Ordiniamo un drink al Le Roi Music Hall, come si usava fare nei Cafè Chantant e Cabaret alle origini del Varietà e ci lasciamo trascinare assieme ai ricordi di Bruno, il proprietario del locale ormai anziano che rivive le sue esperienze di vita personale e le rievocazioni degli spettacoli che ha ospitato sulla scena del suo music hall, partendo dagli anni Venti con Isa Bluette fino ad arrivare a Fred Buscaglione con gli anni Cinquanta.
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MINCHIA – SALVATORE CANNOVA
Le nostre radici sono dove germogliamo o dove facciamo germogliare?
“Stiamo scomodi” recita una delle frasi scritte a pennarello sulla parete costellata di pensieri e parole di Bellarte. Bellarte è un ex fabbrica di mutande e una ‘fabbrica’ presente d’arte, un luogo dal cuore caldo e colorato, incastonato fra alti palazzi moderni della periferia torinese. “Stiamo scomodi” salta all’occhio mentre, comodamente seduti, ci si gusta un bicchiere di dolcetto circondati da piante, libri, locandine affisse, risate, suoni di bottiglie stappate e brani jazz.
Queste parole continuano a risuonare quand’ecco che per Minchia prima ancora del suo protagonista sono i suoi oggetti che lo presentano; quei particolari oggetti, e non altri, che delineano il mondo dentro cui si muove Antonio Cristal Morte Espresso Tonì, un nome emblematico delle infinite peripezie che attraverserà fin dalla più tenera età.
URLA SILENZIOSE – VALENTINA AICARDI
Con la regia di Valentina Aicardi, le attrici Diana Anselmo e Diana Bejan, Urla Silenziose mette in luce tutto ciò che ha vissuto e vive tutt’ora la comunità dei sordi.
FINE PENA ORA – TEDACA’
L’uomo per natura non compie mai azioni giuste o azioni sbagliate quindi ciò che spiega le sue azioni è il contesto in cui è inserito. Questa è la storia di Salvatore ed Elvio. La storia di un uomo, il primo, nato in un contesto sociale degradato, privo di una cultura inclusiva per i giovani dove la criminalità organizzata crea un secondo Stato, nascosto, tra la gente. Salvatore è un criminale, un ergastolano, condannato nel maxiprocesso al Clan dei Catanesi dell’85 dal magistrato Elvio Fassone. Quello che vediamo in scena è la rappresentazione di uno scambio epistolare, durato più di 30 anni, tra Salvatore e Elvio, recitati magistralmente da Salvatore D’Onofrio e Giuseppe Nitti. Notevole il lavoro di adattamento attuato da Simone Schinocca, regista dello spettacolo, che pone al centro dello spettacolo il rapporto umano tra Salvatore ed Elvio.
Continua la lettura di FINE PENA ORA – TEDACA’“CHARLIE SONATA” di Douglas Maxwell
Con il festival di nuova drammaturgia IL MONDO E’ BEN FATTO, dal 17 al 21 ottobre, un progetto di Fertili Terreni (Tedacà, il Mulino di Amleto, Acti-Teatri Indipendenti e Cubo Teatro), abbiamo avuto per la prima volta in Italia la lettura scenica di Charlie Sonata di Douglas Maxwell, giovedì 18 ottobre e domenica 21 ottobre, da parte dalla compagnia dei Demoni. La Compagnia nasce nel 2006 dall’unione di attori diplomati alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dalla sua fondazione, in dieci anni la compagnia ha prodotto 11 spettacoli e toccato più di 60 città. La compagnia ha sede a Genova, dove è nata ma ha iniziato una stretta collaborazione con Tedacà di Torino.
Domenica c’era Douglas Maxwell stesso a presentare il suo scritto, una presenza preziosa che ha permesso di vedere l’intreccio tra la vita dell’autore e la sua creazione. “Bere vino e scrivere è ciò che mi rende umano” dice il drammaturgo scozzese, raccontando quanto abbia fatto fatica ad emergere e come abbia dovuto fare tanti lavori diversi per sopravvivere non riuscendo mai a smettere di scrivere. Scrivere definisce ciò che l’autore stesso è e, trasformare le persone in eroi è ciò che lui sa fare.
