Da martedì 16 a domenica 21 novembre, al Teatro Gobetti, va in scena Memorie del sottosuolo, adattamento drammaturgico e regia di Marco Isidori, dall’opera omonima di Fëdor Dostoevskij. Il romanzo è passato alla storia come l’ennesima aspra riflessione sulla condizione umana, in particolare nella sua presunta inconciliabilità tra “volontà” e “ragione”, e tutte quelle convenzioni umane che per mezzo di quest’ultima si giustificano: scienza, tecnica, organizzazione sociale. Il positivismo ottocentesco, le speranze nell’edificazione di un mondo più giusto, dunque più prevedibile e quindi più “agibile”, sono contraddette dai sofismi del protagonista – logici quando sufficienti, meramente volontaristici quando necessari: 2×2 può anche fare 5, e non sarebbe poi così male! L’opera prende la forma di un discorso-fiume, un dialogo artificiale che il protagonista intrattiene con dei presunti destinatari di cui lui stesso formula domande e risposte.
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RISVEGLIO DI PRIMAVERA
Nella Sala Piccola delle Fonderie Limone è andata in scena, dopo 18 repliche, l’ultima rappresentazione di “Risveglio di Primavera” di Frank Wedekind tradotto e riadattato da Gabriele Vacis e alcuni dei giovani attori (Davide Pascarella, Enrica Rebaudo, Gabriele Mattè, Erica Nava) che insieme agli altri interpreti sono i neodiplomati della scuola del Teatro Stabile di Torino.
UN SISTEMA DI MUTAZIONE COMPLESSO
Una classe.
La maturità appena vissuta, o ancora da vivere, nell’aria.
Il ricordo di un anno che, come nel testo di Wedekind, ci tende la mano come amico fidato, mano putrefatta, ma che abbiamo imparato a conoscere, immateriale, che ci appare tanto reale quanto familiare, che ci vorrebbe privi di corpo a planare nelle case, “perchè questa è la vera vita” dice Moritz morto suicida all’amico Melchior che vorrebbe seguire il suo esempio. “Vieni con me e potremmo essere in ogni luogo” entrare nelle case – e vien da pensare: magari attraverso i cavi invisibili della rete – quanto ci è familiare tutto questo.
Ma lo spettro di quest’ultimo anno che aleggia su tutti noi, spettatori e attori, viene allontanato dall’irrompere di una figura femminile che nel testo di Wedekind viene indicato come L’Uomo Mascherato, a cui l’autore dedica la stessa opera, e c’è da chiedersi chi sia questo misterioso personaggio. Moritz se lo chiede e glielo chiede invano. In Note a un commento di Lacan su “Risveglio di primavera” di Frank Wedekind riportate da Roberto Cavasola su journal-psychoanalysis.eu si legge:
Che cosa dice l’Uomo mascherato a Melchior? “Hai fame, vieni a mangiare, hai freddo, vieni a riscaldarti”. In una parola lo invita a occuparsi del proprio corpo, gli ricorda che il suo corpo è un corpo vivo, e lo allontana dallo spettro di Moritz che cerca di portare il suo vecchio amico tra i morti.
Nello spettacolo messo in scena da Gabriele Vacis L’Uomo Mascherato è rappresentato da una figura femminile che appare dopo essersi tolta la camicetta, si “disvela”, che sia la verità? che sia la bellezza? che ci strappa alla notte buia di una vita senza corpo e ci ri-porta alla luce, in un nuovo “venire al mondo”?
Un nuovo “venire al mondo” come quello che vivono i personaggi raccontati da Wedekind, che fanno i conti con il periodo più critico della vita: l’adolescenza. Come quello che provano i giovani attori in scena, alla loro ultima rappresentazione dopo un percorso durato 3 anni. Entrambi sull’urlo di un baratro, e allora che fare?
Forse ri-pensare il corpo, come vorrebbe la fenomenologia, in quanto espressione dell’essere-nel-mondo, considerare i corpi come necessità di ogni individuo di disegnare il proprio progetto esistenziale. Semplice no?!? Anche se c’è da perderci la testa!
La quarta parete è spesso abbattuta. Il gioco del teatro, mai celato, in alcuni momenti è persino dichiarato. Si assiste a una simmetria perfetta, in equilibrio precario sulla soglia tra il dentro e il fuori: dell’essere esistente di cui il corpo è soglia; tra il dentro e il fuori della realtà e della verità di cui il teatro è soglia. Corpi vivi tra corpi vivi nello spazio del teatro che è il limen tra la vita e la morte.
Il limen – dice Anna Maria Staubermann riprendendo Andrea Gentile in “Filosofia del limite” – è come un lungo corridoio o un tunnel che rappresenta il passaggio della nostra soggettività verso un nuovo orizzonte: il limen è una fase o uno stato soggettivo di transizione, passaggio, trasformazione che si configura e si caratterizza nella sua dinamicità.
E’ senza dubbio uno spettacolo sul limine quello a cui assistiamo ed è per questo che si rivela al contempo meta-teatrale. Non per la dichiarazione di esserlo, ma semplicemente perché lo “è”.
In un tripudio di vita, i corpi sudano, saltano, muovono l’aria e scompigliano i capelli di chi è seduto in prima fila. Sciame pieno di un’energia incontenibile tanto da oltrepassare le vetrate delle pareti di fondo e strabordare con tale irruenza fuori, nel cortile del teatro. Ma questa irriverente, incontenibile, energia è in realtà un illusione. Sono ben netti infatti gli argini contenitivi a cominciare dalle file di sedie ai lati dello spazio scenico, per non parlare delle fisse postazioni “microfonate”; le stesse vetrate in fondo, una volta rientrati, vengono chiuse e serrate definitivamente; la linea tracciata per terra che separa gli attori dagli spettatori non viene mai superata, se non con la punta del piede scalzo di qualche attore che, con l’audacia propria dell’adolescenza, cerca nella trasgressione la definizione di una propria e nuova identità.
Così ad ogni personaggio di Wedekind, afflitto dalle proprie turbe adolescenziali, viene restituita l’integrità della sua anima attraverso i diversi corpi, dei diversi attori, che si alternano nell’interpretarlo. E le 21 anime degli attori riescono ad emergere, distinte, dall’integrità di un unico corpo scenico, organico, che emerge possente da questo spettacolo corale. Un’unica anima (quella del personaggio) che vive in tanti corpi, tante anime (quelle degli attori) che vivono in un unico corpo scenico.
Il respiro di questo unico corpo è la musica di queste 21 voci che, a volte accompagnate da singoli strumenti (un pianoforte, una chitarra, un flauto, un sassofono), a volte vibrando all’unisono o a canone con le sole corde vocali, scelgono brani noti e moderni che, più che da tappeto musicale alla scena, fanno da ponte tra un testo della fine dell’ottocento e l’oggi, dove paure e frustrazioni, speranze e aspettative di un allora che ci sembra così lontano non sono in realtà mai state così attuali e a cui i giovani attori dello Stabile restituiscono una genuina sincerità che gli appartiene.
E’ nel contenimento di tale irruenza che si vede la mano pedagogica di Vacis, così che lo spettacolo possa essere non il rischio di un’avventata conclusione ma l’iniziazione di un rituale di passaggio.
Ed io spettatore, tornato spudoratamente con il mio corpo nel-essere-nel-mondo, assito complice e argine a mia volta, necessario testimone di un rito iniziatico che ci fa “essere” e con Melchior ci fa dire “Addio Moritz” non è ancora il momento di abbracciarci. Quel salto nel baratro di un ignoto futuro è d’obbligo, sapendo che non è la fine ma un nuovo inizio.
da Frank Wedekind
traduzione e adattamento di Gabriele Vacis, Davide Pascarella, Enrica Rebaudo, Gabriele Matté, Erica Nava e della classe della Scuola per attori del teatro Stabile di torino
con gli attori neodiplomati della Scuola del teatro Stabile di torino: Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Chiara dello Iacovo, Lucrezia Forni, Sara Lughi, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Gabriele Matté, Eva Meskhi, Erica Nava, Cristina Parku, Davide Pascarella, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Kyara Russo, Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà
regia Gabriele Vacis
suono Riccardo di Gianni – assistente regia Glen Blackhall
Nina Margeri
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
Ritornare a teatro dopo un anno e mezzo è una grandissima emozione. Farlo per uno spettacolo come questo di Jurij Ferrini, poi, rende tutto ancora più bello.
Alle Fonderie Limone di Moncalieri, all’interno della stagione del Teatro Stabile di Torino 2020/2021, sta andando in scena Morte di un commesso viaggiatore, opera in due atti del drammaturgo Arthur Miller.
Continua la lettura di MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORELa Vita Davanti a Sé
Momò, dieci anni e molta vita davanti, vive a pensione da Madame Rosa, ex prostituta ebrea «con più chiappe e seni di chiunque altro» che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Intorno a lui la variopinta, vitalissima e a volte disperata sarabanda del quartiere di Belleville, tra spazzini mangiafuoco e transessuali campioni di boxe, ruffiani cardiopatici e traslocatori di anziani moribondi, esorcismi tribali, vite che vanno alla rovescia e un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia.
L’ambientazione dello spettacolo è una Parigi romantica, che viene restituita da una scenografia ben architettata, a cui si accompagna la colonna sonora creata da Simone Campa ricca e suggestiva che richiama perfettamente sensazioni, sentimenti e situazioni che Momò, il giovane protagonista, vive e racconta. Insieme al suo Belleville Quartet, un ensemble multietnico con musicisti da Senegal, Marocco, Francia e Italia, lo spettatore viene di volta in volta accompagnato in scene musicali di terre lontane e riti voodoo, con percussioni e voci africane; passeggiate sotto la Tour Eiffel, con valzer e chansonnes francesi; echi di medioriente con musiche e ritmi arabi. Irrefrenabili ed entusiasmanti i momenti di malinconica gioiosità della musica yiddish e klezmer, tipica degli ebrei dell’Europa orientale. Molto suggestivi inoltre i commenti sonori e le didascalie rumoristiche, tra cui musiche di circo e di carillon sospesi nel tempo, effetti sonori per la sala di doppiaggio di un vecchio cinematografo.
Il tono dello spettacolo è tragicomico e se da un lato nelle parti drammatiche Silvio Orlando appassiona e coinvolge il pubblico, al contrario quando si tratta del momento comico e della battuta l’attore sembra faticare ad inserirlo nei tempi giusti. L’ironia quindi spesso non viene colta e accolta da chi ascolta, finendo così “ soffocata”, impedisce allo spettatore di concedersi quella risata liberatoria come virgola necessaria in un testo che non vuole essere per sua natura solo tragico.
Nel complesso si tratta di un testo piacevole da ascoltare e facile da seguire. Forse un po’ meno convincente il finale, una sorta di mini concerto dai toni festosi che vede coinvolto anche lo stesso Orlando come suonatore di flauto traverso, insieme all’ensemble musicale. Sarebbe stato forse più coerente chiudere il sipario prima, lasciando un po’ di amaro nella bocca dello spettatore, più in linea con la chiusura drammatica del racconto.
Irene Merendelli
Tratto dal testo La vie devant soi di Romain Gary (Èmile Ajar) ridotto e diretto da Silvio Orlando. Lo spettacolo è interpretato dallo stesso Silvio Orlando, con i musicisti diretti da Simone Campa: Cheikh Fall (kora, djembe), Roby Avena (fisarmonica), Gianni Denitto (clarinetto, sax), Simone Campa (chitarra battente). Le scene sono di Roberto Crea, il disegno luci di Valerio Peroni, costumi Anita Medici, assistente alla regia Maria Laura Rondanini.
Lo spettacolo, prodotto da Cardellino srl, sarà replicato al Carignano, per la Stagione del Teatro Stabile di Torino, fino a domenica 13 giugno.
5 REALTÀ TORINESI IN VERSIONE ONLINE CHE VI CONSIGLIAMO
In questo periodo difficile di crisi economica e sanitaria e di distanziamento sociale, il mondo della cultura si è raccolto attorno al dibattito sul rapporto tra spettacolo dal vivo e nuovi media. Sembra evidente che il teatro possa accadere solo ed esclusivamente in presenza del pubblico. Eppure è stata proprio la cultura a tenere compagnia a tutti in questi giorni solitari. Noi universitari siamo ormai a casa da oltre due mesi e fremiamo all’idea di tornare ad inebriarci di quel meraviglioso campo magnetico che si crea nei teatri. Tuttavia abbiamo trovato conforto nel vedere che anche in questa drammatica situazione artisti e teatri, ognuno a suo modo, stanno facendo sentire il loro essere vivi e scalpitanti. Quale che sia il punto di vista riguardo allo slittamento nel mondo digitale, vi consigliamo cinque realtà torinesi che hanno pensato a modi alternativi per affrontare la chiusura, chi rendendo disponibili i propri spettacoli in streaming, chi provando a riflettere più a fondo sulle possibilità di nuovi e vecchi mezzi.
1. FACCIAMO LUCE TUTTI INSIEME
Ben sei delle principali istituzioni culturali torinesi si sono unite in questo progetto strutturato in due giornate. La Venaria Reale, il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, il Teatro Regio Torino, la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, il Teatro Concordia – Fondazione Via Maestra – Venaria Reale hanno deciso di dedicare al pubblico una serie di concerti, letture e performance teatrali registrate, proposte in diretta streaming dalla Galleria Grande della Reggia di Venaria. Il primo appuntamento è purtroppo già passato, ma siamo ancora in tempo a seguire il secondo.
QUANDO: domenica 10 maggio 2020 dalle ore 17
DOVE: sulle pagine social delle sei realtà coinvolte oppure a questo indirizzo (dove troverete anche tutte le informazioni più dettagliate e il programma)
Tutte e sei le realtà stanno inoltre costantemente aggiornando i profili social con piccole iniziative ed approfondimenti. In particolare, il Teatro Regio sta portando avanti il progetto #operaonthesofa, con il quale vengono condivisi i video delle prove generali di alcune prestigiose produzioni del teatro, disponibili nella playlist youtube qui. Per non parlare della riconversione della propria sartoria alla produzione di mascherine: circa 2000 alla settimana, in dotazione gratuita alla Protezione Civile!
Il Teatro Stabile invece porta avanti l’iniziativa #stranointerludio, per tenere vivo il rapporto con il proprio pubblico attraverso una serie di clip con protagonisti artisti amati (tra cui il direttore artistico Valerio Binasco) sul tema dell’intimità di un gesto quotidiano quale quello della cucina. Tutte le clip, in aggiornamento giornaliero, sono disponibili qui.
2. BE UNHAPPY! A CASA
Anche Fertili Terreni Teatro – che unisce A.C.T.I. Teatri Indipendenti, Cubo Teatro, Tedacà e Il Mulino di Amleto, nei tre spazi Teatro Bellarte, Cubo Teatro e San Pietro in Vincoli Zona Teatro – non si è scoraggiato e ha deciso di rendere disponibile la sua stagione Be Unhappy! in streaming, ripensandone il cartellone. Ogni titolo è disponibile per una settimana, fino al 31 maggio.
QUANDO: dal 31 marzo al 31 maggio
DOVE: sul loro sito (dove troverete anche tutte le informazioni più dettagliate e il cartellone)
3. INTERPLAY 20/20 DIGITAL
Interplay (Mosaico Danza), il festival internazionale di danza contemporanea che festeggia quest’anno il suo ventesimo anniversario, ha fatto una scelta coraggiosa: metà festival si terrà comunque, in formato digital attraverso live streaming nel periodo annunciato (dal 20 al 30 maggio) e l’altra metà è posticipata tra settembre e novembre. Il calendario del festival sarà rispettato il più possibile, tra talenti italiani e stranieri, ed arricchito da interviste, incontri con artisti, giornalisti ed esperti ed altri contenuti digitali. Gli spettacoli saranno trasmessi nella loro interezza, molti ripensati per adattarsi meglio al nuovo medium. L’idea alla base di questa scelta è sì quella di rivolgersi al pubblico affezionato che sente la mancanza dello spettacolo dal vivo, ma allo stesso tempo quella di far appassionare – tramite questa modalità di fruizione alternativa e certamente facilmente accessibile – anche coloro i quali non si sono mai avvicinati a questo mondo.
QUANDO: dal 20 al 30 maggio, a partire dalle ore 21
DOVE: sulle pagine Facebook e Instagram così come sul sito (dove troverete anche tutte le informazioni più dettagliate e il programma)
4. MICHELE DI MAURO / MARCIDO MARCIDORJS
Sia Di Mauro – che a causa dell’emergenza ha dovuto interrompere le repliche dell’Arlecchino servitore di due padroni per lo Stabile – che lo storico gruppo teatrale dei Marcido hanno deciso di non fermarsi e di sperimentare forme alternative per “condividere un po’ di bellezza” e sentirci tutti meno soli.
Michele Di Mauro ci porta nella sua Isola che c’è: “un Luogo, un appuntamento quotidiano […] dove incontrarsi senza maschere né mascherine.” Dalla sua casa a San Mauro Torinese, condivide con noi delle pillole d’attore, letture di brani teatrali e letterari.
E tali sono anche le Letture per una buona sosta di Marcido Marcidorjs, che ha scelto di non mettere in isolamento le sue “Voci” e continuare a raccontare, in un viaggio attraverso i secoli, da Esopo a Montale.
QUANDO: tutti i giorni e sempre disponibili
DOVE: sul profilo Facebook di Michele Di Mauro e sulla pagina di Marcido Marcidorjs.
5. FUORI QUADRO – AIACE E TPE
L’ultima proposta ci riguarda più da vicino, in quanto patrocinata dal DAMS di Torino. Grazie all’incontro tra l’associazione AIACE e il Teatro Piemonte Europa, il cinema e il teatro si confrontano per riflettere sugli scambi tra i due medium. Il primo di due incontri omaggerà i 100 anni dalla nascita di Federico Fellini, dialogando attorno allo spettacolo Giulietta – in cartellone TPE e rinviato a causa dell’emergenza – e il film del regista riminese Giulietta degli spiriti.
L’incontro tra le due realtà è piuttosto singolare ed interessante, se pensiamo che Valter Malosti si è dichiarato fin da subito contrario alla trasmissione in streaming degli spettacoli in cartellone. Il direttore artistico del TPE è stato invece propenso ad una riflessione più ampia sul teatro e sui mezzi, rivolgendo lo sguardo in primis ad una rivalutazione della radio: per gli abbonati ha infatti reso disponibili alcuni radiodrammi.
QUANDO: martedì 12 maggio alle ore 18
DOVE: sulla piattaforma Zoom a questo indirizzo con le seguenti credenziali:
Meeting ID: 972 0327 7931
Password: 562842
Ada Turco
Thanks for vaselina – Carrozzeria orfeo
“Un teatro semplice, ma mai banale, popolare, ma non commerciale…che ha il solo scopo di generare umanità […]”.
Così si presenta la compagnia Carrozzeria Orfeo sul suo sito internet ed è proprio ciò che ha mostrato al suo pubblico il 9 febbraio 2020 con l’ultima replica al Teatro Gobetti di “Thanks for vaselina”, dopo il successo ottenuto con “Cous Cous Klan”, in un percorso che prosegue con “Animali da bar”.
Continua la lettura di Thanks for vaselina – Carrozzeria orfeoAnimali Da BAR – Carrozzeria orfeo
C’era una volta una metropoli. Dentro la metropoli un quartiere. Dentro al quartiere, il bar.
Vincitore del Premio Hystrio Twister 2016, Animali da bar giunge in tournèe anche a Torino al Teatro Gobetti. Scritto da Gabriele Di Luca, la compagnia Carrozzeria Orfeo chiude con questo spettacolo la trilogia inaugurata con Cous Cous Klan e Thank for Vaselina.
Continua la lettura di Animali Da BAR – Carrozzeria orfeoDio ride – nish Koshe, moni ovadia
La storia del popolo ebraico è una storia in viaggio, una diaspora che dalle origini continua fino ai giorni nostri. Migrazione e dannazione, conducono il popolo ebraico in tutto il mondo; la dispersione come loro condanna, esilio trasformato in forza, che si trasforma in un agglomerato ammassato di cadaveri nei ghetti, nei treni, nei lager nazisti. Morte, e di nuovo dispersione. Cenere. Una storia intrisa di religione, l’attesa di un Salvatore, di un Messia, ma anche il dubbio dell’esistenza di Dio, durante il supplizio delle violenze ai loro danni, il dubbio dell’essere il popolo eletto.
Continua la lettura di Dio ride – nish Koshe, moni ovadiaZIO VANJA
Si apre il sipario.
La scenografia è ridotta a una grande incubatrice, molto simile a una serra ma al posto dei fiori, dentro, lotta per la sopravvivenza una famiglia.
rumori fuori scena
Apre la stagione del Teatro Stabile di Torino Rumori fuori scena, cult comico di Michael Frayn che svela i meccanismi
che si celano dietro al funzionamento della macchina teatrale: fulcro della vicenda sono le difficoltà della messa in scena del
testo e le rocambolesche dinamiche relazionali che intercorrono tra gli attori .
La prima rappresentazione avviene a Londra nel 1982, trasformandosi in un successo internazionale che
troverà spazio l’anno successivo anche in Italia (Roma). Il testo è stato soggetto anche ad un adattamento cinematografico nel 1992 dal titolo Noises off.
Con questo spettacolo torna sul palco Valerio Binasco, direttore artistico dello Stabile di Torino, dopo un periodo di assenza dedicato unicamente alla regia.
Paradossalmente, il suo ritorno come attore avviene nel ruolo di un regista che allestisce una pièce teatrale: Rumori fuori scena è infatti una commedia metateatrale , di teatro nel teatro, che mette in
scena le vicissitudini di una compagnia teatrale durante le prove e l’allestimento dello spettacolo “nothing on”- “niente addosso”.
