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Orlando, quelle primavere che cambiano la vita

Ancora una volta Silvia Battaglio ricopre un ruolo importante all’interno del panorama teatrale torinese: dopo lo spettacolo Ofelia andato in scena al Tangram Teatro, la ritroviamo al Teatro Gobetti all’interno della rassegna “Il Cielo su Torino” il 3 e 4 gennaio con Orlando. Le primavere. Di questo spettacolo cura la regia, le coreografie e la drammaturgia, oltre ovviamente a recitare insieme a Lorenzo Paladini. L’attore interpreta Orlando durante i suoi primi trent’anni, quando è un uomo e deve vivere come un uomo, anche se per sua stessa ammissione non sa bene come fare. Questo Orlando, il primo Orlando, non riesce infatti a trovare una sintesi tra quello che sente di essere veramente e quello che il mondo si aspetta che lui sia, in quanto uomo. Il primo Orlando è confuso, impulsivo, appassionato, si i01_orlando_ph-roberta-saviannnamora a prima vista della bella Sasha, quasi come un bambino viene attratto da un giocattolo nuovo. Gli si spezza il cuore quando lei non si presenterà al loro primo e unico appuntamento, così come quando la poesia che tenta di scrivere non verrà apprezzata, e deciderà allora di andare in guerra. Orlando innamorato, Orlando poeta, Orlando soldato: nessuno stato d’animo e nessun luogo riesce a fargli capire chi è sul serio, nessun vestito gli calza veramente bene. Fino a quando un giorno, improvvisamente, dopo i suoi primi trent’anni di vita, Orlando si risveglia donna. E il vestito che questa volta indossa le piace, la fa sentire finalmente a suo agio, le fa venire voglia di danzare. Come se questo cambiamento ancora non bastasse, Orlando non solo veste meravigliosamente i panni di una donna ma decide di unirsi a un gruppo di zingari, di imparare da loro quello che la vita fino a quel momento vissuta non ha saputo insegnarle. Libera da tutto ciò che l’aveva costretta prima a un’esistenza che non era realmente la sua, questo straordinario personaggio attraverserà, in un arco temporale di ben tre secoli, tutte le sue primavere, fino a quando ritornerà a casa sua consapevole della propria vera natura.

La parola che si potrebbe utilizzare per descrivere questo spettacolo è suggestione. Tutto sembra sospeso, tutto rimane in attesa che qualcosa di nuovo accada. Il pubblico resta immobile e trattiene il respiro mentre cerca di capire cosa si nasconde dietro a un buio debolmente illuminato da una luce soffusa o dietro a un silenzio improvviso, dietro a una danza che comincia e chissà dove porterà. Le luci appese a questi cavi che pendono dal soffitto sono meravigliose: conferiscono a tutto il palco un atmosfera quasi magica e rituale. Illuminano le figure in modo singolare e poetico, e dalla sala si ha la sensazione di guardare verso un cielo stellato. È quasi come se ci fosse un terzo personaggio in scena, e i due protagonisti interagiscono continuamente con lui rendendolo protagonista a sua volta.

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Quello che colpisce sempre degli spettacoli di Silvia Battaglio è la magia che quest’artista fa nascere sul palco giocando con la potenza espressiva che il corpo emana quando assume forme e sfumature diverse da ciò che siamo abituati a vedere. Nulla è quotidiano o didascalico. La sua figura slanciata, modellata da anni di danza, si impone sulla scena fin dal primo istante di apparizione, quando tutto il pubblico allunga il collo per riuscire a vederla: lei si trova al lato della scena rannicchiata per terra, immersa nel buio che ancora avvolge palco e sala, il profilo del corpo debolmente illuminato da una lampada appesa a un filo sopra di lei. L’aria intorno è immobile mentre comincia a respirare. Un respiro soltanto, un microscopico movimento, e tutti gli occhi sono incollati su di lei. Comincia la sua danza leggera che assomiglia a una specie di risveglio, lento rituale, fino a quando non si anima del tutto e comincia a giocare con la sua lampada, a danzare insieme a lei. E in quello spazio piccolo e marginale si focalizza tutta l’attenzione e si concentra tutta l’energia dell’artista. Con il suo corpo quasi spoglio, neutro, con la sola forza dei muscoli e la fluidità di morbidi movimenti, Silvia crea un mondo intorno a sé, mentre le immagini cominciano a venire fuori da questa sua danza che la accompagna sempre, in ogni momento dello spettacolo. Questa potenza, questa energia che caratterizza il suo lavoro le rende possibile servirsi di pochissimi elementi a loro volta molto potenti, sistemati all’interno di una scenografia assolutamente minimale. Stupisce quasi come non abbia bisogno praticamente di nulla per creare un intero spettacolo, per raccontare la sua storia. E la bravura dell’artista non sta solo nel non aver bisogno di molto per fare arte, ma anche nell’astuzia e nella fantasia che impiega per utilizzare questi pochi elementi presenti in scena. Così oggetti semplici e di uso comune vengono caricati di significati e prendono vita, diventano qualsiasi cosa possa essere utile alla narrazione. Delle lampadine diventano specchi, e poi ancora stelle del cielo, o compagni con cui parlare; un fazzoletto profumato diventa un dono per omaggiare la propria amata e poi una poesia; una collana di perle diventa il simbolo di un legame che rimane dentro a un mutamento.

