Nuovo direttore artistico per il Teatro Piemonte Europa, nuova stagione, nuova veste grafica.
Se entrate in questi giorni al Teatro Astra, ad accogliervi ci saranno delle locandine dai colori fluo, su cui capeggiano delle citazioni di grandi filosofi, ma la cornice dell’immagine non ci permette di leggere le frasi per intero, la comprensione dell’aforisma è in qualche modo negata. Questa la scelta grafica per rappresentare la stagione 2022/23 a cura di Andrea De Rosa, nuovo direttore artistico succeduto a Walter Malosti. Il titolo è Buchi neri. Il fil rouge, la trasformazione del nostro rapporto con la verità scientifica dopo la pandemia. De Rosa infatti ha intenzione con le stagioni del prossimo triennio di indagare tre sfaccettature diverse del concetto di verità. Per il momento, facciamo un breve focus su Buchi neri attraverso i titoli principali, invitandovi ad approfondire sul sito e nella biglietteria del TPE.
È SOLO L’AMORE CHE CI SALVA DALLA FERITA DEL MONDO
È domenica, metà maggio. Le braccia e le gambe cominciano a scoprirsi, ed è faticoso continuare a indossare la mascherina. Ciò nonostante, il pubblico sciama in cerca del proprio posto al Teatro Carignano. Stavolta non sono il solo della redazione del blog: arrivano anche altri amici. Mentre ritiro l’accredito, avvisto anche qualche professore del DAMS. Quando uno di loro ci saluta, scherza,condensando in una battuta tutta la teoria del teatro da Aristotele a Claudio Morganti: al cinema si augura buona visione, a teatro buona fortuna. Ma perché si mosso tutto il DAMS? Strappato dai divani, ché ventilatore acceso, Morandini alla mano ti vien fuori la domenica perfetta. E invece siamo nel foyer del Carignano, e la ragione è più che valida: assisteremo all’ultimo allestimento di Leonardo Lidi che, mette in scena Il Misantropo, in occasione dei quattrocento anni dalla nascita di Jean-Baptiste Poquelin, alias Molière.
PH. Luigi De Palma
Suona la campanella e procediamo in fila indiana, all’ingresso una maschera mi dà il foglio di sala. In copertina c’è un cuore anatomico in una campana di vetro. Un cuore che ricorda lo stile di Jeff Koons. Ha una targhetta nera appesa, con le parole Je t’aime. È il visionario Bovary a fare gli spazi in cui si consuma questa commedia di carattere. A terra c’è la sabbia, sembra di stare sulla Luna. Il campo di azione è ampio, ma dà ugualmente la sensazione di ambiente angusto, forse per via dell’enorme struttura in ferro che lo delimita. Gli attori accedono in scena da un’apertura in basso sul fondo di questa enorme parete, per entrare devono chinarsi. E qui, come in un laboratorio che Lidi analizza, seziona le passioni umani. I temi sono parecchi: amore non corrisposto, amore tossico, lotta all’ipocrisia, paura della vecchiaia, società malata.
Evitando di riassumere la trama e gli intrighi, diremo che Lidi decide di raccontarci le vicende di Alceste, Calimene, Orionte ed Eliante in una messa in scena rigorosa. Se l’ambientazione è contemporanea, il rispetto del testo è altissimo. Si sentono gli echi di Antonio Latella nel teatro lidiano, un teatro dal passo contemplativo, che fugge tempi esagitati e schizofrenici. Il ritmo lento (forse a tratti un po’ eccessivamente lento, ma mai noioso; si noti: è un teatro più detto che agito), sempre denso è tenuto il vita da Alfonso De Vreese, che, chitarra alla mano, conduce le fila della storia. E poi fiore all’occhiello dello spettacolo: ci sono gli allievi della scuola per attore dello Stabile. Non li vediamo in volto: sono coperti da un passamontagna nero. Rappresentano la società, gli occhi degli altri, che da sempre imprimono una forma alle nostre vite. E poi di tanto in tanto, questi uomini neri – è un bambino a farmelo notare – diventano il correlativo oggettivo delle passioni vissute sulla scena.
PH. Luigi De Palma
Ne vien fuori una commedia nel pieno della tradizione, in cui però i personaggi tendono alla tridimensione, a slabbrare i bordi del carattere tratteggiato da Molière. Questo fa sì che riusciamo ad abitare lo spettacolo, ci specchiamo, obbligati a prendere atto che, solo attraverso l’apertura verso l’altro si può medicare la piaga mai sanata dello stare al mondo. Non è un caso che un grande misantropo come Guido Ceronetti scrivesse:
Amarsi è scambiarsi le ferite: più sono, più grande è l’amore.
di Molière con (in ordine alfabetico) Alfonso De Vreese, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Francesca Mazza, Riccardo Micheletti, Orietta Notari, Giuliana Vigogna regia Leonardo Lidi scene e luci Nicolas Bovey costumi Aurora Damanti suono Dario Felli assistente regia Riccardo Micheletti adattamento Leonardo Lidi assistente drammaturgia Diego Pleuteri il sonetto di Oronte è composto da Nicolò Tomassini Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
NB: la citazione del titolo è tratta dalla canzone Mantieni il bacio di Michele Bravi
Giuseppe Rabita
Il blog degli studenti di teatro del D@ms di torino