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Carcaça- Torinodanza Festival 2024

Il 20 ed il 21 settembre, alle Fonderie Limone per il Torinodanza Festival 2024, è andato in scena lo spettacolo di Marco da Silva Ferreira, Carcaça, una prima nazionale che si impone nel panorama teatro danza come rivelazione della stagione internazionale. Una vera e propria performance nata dalla commistione di diverse arti tra cui: l’arte visiva, la coreografia luci, l’utilizzo della voce e l’uso del corpo, esso stesso veicolo del cambiamento. 

Settantacinque minuti di incessante energia: la musica tribale ha il sapore dei legami delle origini, quei legami profondamente instaurati con la propria terra, con la propria carne e con piccoli o grandi atti di sopravvivenza. Un ballerino, mutilato da un braccio, danza, con una protesi, in assoli che restituiscono all’immaginario dello spettatore sentimenti di forza, di volontà, di ribellione, di libertà e di sacrificio. Le coreografie di gruppo appaiono talvolta armonicamente dissonanti restituendo il significato stesso della rivolta: rumore, sovversione e unione. I costumi, ricchi di colori e sfumature, accentuano la bellezza della diversità, toni freddi e caldi, cromature e neri scurissimi, una varietà che sposa perfettamente l’anima eversiva dello show. 

Cantiga sem maneras

“Unirci per fare un altro passo

De nos unirmos p’ra dar mais um passo

Combattiamo e ripuliamo

Vamos lutar e sanear

Saremo responsabili

Vamos ser nós a comandar

Con questa lotta per un nuovo mondo

Com esta luta por um mundo novo

E gli operai davanti a guidare

E os operários à frente a guiar

E ci sono così tante persone da combattere

E há tanta gente p’ra lutar

Per la democrazia popolare

P’la democracia popular…”

Due voci maschili, possenti ed intense cantano con sorpresa del pubblico: “Cantiga sem maneras”, un canto politico, del gruppo portoghese Vozes na Luta (GAC), per scelta non tradotto in lingua italiana dal coreografo. Il fervore latino originario e le vigorose vibrazioni di questo spettacolo traspaiono in ogni sua parte, dando al pubblico la possibilità di cogliere, facilmente, ogni sua tonalità. Gli spettatori accolgono infatti il ribollente sangue di Carcaça con fermento ed emozione. La narrazione della visione collettiva che Marco da Silva Ferreira possiede, raggiunge lo spettatore forte e chiaro: “l’unione fa la forza”. Il dolore in questo show resta presente ma flebile, prende la forma di un tappeto bianco steso sul palcoscenico, un tappeto impressionato dal calore del corpo dei ballerini che una volta alzatisi, lasciano un’orma indelebile, quella del loro corpo, un’ombra come in un negativo, come un attimo bloccato per sempre in una fotografia. I corpi dei performers sono ormai immobili, come cadaveri, la cui anima continua a danzare sulle note del dolore, un’intensa emozione che fa da sfondo al sentimento di giustizia. Il tappeto bianco diviene un telo che improvvisamente si innalza sul palcoscenico, la coreografia di luci di ogni tono lascia spazio al buio, poi, i ballerini, uno dopo l’altro, impressionano il telo nuovamente, questa volta con una luce, una piccola torcia. Compare piano piano, con la palpabile fatica dei performer un messaggio: “Tutti i muri cadono”. Quel tessuto dal colore puro diventa un muro, quello di Berlino chissà o forse un muro etico e morale o addirittura una barriera che impedisce alle persone di fuggire in cerca di una vita migliore. Il telo cade, una commemorazione forse, per tutti i muri già caduti ed un augurio, per tutti i muri che ci sono e che, prima o poi, cadranno. 

“Ballate, voi esseri umani pieni di energia, prendete la vostra forza dalla terra stessa, che dai vostri piedi, come radici, possa raggiungere la mente e portarvi finalmente ad abbattere ogni muro. Noi esseri umani, tutti diversi per ricchezza e non per condanna, dovremmo imparare ad amarci, ad essere un’unica squadra, tanto grande da coprire un intero pianeta. Che il sangue che ribolle in ognuno di noi, possa essere lo stesso di chi l’ha perso lottando per la nostra libertà, noi che nel progresso vediamo l’amore prima dell’odio”. Queste parole, mie e mie soltanto, sono frutto della mia coscienza, scossa ancora dalla potente arte dell’accadere che questa volta, agisce sotto il nome di: Carcaça.