Orlando. Le primavere

liberamente ispirato a Orlando di Virginia Woolf

regia, coreografie e drammaturgia Silvia Battaglio

con Silvia Battaglio e Lorenzo Paladini

suggestioni musicali Luc Ferrari, Paolo Angeli, Officine Schwartz

disegno luci Massimiliano Bressan

Eleonora Monticone

S.O.S. STORIA DI UN’ ODISSEA PSICOSOMATICA: raffigurazione di sette “Chakra”

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Lo scorso 6 gennaio la compagnia Makiro ha presentato in prima nazionale lo spettacolo S.O.S.  Storia di un’Odissea Psicosomatica, all’interno della terza edizione della rassegna “Il Cielo su Torino”. Lo spettacolo è interpretato dalla giovane artista francese Aurélia Dedieu, con la regia di Giuseppe Vetti. Il debutto del lavoro al Teatro Gobetti non poteva avvenire in un giorno migliore di quello dell’Epifania. S.O.S. Storia di un’Odissea Psicosomatica è un viaggio “allucinante” all’interno del corpo umano; viaggio che  viene compiuto dall’attrice con ironia, alla ricerca dei legami tra biologia ed emozioni,  del collegamento tra fisico e psiche.  Dopo aver accusato un forte mal di pancia, la protagonista si rivolge a un originale medico per una visita: la diagnosi è DISINTERESSE. Si tratterà per lei quindi di decidere se prendere la via della conoscenza o continuare a farsi “spacciare” medicine. Scelta la terapia del dottore e intrapreso il viaggio, tra gag, canzoni e pantomima, conosciamo  sette tra i suoi organi, sette piani di un ascensore che come dice  il medico una volta azionato non si può arrestare,  e che ricordano i sette Chakra principali nell’ induismo grazie anche alla scenografia: una grossa piramide in legno con un occhio in alto e una mezza luna in cima.

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 La prima tappa è l’ intestino, rosso e in fiamme, poi l’ utero, campo dove la vita si riproduce se le “condizioni atmosferiche” lo permettono, lo  stomaco, rilettura dei rapporti di forza nel mondo del lavoroil sistema ormonale, ghiandole che condizionano il funzionamento dell’ organismo, il fegato, simbolo del coraggio, della rabbia  incondizionata e della necessità di “distrarsi” in un contesto bellico continuo, rappresentato  con un  crescendo sorprendente di gag e canzoni anni Sessanta che fanno  riferimento al movimento hippy. Il “piano” più “emotional” è il sesto: Il cuore. Deve fare tutto lui, e la protagonista ce lo dice sulle note della famosa e triste Ne me quitte pas. L’ultimo organo è il cervello: in stile mission impossible  bisogna prepararsi ad affrontarlo per raggiungere finalmente la torre di controllo, l’ “illuminazione”.

