La Reprise di Milo Rau, creato in occasione del Kunstenfestivaldesarts e andato in scena al Centre Dramatique National di Nanterre-Amandiers dal 22 settembre al 5 ottobre, è il primo capitolo della serie Histoire(s) du théâtre. Il riferimento a Godard è esplicita: il regista svizzero, che ha recentemente assunto la carica di direttore artistico al Théâtre Royal Néerlandais di Gant, ha voluto creare un dispositivo teatrale capace di essere allo stesso tempo “saggistico” e personale come Histoire(s) du cinéma. Il progetto si svilupperà nell’arco di un decennio e, differenza essenziale rispetto all’opera godardiana, sarà collettivo: di stagione in stagione un nuovo capitolo sarà affidato a un nuovo gruppo, compagnia o artista.
Il titolo La reprise – La ripetizione è una citazione di Søren Kierkegaard e della sua opera La ripetizione. Un esperimento psicologico: la ripetizione è un atto creativo in cui non contano solo i fatti, ma anche l’interrogazione del perché i fatti sono avvenuti.
Perché Ihsane Jarfi è morto? Lo spettacolo di Milo Rau pone ossessivamente l’accento sul perché dell’assassinio di un giovane uomo a Liège, nel 2012. Uno dei molti casi di cronaca che scuotono l’opinione pubblica e muovono domande sulla zona d’ombra dell’umanità.
L’intento dichiarato del regista e sociologo è quello di interrogare la realtà per arrivare ad una comprensione autentica, intento perseguito attraverso una catena di domande senza risposta. Che cosa è possibile mettere in scena? Che cosa invece è osceno, cioè deve restare fuori? Una prescrizione della tragedia attica dice di non insanguinare la scena: Milo Rau la insanguina e gli spettatori si sentono presi in trappola. Tutti gli espedienti tecnici utilizzati vengono didascalicamente illustrati nella prima parte dello spettacolo, che si sviluppa come un’audizione-lezione di teatro: ciò nonostante, assistere all’omicidio è quasi insopportabile. Per qualcuno si tratta di una mancanza di pudore, ma forse è uno spettacolo pudico nella misura in cui non trasforma le testimonianza della mamma, dell’ex-compagno e di uno degli assassini della vittima in una narrazione strappalacrime. Certo, qualche lacrima può fare capolino in alcuni momenti, come quando l’attrice Sara De Bosschere ci dice di quel coniglio che attraversa la strada davanti all’ex compagno di Isahne, a quel momento del lutto in cui si intravede per la prima volta la possibilità di andare avanti.
La scrittura scenica segue le regole redatte da Milo Rau nel suo Manifesto di Gand: obbligo di almeno due lingue diverse parlate in scena, scenografia di meno di venti metri cubi e la presenza di almeno due attori non-professionisti, per citarne solo alcune.
La Reprise è un’incessante interrogazione sui perché della violenza, sul significato del tragico oggi e sulla banalità del male (l’espressione di Hannah Arendt dà il titolo ad uno dei capitoli dello spettacolo).
Abbiamo il diritto di metterla in scena, questa banalità? Abbiamo il diritto di dire che Isahne è come Edipo? E salire in quell’auto il suo errore, inteso come αμαρτία?
Teatrologia e sociologia si intrecciano: molti sono i riferimenti ai legami tra il tasso di disoccupazione nelle zone che attraversano processi di deindustrializzazione (come la periferia di Liège) e l’aumento esponenziale di fenomeni di brutale e insensata violenza.
La capacità di uccidere un altro essere umano è forse annidata in ognuno di noi, in una zona grigia, per dirla con Primo Levi. Eppure, rimanendo con lo scrittore torinese, alcuni non hanno mai ucciso nessuno.
Nella vita siamo tenuti a formulare giudizi e a tracciare linee di distinzione tra una cosa e l’altra. Il teatro e la vita non sono la stessa cosa: a teatro possiamo permetterci il privilegio di non giudicare.