Charlie Sonata, andato in scena per la prima volta dal 29 aprile al 13 maggio al Royal Lyceum di Edimburgo, è dedicato dallo scrittore al suo amico Bob, alcolista e drogato, con l’intento di fare di lui l’eroe del suo testo, di dare a Bob la rivalsa che in vita non è riuscito ad avere. Chip o Charlie Sonata incarna Bob, una persona di straordinaria bellezza interiore, forse troppo sensibile per un mondo spietato che spinge a muoversi eccessivamente in fretta, senza lasciare il tempo di trovare il proprio ritmo; Chip il suo ritmo non lo ha trovato ed è rimasto intrappolato nel passato rifugiandosi nell’alcol. ”Il viaggio nel tempo non accetta compromessi” questa frase ricorrente nel testo mette bene in luce il tema della difficoltà ad adattarsi. Il tempo è come un mazzo di carte con più regine di cuori in cui la stessa epoca si ripropone più e più volte e così gli eventi più bizzarri della vita continuano a ritornare con impercettibili variazioni. Il passato ti segna e sembra non esserci possibilità di riscatto: Chip è perseguitato da un passato ce ha il volto di un padre che lo ha sempre rifiutato, della donna amata che lo ha derubato e ferito, dell’amico Greg che non lo ha invitato al suo matrimonio. L’alcol è l’unico rimedio a questa sofferenza, un veleno che brucia, fa male ma anestetizza.
Chip diventa eroe nella misura in cui vuole salvare Drew, la figlia di Greg e Kate, in coma per un incidente; è disposto a fare qualunque cosa per salvare la sua vita. Lui non ha paura di morire, non ha niente da perdere. Chip in ospedale è avvicinato da Meredith, sorella del medico che oscilla tra maniacalità e depressione, una donna sulla cinquantina con il trucco sbavato sugli occhi e un tutù da ballerina rosa, due ali nere, elementi che la rendono quasi surreale, un che di fantastico e grottesco allo stesso tempo. Drew è la bella addormentata che va risvegliata, vanno eliminati i rovi: questa è la missione che renderà eroe lui e farà raggiungere “l’apoteosi dai rottami” a lei.
La vicenda si svolge a Glasgow ma l’ambientazione vera è la testa di Chip, in cui presente e passato si mischiano; l’abilità della drammaturgia di D. Maxwell è proprio quello di coinvolgere lo spettatore a fondo nella testa del protagonista facendo vedere allo spettatore quello che Chip vede e vivere la sua stessa confusione. Tutti i personaggi sono incredibilmente umani seppure nello scenario di una fiaba. Realtà e fantasia si mischiano in un testo brillante che fa ridere e piangere, sognare e riflettere. La compagnia dei Demoni è riuscita a rendere autenticamente questo effetto con una lettura scenica molto ben fatta che passa con il giusto coinvolgimento emotivo il messaggio dell’autore.
CONFERENZA STAMPA FERTILI TERRENI TEATRO: TRE REALTA’ UNITE PER IL TEATRO CONTEMPORANEO
Il 24 Ottobre 2017 si è svolta, presso il Centro Culturale Polo del ‘900, la conferenza stampa di tre teatri che ormai fanno parte da tempo dell’orizzonte teatrale torinese. La novità di queste stagioni teatrali non sta nel fatto che vogliano parlare di alleanza e integrazione attraverso lo spettacolo, ma che in prima persona ci mostrino cosa vuol dire la parola “unione”: tre spazi, tre realtà e tre storie diverse che per la stagione 2017/2018 hanno deciso di creare una collaborazione per portare nella città di Torino il teatro contemporaneo, per far conoscere la nuova drammaturgia e per offrire al pubblico nuovi stimoli.
Tre stagioni teatrali che si incontrano: La Dolce Rivoluzione, Schegge INforOUT e Santa Cultura in Vincoli, organizzate rispettivamente da Tedacà e Il Mulino di Amleto, Il Cerchio di Gesso e Acti-Teatri Indipendenti, che trovano la propria dimora in tre teatri della periferia di Torino che vogliono così porsi all’attenzione dei cittadini: BellArte nel quartiere Parella, Cubo Teatro nella zona di Vanchiglietta e San Pietro in Vincoli vicino Porta Palazzo. Durante gli anni questi tre teatri hanno cercato di formare il pubblico, di porre l’attenzione sul teatro d’innovazione contemporaneo e proprio per questo sono diventati un punto di riferimento per giovani compagnie che hanno trovato uno spazio di prova e rappresentazione, e per artisti di livello nazionale che hanno individuato una dimensione ideale per esprimersi. Vista quindi la comunanza di intenti, è stato quasi automatico per le tre realtà incontrarsi e generare una stagione teatrale innovativa e comune, in collaborazione anche con Concentrica 2017, organizzata dal Teatro della Caduta.
