Archivi tag: Teatro Stabile di Torino

LA FORMA DELLE COSE- MARTA CORTELLAZZO WIEL

“È possibile cambiare il mondo di qualcuno dal di dentro?” 

Marta Cortellazzo Wiel porta in scena, in prima nazionale, al Teatro Gobetti di Torino, uno dei testi della Trilogia della bellezza, scritta da Neil LaBute, La forma delle cose. L’incontro tra un’artista e uno studente, nonché guardia di un museo, sarà la genesi della depersonalizzazione di quest’ultimo, sempre più dipendente e manipolato.

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La Morte a Venezia – Liv Ferracchiati

Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi

“È scabroso mordere la fragola, è scabroso mordere la vita”

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Liv Ferracchiati è in tournée col suo ultimo spettacolo “La Morte a Venezia”. Questa volta si porta dietro una performer molto brava, Alice Raffaelli, attrice e ballerina ( dal 2015 si affaccia al mondo della prosa grazie alla collaborazione con la compagnia The Baby Walk, continua ad esplorare la scena legata al teatro di parola con Antonio Mingarelli. Nel 2018 è tra le finaliste del premio Ubu, categoria miglior performer under 35…).

Non si tratta di un adattamento teatrale de La morte a Venezia, ma di un percorso scenico liberamente ispirato alla novella di Thomas Mann. Chissà cosa potrebbe pensare …”Was ist das! dopo Luchino Visconti e Benjamin Britten arriva questo giovane regista e mi usa come spezzatino mettendo in scena solo il contorno alla mia novella, e meno male che non si chiama Gustav…”

Il sipario è aperto, tre grandi teloni ricordano i rivestimenti dei gazebo balneri belle epoque: null’altro. Il lavoro inizia con un fade in su una poesia di Josif Aleks. Brodskij “ In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni…” per poi lasciar apparire una foto di una ciotola di fragole. Una voce femminile narrante sibila e vibra il suono delle frrr…in questo mondo di frrr…di …agole. La causa del decesso viene subito messa in evidenza dalla voce narrante, che qui è onnisciente diegetica per tutta la durata del dramma. Il piatto di fragole è l’affordance non nascosta, si sa subito come agirà col personaggio.

Poco dopo sale sul palco Gustav von Aschenbach che viene accompagnato dalla voce narrante sotto un cielo scialbo a Venezia. Prende la videocamera e la punta verso il pubblico fino a zoomare su una ragazza seduta in terza fila, è Tadzio; non la perde di vista fino ad invitarla sul palco, nulla esiste di più erotico che due persone che si vogliono solo tramite lo sguardo. C’è l’incomunicabilità nello spettacolo, anche se la parola fa da padrone in tutta la scena.

La narrazione, le musiche che si dissolvono e s’accompagnano, la danza sono i tre elementi che caratterizzano la performance mentre tutto viene filmato da Gustav che segue la danza di Tadzio, la guarda a distanza ma si avvicina con l’obiettivo di prolungare la vista in maniera epidermica per provare più piacere. Le linee del corpo sono un messaggio sensuale ma anche imbarazzante per lui. La telecamera diventa carne e parla con lei (o lui ). Lo si capisce passo dopo passo che lei vorrebbe essere toccata, magari baciata ma Gustav non vuole, ha paura, sente brividi sulla pelle, vorrebbe toccarla ma si ferma, si blocca per non sentirsi turbato.

Va avanti così la performance, simulando la fine della vita umana secondo Gustav, con un continuo suono in sottofondo che prelude alla morte, senza difese e nudo. Vuole essere così perché Tadzio non parla la sua lingua, non si comprendono nemmeno quando lui si siede sulla poltrona da barbiere. Lei prende la videocamera e zooma sul viso per poi imbiancare la sua faccia dipingendo una lacrima blu sospesa: musica in dissolvenza, sentiamo il rumore del mare in sottofondo e infine in fade out di nuovo apparire sul telone un’altra poesia di Brodskij “Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi la torbida pupilla…”

Thomas Mann scriveva: “nelle parole non dette la solitudine genera la strana ed inquietante bellezza, la poesia, ma anche il contrario: l’assurdo, l’illecito…” Un’amore platonico si traduce in morte assistita. Proprio la morte di Gustav avviene in una città dove il colera avanza, qui preso e metabolizzato dalle fragole. Chi muore è colui che osserva, Aschenbach, e con lui si estingue lo sguardo afono verso Tadzio.