Alessandra Pisconti

 

scritto da Aurelia Dedieu e Giuseppe Vetti

Con Aurélia Dedieu Regia di Giuseppe Vetti

Musiche: Elia Pellegrino – Giuseppe Vetti

Grafiche: Housedada

Scenografia: Jacopo Valsania

Tecnica: Luca Carbone

Costumi: Federica Chiappero

Foto-video: Davide Carrari

Produzione Compagnia Makiro in collaborazione con Teatro B. Brecht di Formia, Sala Fenix di Barcellona, Teatro C’Art di Castelfiorentino, CuboTeatro di Torino e Teatro della Caduta di Torino

L’ipocrisia cattura anche l’anima più nobile? Misura per misura

Misura per misura è un testo che William Shakespeare scrive nel 1603, ambientato in una Vienna totalmente immaginata dall’autore ma mai realmente visitata. In questa fredda città si svolge una storia che parla di giustizia, di perdono, della deriva malsana a cui conduce il potere se si piega nella direzione sbagliata,  ma ci mostra anche una vena inaspettatamente comica che il regista e attore Juri Ferrini  riesce a esprimere. La scena si apre su un fondale spoglio e pieno di scritte, dove alcuni ragazzi chiacchierano vestiti in modo moderno e un po’ kitsch. “Un omaggio a San Salvario” come dice il regista, quartiere di Torino variopinto e popolato dalle più diverse nazionalità ma allo stesso tempo luogo di problemi sociali e degrado. Le musiche sono pop come i colori degli abiti che contrastano con lo scuro fondale. Quasi subito viene rivelato l’origine dell’intreccio. Claudio, capo di questa banda di ragazzi di strada viene arrestato per aver messo incinta Giulietta e corre a contattare l’amico Lucio perché possa aiutarlo. Questa volta  non potrà fare conto sull’indulgenza del vecchio duca Vincenzo, che si allontana da Vienna per negoziare in Polonia e mette al suo posto Angelo. Quest’ultimo accusa  Claudio del misfatto commesso e per questo lo  condanna a morte.

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Lucio per poter scarcerare l’amico chiede aiuto alla sorella di Claudio, Isabella, la quale è in convento come novizia.. La ragazza accetta di testimoniare in favore del fratello e inscena una sorta di processo contro Angelo dove i due mettono sul banco le loro carte.  Da una parte abbiamo la giustizia rappresentata da Angelo che “punisce solo ciò che vede”, ma che non guarda in faccia  nessuno. Per questo motivo  Claudio non è la vittima ma il capro espiatorio,  e la sua accusa diventa  un esempio per quelli che verranno dopo di lui. Dall’altra parte vi è invece il perdono impersonato da Isabella, la constatazione che “il potere è soggetto ad errori”, e  che il concetto di perdono può essere più forte della pura razionalità.  Angelo, l’avvocato,   sedotto dalla virtù e dalla spiritualità di Isabella, subisce il crollo delle sue certezze,  i suoi sforzi, la sua carriera, gli sembrano ormai lontani ed esplodono in lui le contraddizioni più nascoste e animalesche. Infatti chiederà alla donna di avere un rapporto sessuale con lui in cambio della scarcerazione di Claudio. La ragazza  non accetta e Angelo la minaccia dicendo che nessuno ascolterà lei al suo confronto “Il mio falso pesa più del tuo vero”. A questo punto sorge una domanda: “L’ipocrisia cattura anche l’anima più nobile?”.

Probabilmente si, dopo tutto Angelo prima di incontrare Isabella non faceva altro che seguire la legge scrupolosamente, quindi non si può nemmeno dire che sia un personaggio cattivo. Piuttosto ridicolo, se lo vediamo al giorno d’oggi, ipotesi che sembra trasmetterci anche il regista. Probabilmente Angelo oggigiorno non sarebbe l’illustre avvocato immaginato da Shakespeare a suo tempo, ma piuttosto un impiegato meticoloso, relegato ai margini proprio perchè ligio al dovere. L’attualità che i testi di Shakespeare continuano ad avere dopo secoli viene affrontata bene in scena da Ferrini che infatti mescola il testo originale con elementi comici e battute che ci toccano da vicino.06_foto-misura-per-misura_ph-bepi-caroli_dsc_4258

Ovviamente la piece è anche una commedia, come abbiamo detto e di risate se ne fanno molte. Imperdibile il dialogo tra il Gomito e Mastro Schiuma, molto riuscito ed autoironico anche Angelo Tronca che porta in scena una sua personale e divertentissima versione del personaggio di Lucio. Juri Ferrini invece è il duca Vincenzo che si traveste da frate, “un frate in missione speciale”, per scoprire sotto questo aspetto mascherato il peccato realizzato da Angelo in sua assenza. Lo spettacolo riesce bene, seppur forse troppo lungo, poiché si poteva evitare qualche allungamento dovuto alla trama che il regista ha voluto mantenere nella versione integrale. Per questo motivo il pubblico rischia a volte di perdere l’attenzione e il pathos provocato dalle vicende. Ho apprezzato molto invece la semplicità della scena che non nascondendo le capacità dell’attore, obbliga il pubblico ad essere attento e apprezzare ogni movimento dell’interprete e il modo in cui riempie lo spazio.

