcere. L’ambientazione è un ufficio disordinato, pieno di faldoni e scartoffie, in cui risuonano il ticchettio dei tasti di una macchina da scrivere e lo scambio di battute giocose tra Falcone e Borsellino.

120 le esecuzioni di Cosa Nostra di cui stavano prendendo nota. Falcone, interpretato da Simone Luglio, appare più fiducioso nella buona riuscita del pool antimafia e del Maxiprocesso a Palermo, a differenza di ciò che era successo precedentemente nei processi a Bari e Torino, luoghi nei quali il tentativo di condanna di massa di crimini mafiosi non aveva avuto l’esito sperato. Borsellino invece, interpretato da Giovanni Santangelo, in questa prima fase è più arrabbiato e diffidente nei confronti dello Stato e del popolo italiano.

La diffidenza di Borsellino trova le sue ragioni nel corso dello spettacolo: vengono mostrati i cambiamenti di atteggiamento nei loro confronti da parte di personaggi dello Stato e persone comuni, atteggiamenti che oscillano da diffidenza e ostacolazione a idealizzazione e fama, sfruttati per proprio tornaconto personale.

Dopo tre anni dall’inizio del Maxiprocesso, infatti, il pool antimafia venne smantellato per decisione del giudice Antonino Meli, ma Falcone scelse di non fermarsi, scelta che gli costò la vita.

L’attentato in cui perse la vita Falcone non fu l’unico contro di lui, già una volta avevano provato a utilizzare il tritolo, mettendo cinquanta candelotti in mezzo agli scogli dove era solito andare in spiaggia, ma due carabinieri subacquei, Nino Agostino ed Emanuele Piazza, erano riusciti a trovare i candelotti e ad avvisare in tempo la scorta di Falcone. La bomba venne fatta brillare senza controllare le prove e i due carabinieri subacquei vennero poi uccisi, il primo per presunto delitto passionale con la moglie e il secondo fu strangolato e sciolto dell’acido.

Nel susseguirsi di informazioni, abbiamo l’impressione di essere sovrastati, di non avere i mezzi necessari per difenderci: l’impressione che ogni azione porterà con sé un’ombra di vendette e omicidi.

Lo stesso Borsellino mostra insofferenza per una situazione che sembra troppo grande per essere fronteggiata. Eppure, il punto forte dello spettacolo è quello di mostrare come sia stato possibile a partire da due soli uomini fare la differenza.

Dando nuova speranza, mostrando che non serve essere eroi per cambiare le cose, Falcone e Borsellino sono riusciti a dare un nuovo volto alla legalità, che vive tuttora.

Dopo la morte di Falcone, Borsellino diventa più determinato e acquista nuovo coraggio grazie alla consapevolezza di poter testimoniare e fare qualcosa, di poter dare un senso alla morte del suo collega, conscio però che mai come prima la sua stessa vita avesse i giorni contati.

Lo scorrere del tempo aumenta vorticosamente la velocità: i giorni diventano ore, le ore minuti e i minuti secondi.

La morte fa paura, ma si può morire in molti modi: Falcone e Borsellino hanno riconosciuto il valore di morire per ciò in cui si crede.

In un riferimento a Il Gattopardo vengono riprese le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “le logiche della Mafia sono le logiche del potere”. Viene svelata la banalità delle dinamiche che stanno dietro a orrori, omicidi e crudeltà.

Lo spettacolo sembra finire in un primo momento un po’ in sospeso con una frase che dichiara che il lavoro iniziato da Falcone e Borsellino sarebbe stato portato a termine da altri.

Una conclusione che non avrebbe reso giustizia alla profondità dello spettacolo, che ha saputo trattare temi complessi talvolta anche con leggerezza, ma mai con superficialità e che viene subito dopo smentita dai riferimenti alle recenti dichiarazioni della Corte d’Assise e d’Appello del settembre 2021, che accerta la collaborazione Stato-Mafia, pur ammettendo che non costituisce reato.

Appare palese come ancora oggi ci sia molta strada da fare.