Il primo personaggio è la Danza che fluttua sulla percezione dello sguardo, il secondo personaggio è lo Sguardo dove c’è il guardare e l’essere guardati; poi c’è il terzo personaggio che è la Parola, degnamente interpretata dalla voce di Weronika Młódzik che la fa da padrone a tutta la piece cercando il disorientamento del pubblico ma anche accompagnandolo a danzare lungo il percorso del dramma.

Cito da un’intervista del giornalista Raimondo Montesi del Carlino:

R.M. “E’ davvero solo un rapporto ‘visivo’ quello che si crea tra i personaggi?”

L.F. “I due non si toccano mai. Anzi, non sappiamo neanche se Tadzio si accorge di Von Aschenbach, nel senso che non sappiamo cosa pensa di lui. Il ragazzo tra l’altro parla una lingua sconosciuta a Von Aschenbach, visto che la sua famiglia è polacca. In compenso in scena va il linguaggio del corpo vista la presenza della danzatrice Alice Raffaelli.”

R.M. “Cosa rappresenta nel suo percorso artistico questo spettacolo?”

L.F. “E’ un lavoro diverso dal solito. lo di solito ho a che fare di più con la prosa. ‘La Morte a Venezia’ mi ha coinvolto molto, e mi ha fornito possibilità di scrittura differenti. Nei miei spettacoli precedenti, poi, c’era una forte vena ironica. In questo caso c’è più liricità”.

Ha ragione, la liricità della narrazione continua fino al suo lungo monologo monosillabico per poi morire tra le onde paragonate alle lacrime amare della vita. In effetti nella piece c’è un aspetto performativo dal contenuto drammatico, l’artista ha voluto realizzare una libera interpretazione dell’incomunicabilità dell’essere umano usando come risposta alle sue domande il testimone del processo creativo, ovvero il dramaturg.

Liv Ferracchiati, artista associato del TST, tornerà a Torino ai primi di aggio del 2025 con lo spettacolo Stabat Mater.

Luigi Rinaldi

ispirato a La Morte a Venezia di Thomas Mann
drammaturgia e regia Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti, Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono Spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
Spoleto Festival Dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile Dell’Umbria
Fondazione Teatro Di Napoli
Teatro Bellini
In collaborazione con
Fondazione Piccolo Teatro Di MilanoTeatro D’Europa

LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

Al Teatro Carignano è andato in scena lo spettacolo La Locandiera, con Sonia Bergamasco, regia di Antonio Latella.

Lo spazio della scena, pur occupato da una scenografia fissa, rende l’idea della locanda in tutte le sue declinazioni: luogo d’incontro e conversazione ma anche di ristoro ed intimità.

In alto sono posti dei neon, e la sensazione è quasi di trovarsi in un laboratorio. Lo spettatore è forse chiamato ad osservare un esperimento.

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LAPIS LAZULI – EURIPIDES LASKARIDIS

IRONIA E CRUDELTA’

ph Alessandra Lai

Euripides Laskaridis mette in scena uno spettacolo giocato sulle contraddizioni e nel contempo produce un effetto disarmonico, a tratti consapevolmente, ma che fa uscire il pubblico dal teatro con molti interrogativi.

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Il combattimento di Tancredi e Clorinda- Torinodanza Festival 2024

Nella Sala Piccola delle Fonderie Limone è andato in scena il 20 ed il 21 settembre lo spettacolo Il combattimento di Tancredi e Clorinda, una co-produzione del Torinodanza Festival. Un piccolo gioiellino la cui narrazione si concentra sul contrasto tra amore ed odio e le emozioni che li accompagnano. Struggimento, paura, rancore e risentimento, vengono elegantemente rappresentati dai ballerini Gador Lago Benito e Alberto Terribile, accompagnati dall’intensa performance canora del tenore Matteo Straffi e del clavicembalista Deniel Perer.

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U. (UN CANTO)- Torinodanza Festival 2024

“Dolce è sentire

Come nel mio cuore

Ora umilmente

Sta nascendo amore

Dolce è capire

Che non son più solo

Ma che son parte di una immensa vita[…]” Dolce sentire

U.(Un Canto), in scena il 15 settembre, è il secondo spettacolo della programmazione del Torinodanza Festival 2024. Nel palco regna indisturbata la presenza dei coristi, i costumi di scena sono semplici, dalle linee pulite e dai colori neutri. Le luci  fredde seguono il ritmo diaframmatico dei canti e con essi le parole stesse delle canzoni che sembrano interpretare. Esse contrastano il tiepido calore della sala e accompagnano con devozione, attenzione e cura i cantanti, durante tutta la loro performance. I microfoni dalle linee sottili, sono disposti discretamente sopra i loro scalpi, per amplificare quella che verrà presentata come una coreografia di voci. Alessandro Sciarroni, direttore dello spettacolo sceglie la voce come protagonista assoluta, mettendo la platea nell’ottica dell’invisibile, talvolta in movimento ci sono muscoli che non possiamo vedere, come le corde vocali dei coristi, le quali forti, vibrano intensamente investendo la sala di una calda e quasi austera atmosfera. I canti folkloristici scelti dal direttore raccontano la tradizione popolare italiana, si intonano canzoni sui temi dell’amore, della perdita, della famiglia ma anche della natura, della passione, della fede, della solitudine e dell’amicizia.

“Amo il profumo che vien dalla tua terra,

amo la luce e il colore del tuo cielo,

amo la pace delle tue montagne,

amo la voce delle tue acque.

Amo i misteri scolpiti sulle rocce,

sogni lontani persi dentro te,

guardo la valle che nasconde il nostro bene,

sorridi e il cielo rosa sembrerà.

Oh,oh!”  Rosa Camuna

 Le corde del passato vengono pizzicate delicatamente, rimbomba il suono della nostalgia, gli spettatori si lasciano trasportare dalle note dolci della musica, si lasciano essi cullare dalle polifoniche voci degli artisti i quali regalano l’illusione di poter ascoltare un’unica voce.

Co-prodotto dal Torinodanza Festival 2024, U. (Un Canto)è uno spettacolo che oltre a lavorare sul movimento invisibile, lavora anche sull’assenza di movimento: un solo passo viene effettuato dai coristi, una volta alla fine di ogni canto, un cammino, lento e disciplinato che li porta dal fondo palco fino a proscenio. La platea è silente, talvolta qualcuno intona flebilmente il canto in atto, in memoria chissà di qualche ricordo riportato alla luce. L’applauso al termine della performance è d’obbligo, la voce, strumento da tutti posseduto ma da pochi utilizzato consapevolmente, sia nella vita reale che in una prospettiva artistica, quale magia possiede: la forza e la potenza se usata in gruppo, l’unicità e l’originalità se usata da una persona soltanto. Il timbro, la firma inequivocabile della nostra voce, inimitabile. Un muscolo, la corda vocale, in grado di cambiare il mondo, dichiarare amore e odio, in grado di urlare una vittoria e  sussurrare una sconfitta. La danza, fatta di muscoli, è da sempre indissolubilmente legata alla musica, alla canzone che essa interpreta. Danzano le voci con le corde vocali, con i muscoli del viso, della lacrima e del sorriso e noi, platea, abbiamo danzato con loro credendo di essere immobili. Questo spettacolo è travolgente; ancora una volta il Torinodanza Festival ci ha messo di fronte ad un estremo contrasto ed anche dinanzi alla consapevolezza che non tutto ciò che vediamo è come sembra. Bisogna muoversi, fisicamente e mentalmente, per poter andare oltre e danzare là dove nessuno aveva mai danzato prima, come il coro di Alessandro Sciarroni.

Rossella Cutaia

di Alessandro Sciarroni
con Raissa Avilés, Alessandro Bandini, Margherita D’Adamo, Nicola Fadda, Diego Finazzi, Lucia Limonta, Annapaola Trevenzuoli
casting, direzione musicale, training vocale Aurora Bauzà & Pere Jou
casting, consulenza drammaturgica
training fisico Elena Giannotti
styling Ettore Lombardi
disegno luci e cura tecnica Valeria Foti
cura, consiglio e sviluppo Lisa Gilardino
Corpoceleste_C.C.00#, Marche Teatro Teatro Di Rilevante Interesse Culturale
Progetto Ring: Festival Aperto – Fondazione I Teatri Reggio Emilia, Bolzano Danza – Fondazione Haydn,
Fog Triennale Milano Performing Arts
Torinodanza Festival, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Freedom Sonata by Emanuel Gat-Torinodanza Festival 2024

<<Il fatto che qualsiasi insieme di condizioni (HOW) si traduca sempre in incentivi specifici (WHY) per gli individui coinvolti, è ciò che definisce il ruolo del coreografo. Poiché c’è sempre il problema di dover predefinire queste condizioni//incentivi, in base alla propria visione del mondo. Domande primordiali come autorità, sovranità, libertà, verità, entrano in gioco nel processo di definizione delle condizioni coreografiche.>> Emanuel Gat

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CONFERENZA STAMPA TEATRO STABILE DI TORINO – ATTO UNICO

Unico atto politico

Lo scorso 4 giugno, presso il Teatro Gobetti, si è tenuta la conferenza stampa della stagione 2024/2025 del Teatro Stabile di Torino, dal titolo “Atto Unico”. Un anno di festeggiamenti, giacché ricorrono i 70 anni del Teatro Stabile di Torino e i 50 anni del Centro Studi. Settant’anni come settanta sono gli spettacoli che verranno messi in scena, come sottolinea il direttore, Filippo Fonsatti.