Il primo intervento della presentazione di queste “tre stagioni in una”, coordinata dal direttore artistico di BellArte Simone Schinocca, è stato dell’Assessora della Città di Torino – Attività e Manifestazioni Culturali Francesca Paola Leon che vede in questa proposta la giusta strada da percorrere, quella di collaborazione e scambio tra giovani artisti. Lo scambio infatti è sempre una vittoria, e grazie ad esso quest’anno il pubblico dei tre teatri potrà ampliarsi e i cittadini potranno conoscere nuove stagioni e nuove modalità di fare teatro rispetto a quelle a cui erano abituati.
In seguito il Presidente della circoscrizione 4 Claudio Cerrato, che si presenta come affezionato già da anni alle iniziative del teatro BellArte, sottolinea la grande capacità e l’impegno di questi giovani che, partiti da realtà periferiche, sono riusciti ad ampliare la proposta a tutta la città, con un cartellone ricco e interessante, di spettacoli autoprodotti in grado di far pensare e sensibilizzare il pubblico.
Questa avventura ha due partner: la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Piemonte dal Vivo, che si mostrano entrambi entusiasti di come questo progetto abbia le potenzialità per dare visibilità ad un tipo di arte che mai come oggi può servire a capire il nostro tempo e che può favorire la comprensione dei linguaggi contemporanei.
La parola passa quindi ai direttori artistici delle compagnie: Beppe Rosso (San Pietro in Vincoli) ribadisce come la nuova drammaturgia e i nuovi linguaggi siano la vocazione di queste tre realtà ormai unite e che uno spazio piccolo come quello che loro possono offrire (i tre teatri infatti hanno pochi posti) sia in realtà una ricchezza perché può permettere uno scambio tra attore e spettatore e un dialogo impossibili in teatri più grandi e strutturati diversamente. Ammette che questo non è un momento storico che stimola il teatro, ma proprio per questo chi lo ama deve lottare e con la loro stagione teatrale vogliono proprio essere incubatori di idee, proporre riflessioni a tutta la città, non solo nel “sottobosco” della periferia nella quale hanno fino ad adesso lavorato: Torino era la città – laboratorio d’Italia e deve tornare ad esserlo.
Marco Lorenzi (Il Mulino di Amleto) ci racconta la nascita di questo progetto, che non è solo di programmazione, perché nasce da una domanda che si è visto porre da molti durante la visita per lavoro a varie città italiane: cosa sta accadendo in Piemonte dal punto di vista dell’innovazione teatrale? Forse manca un sistema che permetta alla creatività dei giovani di venire fuori, e con il loro progetto vogliono proprio sopperire a questo problema, dato che in realtà ci sono tantissimi giovani e non solo che difendono l’unicità del teatro e non vogliono vederlo scomparire.
Girolamo Lucania (Il Cerchio di Gesso) parla invece di quanto sia per loro fondamentale il lavoro con il pubblico e in particolare il coinvolgimento degli studenti universitari e delle scuole secondarie, che vogliono stimolare a scrivere di teatro, a fare scrittura critica. Inoltre spiega che una delle cose più importanti per loro è far sapere alle compagnie di giovani che le nuove proposte saranno ascoltate e che da loro potranno trovare uno spazio sicuro per esprimersi: Il Paese e la sua comunità devono essere raccontati per lasciare traccia di noi nella storia, e niente meglio del potere delle parole e del segno teatrale può farlo.
L’ultimo intervento è quello dell’Assessora Regionale alla Cultura e Turismo Antonella Parigi, che offre a tutti i presenti diversi spunti di riflessione: premettendo che nelle leggi italiane ci sono dei grossi limiti a causa dei quali gli artisti non sono riconosciuti e che il Paese non sembra creare un sistema che stimoli la nascita di una nuova drammaturgia italiana, la riflessione forse non va fatta sulla singola forma d’arte, ma sul perché la cultura non è più in grado di produrre trasformazioni sociali, creare consapevolezze, comunicare con un pubblico che non investe più nell’arte. Inoltre è forse necessario chiedersi, per chi lavora in teatro, perché il linguaggio teatrale ha subito un arresto nella ricerca e nell’innovazione ormai da anni e per quale motivo l’attenzione si è spostata verso altri linguaggi artistici come la danza e il circo.
Tutti noi abbiamo sicuramente cercato di rispondere interiormente a queste domande e la Conferenza in sé è stata un chiaro spunto di riflessione. Per iniziare non resta dunque che partecipare ad alcune delle iniziative proposte da queste tre rassegne teatrali.
Alice Del Mutolo
“STRANI OGGI” COME IERI
“La ricerca della felicità è un diritto. E non ci sono gabbie, confini, o oceani che possano fermare il desiderio di vivere la propria vita.”
Dopo il debutto un anno fa al Teatro Gobetti e una tournée di successo, Strani Oggi torna a casa, al Teatro BellARTE di Torino.
Partendo da cinquanta interviste a italiani che vivono all’estero e a stranieri che cercano di costruirsi un futuro in Italia, la compagnia Tedacà porta in scena le storie di Miriam, Joseph, Nicola, Sofia e Giacomo, cinque giovani che si sono dovuti scontrare con la parola “crisi”. Tutto ruota intorno alle loro aspettative e ai loro sogni, ma anche ai loro timori. Quanto è difficile abbandonare le certezze, le abitudini, la famiglia, per inseguire qualcosa che non sai nemmeno dove cercare? Lasciare il tuo paese per fare fortuna, senza la certezza di trovarla. Ma ormai sei arrivato a pensare che dovunque è meglio di qui.
Gli attori sono già in scena mentre il pubblico prende posto. Di spalle, seduti su delle sedie colorate, che fanno parte dei pochi oggetti di scena. Poi le luci si spengono, il silenzio scende, e le storie accadono.
Lo spettacolo si apre col monologo conclusivo di Strani Ieri, portato in scena dalla compagnia nel 2011. Si comincia quindi con le storie dei padri, spesso emigrati dal Sud Italia, che hanno investito sui loro figli forze e speranze di possibilità migliori delle loro. E questo non può che rendere ancora più difficile per i protagonisti la scelta di partire, consapevoli di voler andare altrove per non fare il lavoro dei loro genitori.
Ma più si avanza, più le storie personali diventano fonti per riflessioni universali. Perché qualcuno può viaggiare in cerca di opportunità e qualcun altro no? E così lo sguardo si allarga e noi possiamo vedere la figura del migrante in tutte le sue sfumature.
Ciò che più rapisce però è il contesto in cui queste storie si svolgono. Pochissima scenografia, ben studiata e utile allo scopo. Una miriade di colori. E tanta, tanta musica, dalla classica alla dance. Una musica che porta con sé movimento, a volte molto dinamico ma sempre magistralmente controllato. La quarta parete viene quasi del tutto abbattuta; perché i personaggi parlano a noi per parlare di noi.
La dimensione reale e quella immaginaria si mescolano; passato e presente, ricordi e speranze si uniscono nel qui e ora.
Un torrente inarrestabile di parole e di voci interrotte solo per dare spazio alle note musicali, o a silenzi che parlano ancora più forte. La struttura delle battute in alcuni momenti lascia ampi margini di improvvisazione, che rendono lo spettacolo sempre diverso, ma che sono sempre riportati negli argini di quel torrente impetuoso. I cinque attori si muovono e si incastrano in questo caos perfettamente organizzato.
Una parola per descriverlo: sorprendente. Ogni momento ha qualcosa di nuovo e di assolutamente inaspettato. La componente ironica è molto forte, ma quando necessario è capace di lasciare spazio a momenti di riflessione profondi e forti che inchiodano lo spettatore alla sedia. Un po’ come si sentono i protagonisti. Inchiodati. Perché ormai nel loro paese hanno messo radici, e le radici sono importanti. Ma come dice Giacomo: “Noi non abbiamo le radici. Abbiamo le gambe”.
Ideazione e drammaturgia: Simone Schinocca, Livio Taddeo
Con: Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Andrea Fazzari, Federico Giani, Mauro Parrinello
Assistente alla regia: Claudia Cotza
Costumi: Agostino Porchietto
Produzione Tedacà