Chiaro è il passaggio di testimone al pubblico: convincente la scelta di non chiudere il sipario e concludere lo spettacolo lasciando spazio a domande, interventi e confronti.

Uno spettacolo che mostra vite vere e umane dietro i volti degli eroi che, conosciuti nella loro apoteosi, rischiano di rimanere appesi come quadri e lontani dalla concretezza della vita reale.

Marta Cavalliere

testo di Claudio Fava
un Progetto di Simone Luglio
con Simone Luglio e Giovanni Santangelo
regia Chiara Callegari
voce Fuori Campo Luca Massaro
scene e costumi Simone Luglio
musiche originali Salvo Seminatore
disegno luci Massimo Galardini
Emilia Romagna Teatro Ert / Teatro Nazionale
in collaborazione con Knk Teatro
progetto realizzato con la collaborazione
di Teatro Metastasio e Collegamenti Festival

STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

Nel 1973, a Wuppertal, in Germania, nasce il Tanztheater Wuppertal. Il nome della compagnia, che include il termine “Tanztheater” (in italiano “teatrodanza”), è stato fondato da un gruppo di coreografi, tra cui spicca il nome più noto di Pina Bausch. Il termine indica progetti artistici che si differenziano dalla danza classica e moderna, includendo elementi recitativi teatrali e con l’intenzione di produrre opere con precise finalità drammaturgiche. Oltre alla percezione corporea che il danzatore dovrebbe acquisire fin dai primi tempi, Pina Bausch richiede ai membri della compagnia un’interpretazione personale del movimento, sostenuta dalla contrapposizione tra fragilità e forza. In questo luogo di ricerca artistica, nel 1986, Julie Anne Stanzak, danzatrice di danza accademica, partecipa a un provino con la compagnia che le permetterà di lavorare con Pina Bausch in modo permanente, partecipando alle opere più note e continuando a lavorare con la compagnia ancora oggi.

Continua la lettura di STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

UNA COSA ENORME – FABIANA IACOZZILLI

Nel profondo silenzio amniotico

In una fresca serata di fine novembre il palco dell’Off topic s’irradia di fasci di luce caravaggeschi; riecheggia il suono del silenzio, punteggiato da rumori di vita quotidiana e sentimenti sinceri.
Cinquanta minuti di puro teatro fisico ripulito dalla parola, tuttavia mai stonata nei suoi sporadici interventi, vengono sostenuti da una prova d’attore eccezionale. Lo spettatore è agganciato alla scena in continua attesa di quel che accadrà, coinvolto in un flusso continuo di occasioni per riflettere.
Fabiana Iacozzilli dipinge delle vere e proprie immagini in movimento animate da Marta Meneghetti e Roberto Montosi, due interpreti trasparenti e luminosi che si consegnano al pubblico con onestà. È a partire dalla stessa carne dei performer che scaturisce un’emotività mai sovradimensionata, in una lucida operazione di cruda realtà.
Al contrario l’allestimento metonimico ingigantisce ed enfatizza alcuni elementi della scenografia, rendendoli nella loro sproporzione portatori di un forte significante.
Così, a una dimensione genuina e sensistica della recitazione si contrappone una messa in scena iperbolica e icastica.

Continua la lettura di UNA COSA ENORME – FABIANA IACOZZILLI

ZELDA. VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Un letto. In esso si esaurisce il trattamento scenico (una scenografia metonimica, stando alla definizione di R. Jakobson), che oltre a suggerire l’ambiente si pone come singolare elemento di gioco: quello che dentro l’universo rappresentativo è avvertito come costrizione, da un punto di vista recitativo incentiva un minuzioso lavoro attoriale. Dalla staticità del corpo, Giorgia Cerruti libera una tempra fervida e trepidante che, grazie a una dimestichezza del mestiere teatrale ormai consolidata, riesce a dosare e incanalare senza perderne il controllo.

Continua la lettura di ZELDA. VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA

È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.

Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.

Continua la lettura di IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA