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UNA “SCANDALOSA GRANDEZZA”: A OTTANT’ANNI DALLA NASCITA DI CARMELO BENE

Mercoledì 13 Dicembre si è svolto presso Palazzo Nuovo un convegno dedicato alla controversa e singolare figura di Carmelo Bene, che proprio quest’anno avrebbe compiuto ottant’anni. Sembra quasi impossibile inquadrare completamente questo grande artista, che negli anni del suo lavoro ha sempre scatenato sentimenti e reazioni potenti, sia in negativo che in positivo. Scandali, ma un’innata genialità: già il titolo del convegno mette in evidenza la profonda contraddittorietà incarnata da Carmelo Bene, che per tutta la sua esistenza ha cercato di mostrare quanto ormai fosse impossibile parlare di attore tragico, mostrandolo apertamente al pubblico. Durante il convegno non si è parlato però solo dell’attore, ma anche del regista, del drammaturgo, del pensatore, del filosofo, dell’intellettuale, del letterato, che ha orbitato attorno al teatro, al cinema, alla televisione e alla radio, costruendo così una carriera che ha toccato molti aspetti dell’arte; nel corso del convegno infatti abbiamo ascoltato vari punti di vista di esperti del settore che hanno cercato di mettere a fuoco l’opera complessa di Carmelo Bene.

Dopo l’introduzione dell’organizzatore del convegno Armando Petrini, professore dell’Università di Torino, il primo a intervenire è stato Piergiorgio Giacchè, antropologo e autore della monografia Carmelo Bene: antropologia di una macchina attoriale. Innanzitutto Giacchè ha spiegato che lo scandalo provocato da Bene è dovuto principalmente a una sorta di “permalosità” del pubblico, che veniva direttamente provocato e soprattutto abbandonato, poiché assisteva a degli spettacoli creati appositamente per non essere compresi: siamo quindi di fronte a un uomo scandaloso sia dal punto di vista politico sociale che da quello dell’abbandono del teatro ufficiale, dove l’arte rompeva il senso comune e il rapporto con il pubblico. Giacché individua nella carriera di Carmelo Bene tre atti unici, tali per originalità e irripetibilità:

  • Separazione dal pubblico: si tratta di una scelta di solitudine, Bene si isolava usando soprattutto monologhi, distruggeva il tessuto drammatico evitando la prosa e usando il ritmo musicale, trasmettendo così l’impossibilità dell’azione teatrale. L’ironia era la chiave di questa separazione, che poteva irritare o attrarre il pubblico.
  • Sublimazione della voce: l’ironia si realizza separando il segno dal senso delle parole: in questo la voce è sublime. Tramite i risuonatori, che attraversano il corpo, sembra di stare in ascolto di se stessi e non della voce dell’attore; ogni frase detta sembra essere una domanda che diventa teatralmente reale. La sublimazione della voce fa sparire la conversazione, e questo eco ha sempre l’accento finale, come una musica in levare.
  • Sparizione della macchina attoriale: Come può l’attore sparire? Negandosi deve sparire l’identità, che non è altro che una imposizione sociale che annulla la vita. L’attore deve diventare inorganico, una macchina che possa innalzarsi sopra di esso.

Il secondo intervento è stato di Emiliano Morreale, docente di Cinema presso l’Università di Roma, che ha analizzato la figura cinematografica di Bene. Quest’ultimo affermava che il cinema non fosse mai esistito e per questo possiamo intuire che per lui la macchina da presa fosse in realtà uno strumento per accentuare ancora di più la separazione dal pubblico. Attraverso questo mezzo egli voleva complicare ancora di più la visione, il film è un dispositivo per l’accecamento attraverso l’eccesso di colori, oggetti e immagini. La negazione del cinema di Bene è poi un modo per interrogarsi sul cinema stesso, che forse è un’arte con delle potenzialità inespresse, che non ha mai raggiunto i suoi obbiettivi. Anche in questo caso Bene mostra l’impossibilità di fare cinema negandolo, realizzando quindi delle opere totalmente diverse da qualsiasi film lo avesse preceduto e sabotando una dopo l’altra tutte le potenzialità del cinema: distrugge la sceneggiatura, il montaggio diventa un momento di distruzione delle riprese e il doppiaggio la distruzione del montaggio; ogni atto della realizzazione del film è un’opera d’arte di distruzione pura.