Linda Borello

di  William Shakespeare
con Jurij Ferrini, Elena Aimone, Matteo Alì, Lorenzo Bartoli, Gennaro Di Colandrea, Sara Drago, Francesco Gargiulo, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti, Michele Schiano di Cola, Marcello Spinetta, Angelo Tronca
regia Jurij Ferrini
scene Carlo De Marino
costumi Alessio Rosati
luci Lamberto Pirrone
suono Gianandrea Francescutti
regista Assistente Marco Lorenzi
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

 

 

 

 

Felicita è diventata adulta

“Signorina Felicita, è il tuo giorno!

A quest’ora che fai? Tosti il caffè?

E il buon aroma si diffonde intorno?

O cuci i lini e canti e pensi a me,

all’avvocato che non fa ritorno?

E l’avvocato è qui: che pensa a te.”

 

 

Guido Gozzano I colloqui

 

Lo spettacolo teatrale di Lorena Senestro ispirato a La signorina Felicita ovvero la Felicità opera del poeta Guido Gozzano è un’interessate rielaborazione della storia che conosciamo. Il protagonista della vicenda, il poeta-avvocato immerso nella vita cittadina e frenetica incontra Felicita, una donna semplice con occhi “di un azzurro stoviglia” e che proprio grazie a queste qualità autentiche pone le basi della sua strana e sottile seduzione che raggiunge il cuore del protagonista. L’infatuazione però durerà poco. L’avvocato sarà costretto a tornare in città abbandonando la ragazza e rendendosi conto di avere egli stesso recitato una parte pensando di migliorare la sua vita insieme a lei. Il personaggio di Felicita ci affascina e conquista Gozzano che si immedesima nella figura dell’avvocato e nell’ammirazione di questa ragazzina impaurita che diventa musa ispiratrice dell’autore “tu non fai versi, Tagli le camicie per tuo padre…”.

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Il sipario si apre mostrando una Felicita sola insieme al fantasma del padre che le racconta le favole e canta con lei. Rinchiusa in una casa in cui gli oggetti diventano giganteschi, forse allusione a quel mondo “alto” di feste e cerimonie che tanto ha desiderato, ma mai ottenuto riservandosi la parte di mera osservatrice. In mezzo a questi oggetti si muove come una moderna Alice nel paese delle meraviglie cercando di trovare un senso a tali simboli che caratterizzano così tanto il suo passato. Sedie altissime e sottili che alludono forse anche alle forme allucinate di Dalì accentuando il contrasto tra robustezza e fragilità che è poi il binomio presente nell’animo di questa donna forte e ambiziosa ma non abbastanza coraggiosa da prendere in mano la sua vita.

Felicita non è più la ragazza ingenua e debole che ci saremmo aspettati in una versione più tradizionale e vicina al punto di vista di Gozzano, ma nella versione della Senestro una donna moderna che ha capito di essere stata intrappolata in un mondo che non le appartiene. Come se il messaggio stesso del testo di Gozzano, si ribellasse a quello dell’autore dicendo: ecco qui la donna moderna, consapevole e indipendente.

La recitazione di Lorena Senestro alterna momenti di follia a momenti di lucidità dove l’essenza vera del personaggio si manifesta per esempio quando vediamo la donna arrampicarsi su una gigantesca sedia e perdersi nel ricordo del primo e unico bacio dato di nascosto al suo Guido. Momento che mi ha emozionato molto nella descrizione così puntuale delle sensazioni spirituali e fisiche che si provano a baciare qualcuno.