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Medea – Leonardo Lidi

Medea: una tragedia classica di Euripide molto nota per chi ha avuto occasione di confrontarsi con i testi classici. In questa rappresentazione alle Fonderie Limone la figura tanto ambivalente della protagonista mostra al pubblico la propria disperazione e sofferenza in un momento di introspezione accentuato dalla scelta scenografica del regista Leonardo Lidi: una stanza vuota con dei vetri in plexiglas che separa il pubblico dall’azione e permette di concentrarsi sulle emozioni provate dai personaggi.

Veri protagonisti di questa tragedia sono le donne oggetto di persecuzione per la loro disperazione, origine, conoscenze e capacità, oppure vittime della situazione perché usate per l’acquisizione di potere. Situazione purtroppo ancora attuale per le donne di oggi che se istruite o con idee critiche scomode vengono emarginate o prese poco sul serio. Lo spettacolo vuole farsi emblema della lotta femminile che dai tempi della classicità non è cambiata molto nella sua sostanza. Ma senza cadere in discorsi già più che affrontati e ripetuti, un’altra tematica molto importante è quella della patria, e quindi della donna migrante. Oggi è ben noto il problema dei profughi di guerra che vogliono giungere in Europa nella speranza di trovare condizioni di vita migliori. Molto spesso questo non accade, anzi chi scappa si ritrova come Medea senza una patria che le/li protegga e viene poi spesso irretito dalla criminalità. E se già per gli uomini sembra difficile adattarsi, per le donne la sfida è ancora maggiore.

Nonostante questa interpretazione moderna, nella rappresentazione non viene meno l’ambiguità del personaggio principale, per cui se da un lato il pubblico è portato a empatizzare per la sua condizione dall’altro inorridisce ai suoi intenti omicidi e atteggiamento che sfiora per molti aspetti la pazzia, grazie alla recitazione di Orietta Notari. Per quanto la tentazione di un’interpretazione in chiave femminista del mito sia forte, non bisogna dimenticare la vera motivazione che ha portato alle uccisioni nella tragedia. Medea uccide per vendetta nei confronti del marito con raccapricciante premeditazione. La sua è una vendetta egoistica dettata dall’orgoglio per un oltraggio subito: uccide la nuova moglie e i figli per privare il marito Giasone della sua progenie e quindi della sua dignità maschile.

Medea è giustificabile? Si tratta di un dilemma irrisolvibile, per cui è impossibile vederla riduttivamente come personaggio positivo o negativo. L’interpretazione dichiaratamente femminista su cui si incentra lo spettacolo non è sufficiente a giustificarne il gesto e sarebbe piuttosto riduttiva vista la complessità del personaggio. Ma allo stesso tempo, un’interpretazione apertamente femminista è necessaria in un momento storico come quello attuale in cui le donne, come ampiamente discusso in diversi ambiti anche fuori da quello teatrale, sono penalizzate su più fronti.

Colgo l’occasione per citare parole della stessa Medea che potrebbe pronunciare qualsasi donna oggi per le ragioni più diverse: “Soffro, lo capite che soffro?”.

Linda Steur

Da Euripide

Traduzione Umberto Albini

Regia Leonardo Lidi

Dramaturg Riccardo Baudino

Con Orietta Notari, Nicola Pannelli, Valentina Picello, Lorenzo Bartoli, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti

Scene e luci Nicolas Bovey

Costumi Aurora Damanti

Suono Giacomo Agnifili

Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale

ANTONIO E CLEOPATRA – VALTER MALOSTI

Come un Giano bifronte questo spettacolo del Teatro Stabile di Torino mostra due facce della stessa medaglia che si prestano a molteplici interpretazioni. Abbiamo modernità e antichità che si mescolano nella tragedia storica di Shakespeare, reinterpretata sia in qualità di attore che di regista da Valter Malosti in una visione comica e disincantata, in cui l’Eros non può essere vincitore sulla ragione e il rigore del contesto storico per quanto possa essere passionale e contraddittorio.

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