Donatella Orecchia, anche lei docente presso l’Università di Roma, ci parla invece del Non – Attore che è stato Bene, riferendosi alla perdita dell’aura dell’attore che si confronta con il suo doppio grottesco che deride la tensione al tragico e ribalta parodicamente il senso di un teatro che non riesce a riconoscere la sua impossibilità. Bene studia le tecniche del Grande Attore per poi citarle ribaltandole completamente, ma studia anche con passione Ettore Petrolini, nel quale possiamo individuare un suo “predecessore” per l’idea della deformazione così esasperata che anela alla sparizione.

Dopo la pausa  ci accoglie Roberto Tessari, a lungo docente dell’Università di Torino, con un intervento dal taglio filosofico che analizza il romanzo e il film Nostra Signora dei Turchi, soprattutto per quanto riguarda l’accostamento della figura del santo e dell’attore. Tessari individua come elemento comune quello di eccedere tutte le norme, infrangere ogni limite per raggiungere uno stato di creatività simile all’estasi del Santo. L’attore è colui che la visione mistica non può o/e non vuole averla, mentre il Santo è chi riesce ad averla e ci crede fermamente. Questo rapporto tra attore e santo si basa sulla negazione dell’Io: oggettivarsi è l’obbiettivo comune, il Santo vive un’illusione di oggettivarsi in sé, di identificarsi in questo modo con Dio, mentre l’attore persegue l’eclissi del proprio Io tramite un’idiozia controllata.

Sergio Ariotti, studioso e critico, direttore del Festival delle Colline Torinesi, ci racconta invece in maniera aneddotica, e per questo affettuosa e divertente, il periodo della registrazione dell’Otello televisivo di Carmelo Bene nel ‘79, alla quale ha potuto assistere personalmente. Anche se questa azione rientrava in una prassi piuttosto consolidata in quegli anni, ovvero di riprendere uno spettacolo teatrale e registrarlo negli studi televisivi, lo scontro di Carmelo con il mezzo televisivo fu molto interessante. Bene non voleva adottare una tecnica di ripresa standard, le sue erano riprese estenuanti quasi come performance teatrali. Bene aveva un approccio innovativo che lo ha portato a diversi scontri con gli operatori e a difficoltà. Va però ricordato che chi ha vissuto queste riprese si trovava di fronte a un Genio che stava sconvolgendo e rivoluzionando questo tipo di lavoro con consapevolezza, poiché Carmelo Bene sapeva tutto anche degli aspetti più tecnici, faceva delle richieste chiare e specifiche e la sua fu quindi anche una grandissima lezione di tecnica televisiva su come superare ad esempio il guaio dei contrasti, dato che aspirava a una saturazione dei bianchi che sembrava impossibile ai registi. Purtroppo la messa in onda di questo Otello, nel 2000, non è riuscita a sottolineare lo sperimentalismo dato che il materiale nel frattempo era stato interamente digitalizzato; quella che si può vedere ad oggi non è altro che una rielaborazione dell’opera che ci dà solo il senso delle riprese: Bene non ci mise mai mano direttamente, il montaggio è infatti quello classico televisivo e possiamo dunque concludere che quasi sicuramente lui lo avrebbe fatto in maniera totalmente differente.

A conclusione di questa interessante giornata Franco Prono, docente di Cinema all’Università di Torino, ci parla di che cosa ha significato l’intervento di Carmelo Bene all’interno della televisione italiana, proiettando alcuni spezzoni di trasmissioni alle quali Bene partecipò come ospite. Quello che si può notare è che Bene si presta al gioco della trasmissione in cui si trova, ovviamente esprimendo il suo punto di vista, ma mantenendo nelle diverse occasioni il giusto profilo richiesto dallo spettacolo al quale era stato invitato. Nonostante quindi egli abbia più volte espresso un giudizio negativo sulle trasmissioni televisive e su chi le realizza, Bene secondo Prono si presta ad esse come un vero uomo di spettacolo, camaleontico leone da palcoscenico che sa adattarsi con intelligenza a tutte le situazioni: un’ulteriore contraddizione presente all’interno del grande, e scandaloso, Carmelo Bene.

A cura di Alice Del Mutolo