Nel complesso uno spettacolo ben recitato dall’ attrice protagonista, affiancata in alcuni brani da Andrea Gattico che offre allo spettacolo un interessante scambio di suggestioni musicali, canore e teatrali. La presenza quasi solitaria della Senestro inizialmente mi ha fatto pensare che potesse risultare ripetitivo per il pubblico. Ma la Senestro supera la prova mostrandoci i frutti del lavoro attoriale di un’interprete che ha studiato da auto-didatta e che dunque merita lode nel risultare più vera di alcune attrici che possiamo vedere a teatro, uscite dalle migliori scuole ma che poi risultano fredde in scena.

Man mano che lo spettacolo entra nel suo culmine lo spettatore viene ipnotizzato dall’inafferrabilità di questo personaggio seppur di animo così semplice.

Quella che ci viene rappresentata è la triste storia di una donna che ha perso le sue ambizioni e si sente chiusa in un mondo preconcetto dove ogni cosa è un rituale da ripetersi e ci affascina perchè dopotutto ci riguarda da vicino, nella nostra corsa contro il tempo a cercare una risposta che forse non arriverà, sempre in bilico per citare le parole dette dalla Senestro: “Tra la morte e la felicità!”.

 

Linda Borello

 

 

La signorina Felicita ovvero la Felicità

18-30 ottobre 2016

uno spettacolo di Lorena Senestro

con Lorena Senestro e Andrea Gattico (pianoforte)

progetto scenografico Massimo Betti Merlin, Francesco dell’Elba

luci Francesco dell’Elba

regia Massimo Betti Merlin

Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale

Teatro della Caduta

 

 

 

 

 

 

 

La signorina Felicita ovvero la Felicità

Nel cartellone del Teatro Stabile di Torino troviamo collocato dal 18 fino al 30 ottobre, sul palco del Teatro Gobetti, lo spettacolo La signorina Felicita ovvero la Felicità dedicato al centenario della morte di Guido Gozzano.

L’attrice dello spettacolo è Lorena Senestro, fondatrice assieme a Massimo Betti Merlin del Teatro della Caduta, che ha messo in scena un monologo in cui lei ci restituisce la propria lettura e interpretazione del personaggio di Felicita, accompagnata da Andrea Gattico al pianoforte.

Gozzano, come è noto, è un poeta italiano associato alla corrente del crepuscolarismo, caratterizzata da compianto e perenne insoddisfazione. In un primo momento egli si forma emulando D’Annunzio e studiando Carducci, in seguito con la scoperta di Pascoli si avvicina alla poetica delle “buone cose di pessimo gusto” che lo porteranno a uno stile personale malinconico e dedito alla ricerca di felicità nelle cose semplici e antiche. Gozzano era caratterizzato da una grande ironia e rappresenta una nuova sensibilità novecentesca.

Lorena Senestro ha condotto uno studio approfondito su Gozzano ed è giunta alla conclusione che la sintesi più completa del suo stile è contenuto nel poemetto La signorina Felicita ovvero la Felicità. La vicenda narra il ricordo di una giovane fanciulla di campagna di cui Gozzano rimase affascinato per la semplicità con cui conduceva la sua vita. Immersa in un arredo antico, lei che ha fatto la seconda classe e non medita di filosofia, ci viene presentata bruttina ma amabile. Con ironia Gozzano ce la presenta come una donna capace, forse, di fargli dimenticare la vita da intellettuale e finalmente avvicinarlo alla vita vera, alla moneta e al bisogno. Pare certo che lo farebbe più felice di qualsiasi donna da rivista. Però poi Guido parte per le Indie e non fa più ritorno dalla sua signorina. Il personaggio è realmente esistito e Gozzano l’ha romanzato.

“Sto meglio anche perché sono innamorato! Di una donna che non esiste, naturalmente! La signorina Domestica. Una deliziosa creatura provinciale, senza cipria e senza busto, con un volto quadro e le mandibole maschie, con un nasetto camuso sparso di efelidi leggere, due occhi chiari senza sopracciglia, come nei quadri fiamminghi; non ridete, amica! (…) È strano ch’io mi sia così cerebralmente invaghito di costei, mentre ho ancora nella retina la vostra moderna figura di raffinata. Forse è una reazione, una benefica reazione…”
(Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, Lettere d’amore)

