PPP ULTIMO INVENTARIO PRIMA DI LIQUIDAZIONE: questo il titolo dello spettacolo con cui il duo Ricci/Forte sceglie di omaggiare Pier Paolo Pasolini nel quarantesimo anniversario della sua scomparsa.
Data la ricorrenza, questa scelta non può che rappresentare una scommessa. Innanzitutto perchè il rischio di cadere nel vuoto memorialismo e negli stereotipi è elevato. In secondo luogo perchè si tratta di celebrare un artista dalla personalità poliedrica che ha fatto dell’eclettismo il tratto distintivo della sua attività intellettuale.
I due giovani autori-registi, forti della loro idea di teatro, non si sono lasciati intimorire dalle circostanze e hanno cercato un approccio diverso che segna una frattura decisiva rispetto ai lavori che in questi decenni si sono succeduti attorno all’universo pasoliniano.
Il coraggio di questa scelta si evince dal non aver optato per l’allestimento di un’opera teatrale scritta dallo stesso Pasolini, ma nell’aver capito che l’eredità di questo artista è un pozzo di domande a cui dobbiamo ancora delle risposte.
Ecco allora che Pasolini in questo spettacolo non diventa il mito da celebrare, ma la guida di un viaggio, un’intima esperienza di scoperta che attori e spettatori compiono indistintamente.
Proprio per questo si rivela interessantissimo il lavoro fatto da Ricci/Forte per la stesura del testo. La tessitura drammatica, lungi dall’essere un catalogo di citazioni letterarie e cinematografiche, alterna momenti di riflessione a scene giocate sull’impatto sensoriale. Nei primi, è la parola a prevalere, nei secondi la comunicazione è tutta affidata a suono e movimento. La trama è assente: non vengono qui ripercorse né le vicende umane, né quelle intellettuali di Pasolini. Lo spettacolo apre una serie di focus tematici su questioni centrali dell’opera pasoliniana che ancora oggi si pongono con tutta la loro bruciante attualità. È lo sguardo all’indietro che Pier Paolo fa prima di sciogliersi nel ventre liquido del mare di Ostia.
I protagonisti sono un uomo e cinque donne dalla differente provenienza geografica che dialogano ed interagiscono tra loro in un’atmosfera distorta, dai tratti allucinatori. La loro identità non è mai dichiarata. Non c’è Pier Paolo. C’è un uomo che di fronte alla sua macchina da scrivere non accetta di avere un foglio bianco, mentre riecheggiano irrisorie le note di The Show Must Go On. Ci sono delle donne che orbitano attorno a lui, lo interrogano, lo deridono, lo cercano. Non ci sono personaggi, ma un’unica tensione riflessa in sei corpi diversi, tutti accompagnati dalle loro ombre di dubbio.
L’allestimento scenografico consiste in un ammasso di pneumatici, elemento imprescindibile dello spettacolo, che richiamo la tragica fine che l’artista trovò sul lido di Ostia nel novembre 1975. Toccante la scena finale che rievoca l’accaduto con forti accenti lirici.
Ne deriva un’opera dalla struttura frammentaria, aperta, di cui è difficile rendere conto. Un’esperienza forte che richiama in causa tutti quei nodi contraddittori che Pasolini non è riuscito a sciogliere e che ancora non cessano di tormentarci.
Uno fra tutti il rapporto tra intellettuale e realtà: due universi distinti che si scontrano e si fanno violenza reciproca.
L’artista è qui “un santo, uno stronzo, un idiota”. Perennemente in bilico tra il possesso del proprio io e l’essere posseduto dal mondo. Inevitabilmente destinato a soccombere di fronte alla natura refrattaria del reale e agli uomini che masticano e sputano la poesia nella convinzione di averla compresa.
Ad essere rappresentato è il dramma di un Pasolini, confinato fuori dalla Storia, in eterna lotta tra un mitico ritorno alle origini e uno sguardo lucido e profetico sul futuro.
Questa disillusione simboleggia sì la condizione propria dell’intellettuale, ma richiama anche il disagio personale dei due registi che hanno dovuto abbandonare l’Italia per vedere realizzata la loro vocazione artistica.
Uno spettacolo che dunque ci invita a riflettere su quale possa essere il senso di fare cultura in un paese inginocchiato, in cui il conformismo ci illude di essere liberi.
Non a caso l’omologazione è un altro dei temi tanto cari a Pasolini. Di grande impatto la scena in cui la conformazione ai dettami della società consumistica è rappresentata come ricerca ossessiva e nevrotica di un piacere inappagante.
Ineludibile infine il confronto con i temi della trasgressione e della sessualità: forza vitale primaria, pura dimensione corporea. L’uomo preda degli istinti animali è emblematicamente rappresentato dalle maschere da maiale indossate dalle attrici.
Ricci e Forte propongono un teatro coraggioso e nuovo che inevitabilmente non può raccogliere l’unanimità dei consensi, ma che indubbiamente può ritenere di aver vinto la propria scommessa in un terreno tanto scivoloso quanto quello pasoliniano.
Cecilia Nicolotti
PPP ULTIMO INVENTARIO PRIMA DI LIQUIDAZIONE
omaggio a Pier Paolo Pasolini
di ricci/forte
regia Stefano Ricci
con Capucine Ferry, Emilie Flamant, Anna Gualdo, Liliana Laera, Giuseppe Sartori, Catarina Vieira
drammaturgia ricci/forte
movimenti Francesco Manetti
scene Francesco Ghisu
costumi Gianluca Falaschi
ambiente sonoro Andrea Cera
direzione tecnica Alfredo Sebastiano
assistente regia Ramona Genna
produzione ricci/forte
coproduzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Festival delle Colline Torinesi