Binasco, nei panni di attore- regista (sia nella vita che sulle scene), dirige una commedia divisa in tre atti: allestimento, debutto e tournèe. Il pubblico sbircia dietro le quinte della rappresentazione e nella vita degli attori, tra i loro desideri e le loro rivalità: un dietro le quinte che si manifesta come mondo opposto e speculare a quello in cui siamo abituati a vivere.
Il target a cui aspira è quello della commedia all’ italiana: Rumori fuori scena è il suo tentativo di ricreare la comicità delle sitcom americane, parlando però di teatro e, nello specifico, di teatro nel teatro. Il teatro come luogo di narcisismi e controversie, come luogo in cui verità e finzione si scontrano in una strana lotta
in cui il vero non esiste, e la leggerezza regna sovrana.
“Sembra che la missione poetica del teatro comico borghese sia quella di dare vita ad un mondo normale,
del tutto simile al nostro, ma dove il male e il peccato non appartengono al diavolo ma bensì agli uomini.”
Una “missione” che ha dentro di sé ben più del semplice e puro intrattenimento: una lotta contro la comune pesantezza del vivere. Rumori fuori scena incarna in questo senso le caratteristiche tipiche del genere comico borghese: la molteplicità di situazioni che si manifestano e si sviluppano durante lo spettacolo ci mostrano come il senso di colpa e di responsabilità siano del tutto assenti nella rappresentazione, nonostante i personaggi siano “ordinari” e perfettamente integrati nel mondo.
Binasco tenta così per una volta di di abbandonare i toni cupi a cui solitamente propende per dedicarsi invece ad una delle commedie più straordinariamente vitali ed esilaranti del teatro contemporaneo.
L’interesse di Binasco per il testo di Frayn nasce dalla volontà di parlare della vita degli attori, delle loro passioni: il suo è infatti un teatro d’attore, in cui si percepisce che il lavoro teatrale sia basato in gran parte sull’attore stesso. Il teatro d’attore come celebrazione dell’accadimento teatrale, dell’arte dell’attimo
presente. Sua intenzione è che lo spettatore nell’ascolto e nella visione dello spettacolo si “scomponga” e si chieda che cosa sta accadendo, senza lasciarsi trasportare dall’accadimento teatrale ma essendone fautore egli stesso.
Mentre gli spettatori entrano in sala, troviamo il sipario aperto con gli attori già in scena. Il pubblico si sistema, chiacchiera e prende posto noncurante del fatto che lo spettacolo sia in realtà già iniziato: gli attori recitano, quello che prende forma di fronte ai nostri occhi è già un accadimento teatrale. Si inserisce però un elemento tipico del teatro di regia, che si impone sull’attore: uno dei personaggi femminili ad esempio (Brooke) recita ugualmente le battute del copione nonostante la rappresentazione abbia preso una piega diversa e le parole abbiano perso di significato nel nuovo contesto in cui vengono inserite.
Il ritmo dell’azione teatrale sembrerebbe concitato, ma nell’apparente caos che il testo vuole portare tutto trova un suo posto (tutto tranne le sardine, che costituiscono l’unico inghippo che non trova incastro nella rete di meccanismi) e scorre senza problemi.
Binasco crea un congegno impeccabile di entrate ed uscite : una commedia fatta di porte, quasi musicale nel loro chiudersi e aprirsi continuamente, creando un dispositivo di ingranaggi che si muove in
maniera perfetta .
“ è una questione di ritmo, che è fondamentale in questo tipo di teatro. Produrre un effetto comico non
vuol dire per forza adattarsi ad un ritmo indiavolato.. ci sono anzi continue frenate di ritmo. Quando c’è
grande comicità il ritmo non accelera, si placa.”
Un riconoscimento va, oltre alla splendida elaborazione di Binasco, anche al lavoro sulle scene di Margherita Palli, che contribuiscono all’ eccellente riuscita dello spettacolo, e alla bravura degli attori che
riescono a destreggiarsi in un testo pieno di insidie e di complessi meccanismi.
Testo di Michael Frayn, traduzione di Filippo Ottoni
Regia di Valerio binasco
Scene: Margherita Palli
Costumi: Sandra Cardini
Luci: Pasquale Mari
Attori: Milvia Marigliano, Andrea Di Casa, Francesca Agostini, Nicola Pannelli, Elena Gigliotti, Fabrizio Contri,
Valerio Binasco, Ivan Zerbinati, Giordana Faggiano.
Teatro Stabile di Torino con il sostegno della fondazione CRT.
Ilaria Stigliano