07_foto-prove-la-signorina-felicita_ph-andrea-macchia_6972Partendo da questo spunto, Lorena Senestro ha raccontato durante un’intervista di essersi immedesimata nella signorina decidendo di infrangere il cliché di campagnola ingenua e rappresentando una donna affine al poeta, assai romantica, che vuole piacere ed è convinta dei sentimenti di Gozzano. Ha portato in scena una Felicita oramai anziana, in attesa perenne del ritorno dell’avvocato poeta, che ripercorre i ricordi come in una specie di sogno, ancora bloccata dalle promesse e alternando momenti di leggerezza ad una grande sofferenza. Distaccandosi dalla realtà riesce a rimanere sempre la signorina vivace che ci ha presentato Gozzano ma a questa vivacità si alternano momenti di lucidità in cui la protagonista realizza di essere sola e di aver perso il padre, Maddalena e il suo avvocato. Il monologo ripercorre tutto il poemetto, citando fedelmente le rime del poeta.

Il tutto si ambienta nel “salottino in disuso”, reso scenograficamente da cornici che rimandano alla rimembranza, “le piccole cose” come un tavolo ed una sedia di dimensioni gigantesche, una grande cornice che contiene il ritratto della Marchesa e il piano suonato costantemente da Andrea Gattico.
Lo spettacolo è contraddistinto da un connubio estetizzante di immagine e suono. L’andamento musicale è connesso al dialogo ed è stato composto durante le prove, inoltre l’uso delle luci è di fondamentale importanza e dà il senso di un tempo scandito. Le luci partecipano anche a proiettare ombre su tre teli posti sui lati e sul fondo della scena, rendendo il tutto più dinamico e facendoci intendere che retrostante allo spazio del salotto c’è anche la presenza del giardino di Villa Amarena. A ciò si unisce un arricchimento del testo con l’uso di espressioni dialettali piemontesi, lingua antica cara all’attrice e ricollegabile all’uso di costruzioni sintattiche piemontesi in Gozzano.

La compagnia del Teatro della Caduta è riuscita a consegnarci un adattamento che ci immerge in un’atmosfera onirica, facendo arrivare agli spettatori emozioni che hanno la capacità di commuovere.

Andreea Hutanu

La signorina Felicita ovvero la Felicità
Uno spettacolo di Lorena Senestro
Con Lorena Senestro e Andrea Gattico (pianoforte)
Progetto scenografico Massimo Betti Merlin, Francesco dell’Elba
Luci Francesco dell’Elba
Regia di Massimo Betti Merlin
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale Teatro della Caduta

Finta felicità, per la signorina Felicita

Ha debuttato martedì 18 ottobre, e sarà in scena fino al 30 ottobre,  il primo spettacolo della stagione del Teatro Gobetti: LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITA’ . Uno spettacolo di  e con Lorena Senestro, che vede la collaborazione tra il Teatro Stabile di Torino e il Teatro della Caduta.

A cent’anni dalla morte dell’autore, Guido Gozzano, Loredana senestro porta in scena una versione molto personale della breve e malinconica biografia dello scrittore piemontese. Tutto in una rappresentazione dall’ambienatazione onirica e che richiama il mondo delle meraviglie di Alice. Un tavolo sproporzionato sotto cui Felicita ci passa come fanno i bambini, un pianoforte, cornici sospese, un01_foto-prove-la-signorina-felicita_ph-andrea-macchiaa sedia alta giusta per arrivare al tavolo, tazzine e tazze in frammenti. Tutto sinonimo di un’esistenza passata nell’illusione di una promessa di vita, al fianco di un Guido malato, che non potrà mantenere le sue promesse. Una signorina che invecchia, pur mantenendo l’innocenza e la felicità di una bambina. Vediamo i problemi, gli intrighi amorosi, il rapporto col padre di Felicita che crescono ma rimangono sempre con un qualcosa di infantile, sottolineato dalla scenografia.

Ad accompaganre tutto lo spettacolo sono le musiche suonate in scena al pianoforte da Andrea Gattico,pianista da tabarin torinese, che incarna il Padre di Felicita, ma più con la voce che con il corpo.
I tre lunghi teli riescono a trasportarci in quel mondo “…un po’ ammuffito di una vecchia casa di 100 anni…”.
La Senestro è molto convincente nella sua interpretazione, più nei momenti di sconforto e di semi-pazzia che nei momenti di pura realtà. Appare molto felice nei momenti di discussione tra Felicita e il Padre. Unica pecca, che fa calare a tratti l’attenzione di chi assiste, sono le poche variazioni di voce che a tratti caratterizzano i monologhi per la monotonalità.
Molto intenso è il finale, che crea una sorta di girotondo mai destinato a finire, e piuttosto a ripetere il continuo scorrere del tempo bloccato nei ricordi. Un’attesa della stessa Felicita che non si rassegna al passare del tempo e alla sua solitudine.

Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro sono gli animatori di una delle più interessanti esperienze off nazionali, il Caffè della Caduta, un piccolo spazio teatrale dove pubblico e artisti si incontrano prima e dopo gli spettacoli, condividendo informalmente lo spirito del teatro.

Elisa Mina

LA SIGNORINA FELICTA OVVERO LA FELICITA’
regia
Massimo Betti Merlin
spettacolo di Lorena Senestro
con Lorena Senestro e Andrea Gattico(Pianoforte)
scenografia Massimo Betti Merlin, Francesco dell’Elba
luci Francesco dell’Elba

UN MAGO D’ESTATE

 

Un mage en été, una visione di suoni onirici.

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Già presentato nel 2010 in occasione del Festival d’Avignon, Un mage en ètè di Olivier Cadiot con la regia di Ludovic Lagarde ha fatto la sua prima e unica tappa italiana al  Gobetti di Torino, città perfetta per ospitare il “mago” francese Laurent Poitrenaux e il suo vortice di sensazioni e idee, per il Festival delle colline torinesi.

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Si spengono le luci , il sipario si apre. Solo sul palcoscenico, un insolito mago vestito di bianco inizia un monologo che è poesia.  Ho un occhio puntato ai sopratitoli e l’altro verso Laurent Poitrenaux, e ciò che vedo è un mago moderno, una macchina teatrale.

Il mago Robinson vive chiuso in una stanza che è il suo mondo, si costruisce tutto solo la sua isola interiore, la sua vita quotidiana. È un susseguirsi di visioni da sogno, di”rumori bianchi”che rilassano ma non fanno addormentare, dettagli uditivi con articolazioni pop-elettroniche che non so dire da dove provengano ma creano effetti lontani. Robinson condivide con noi il fuoco di emozioni che si scatenano al ricordo di una ragazza X che lui vede distesa beata nella natura illuminata da un sole forte, fino al loro incontro e a un bacio. Adesso vede una nave vichinga e rumorosa, ora vede Nietzsche giocare a golf e ha una voce robotica e distorta che mette quasi paura. Poi chiude gli occhi: è un cantante sott’acqua, si crea uno pseudonimo accattivante.

Non ci sono trucchi di magia da tenere nascosti, Robinson è un mago di percezioni legate a immagini che invadono lo spazio in un turbine di forme geometriche. Sta comprendendo le cose del mondo, le vive dal suo punto di vista, e lo fa con umorismo.

Questo testo di Oliver Cadiot ha una forma ciclica, è il serpente che si mangia la coda, una rinascita. Quello che egli vede lo ha già visto, è un infuso di nostalgia, felicità, rabbia. E’ una meditazione sul potere del pensiero.Un mago d'estate

Il colore verde con le sue tonalità è ricorrente per tutta la durata dello spettacolo: dalla visione della ragazza nella natura, fino all’epilogo quando lui stesso torna giovane  e rannicchiato, “sott’acqua nato”.

Buon teatro e buona magia a tutti!

Alessandra Pisconti

di Olivier Cadiot regia Ludovic Lagarde

con Laurent Poitrenaux scenografia Antoine Vasseur luci Sébastien Michaud costumi Fanny Brouste immagini/visual design Cédric Scandella drammaturgia Marion Stoufflet applicazioni informatico-musicali Ircam/Grégory Beller suono David Bichindaritz coreografie e movimenti Stéfany Ganachaud video Jonathan Michel codice creativo Brice Martin Graser

produzione La Comédie de Reims Centre Dramatique National coproduzione Festival d’Avignon, Ircam/Les Spectacles Vivants – Centre Pompidou, Centre Dramatique National Orléans/Loiret/Centre con il sostegno di Région Champagne-Ardenne il testo Un Mage en été è pubblicato dalle edizioni P.O.L

traduzione Gioia Costa per il Festival delle Colline Torinesi