Rossella Cutaia

coreografia e direzione artistica Marco da Silva Ferreira
assistenza artistica Catarina Miranda
interpreti André Speedy, Fábio Krayze, Leo Ramos, Marc Oliveras Casas, Marco Da Silva Ferreira, Maria Antunes, Max Makowski, Mélanie Ferreira, Nelson Teunis, Nala Revlon
tecnico del suono João Monteiro
design delle luci Cárin Geada
direzione tecnica Luísa Osório
musica João Pais Filipe (percussionista) e Luís Pestana (musica elettronica)
costumi Aleksandar Protic
scenografia Emanuel Santos
p.ulso | Big Pulse Dance Alliance
con Il sostegno del Programma Creative Europe dell’Unione Europea

Il combattimento di Tancredi e Clorinda- Torinodanza Festival 2024

Nella Sala Piccola delle Fonderie Limone è andato in scena il 20 ed il 21 settembre lo spettacolo Il combattimento di Tancredi e Clorinda, una co-produzione del Torinodanza Festival. Un piccolo gioiellino la cui narrazione si concentra sul contrasto tra amore ed odio e le emozioni che li accompagnano. Struggimento, paura, rancore e risentimento, vengono elegantemente rappresentati dai ballerini Gador Lago Benito e Alberto Terribile, accompagnati dall’intensa performance canora del tenore Matteo Straffi e del clavicembalista Deniel Perer. Quattro interpreti per 25 minuti di spettacolo, commovente, profondamente sentito. Uno spettacolo dalle vibrazioni antiche. La dolcezza e la naturalezza dei movimenti regalano autenticità ad una vera storia d’amore, finita nel peggiore dei modi. L’affetto profondo talvolta ci svela la profondità di chi ci si pone d’innanzi, rendendoci però ciechi, nel vederne le oscurità. Una storia d’amore destinata alla tragedia, un raggio di realtà indiscussa, una rappresentazione della guerra più antica del nostro mondo, quella contro noi stessi e la persona che amiamo, l’unica, talvolta, ad avere il potere, di renderci completamente vulnerabili. Tancredi e Clorinda, ci confermano nuovamente quale sia l’esito di un buio che incombe inaspettato, quando le certezze su cui abbiamo umanamente costruito ogni nostra aspettativa, decadono.

Poco quindi lontan nel sen d’un monte

scaturia mormorando un picciol rio.

Egli v’accorse e l’elmo empiè nel fonte,

e tornò mesto al grande ufficio e pio.

Tremar sentì la man, mentre la fronte

non conosciuta ancor sciolse e scoprio.

La vide e la conobbe: e restò senza

e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Non morì già, che sue virtuti accolse

tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,

e premendo il suo affanno a dar si volse

vita con l’acqua a chi col ferro uccise.

Mentre egli il suon de’sacri detti sciolse,

colei di gioia trasmutossi, e rise:

e in atto di morir lieta e vivace

dir parea: “S’apre il ciel: io vado in pace.”

Una pedana è protagonista del palcoscenico, dalla forma circolare, bianca, rappresenta un mondo, forse il loro. Col volto coperto, i due amanti- combattenti, lottano, corrono e si rincorrono, fuggono e si cercano. Il suono di ogni passo sulla pedana ricorda un battito del cuore, mi sovviene alla mente il suono onomatopeico del ritmo cardiaco, un’eco dall’inesauribile forza e costanza. Ad un tratto il  suono si ferma, il cuore non batte più, la battaglia è terminata e l’amore con esso. Una corda unisce indissolubilmente i due amanti, che cinti in vita da essa, si incastrano e si intrecciano, si scontrano e si liberano ma senza mai allontanarsi davvero. L’anatomia dei corpi dei ballerini, restituisce il più alto ideale della carne: attrazione e rifiuto, bellezza, possenza e virtù ed  allo stesso tempo, come nell’opera: L’anatomia di un abbraccio di Luna Lu, lo spettacolo, ci regala la possibilità di indagare le anime di Tancredi e Clorinda e vedere due cuori legati ma fragili. Il coinvolgimento che ho provato è stato per me un coinvolgimento totale, ogni nota del canto, scritto da Torquato Tasso, era intrisa di suspense e attesa, la danza, dai movimenti puliti e precisi, ha reso la narrazione chiara e limpida. Una storia quindi che tocca l’anima di ognuno di noi che abbia conosciuto nel suo viaggio di vita l’amore e l’innamoramento e che abbia fatto anche i conti con la perdita, il dolore di un errore e la delusione.

Tancredi e Clorinda sono un paradosso che abita ancora i giorni nostri e che credo fermamente non morirà mai, uno spettacolo quest’ultimo che celebra la sconfitta come libertà e la vittoria come condanna. Le sconfitte  ci liberano e aprono davanti a noi le strade più luminose, come Clorinda che ora, troverà la sua pace. La vittoria invece, accecante, ci richiede un prezzo da pagare, talvolta la nostra stessa esistenza.

Rossella Cutaia

regia e visual Fabio Cherstich
coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz
musica Claudio Monteverdi
danzatori Gador Lago Benito, Alberto Terribile
tenore Matteo Straffi
clavicembalo Deniel  Perer

Freedom Sonata by Emanuel Gat-Torinodanza Festival 2024

<<Il fatto che qualsiasi insieme di condizioni (HOW) si traduca sempre in incentivi specifici (WHY) per gli individui coinvolti, è ciò che definisce il ruolo del coreografo. Poiché c’è sempre il problema di dover predefinire queste condizioni//incentivi, in base alla propria visione del mondo. Domande primordiali come autorità, sovranità, libertà, verità, entrano in gioco nel processo di definizione delle condizioni coreografiche.>> Emanuel Gat

Con Freedom Sonata Emanuel Gat inaugura il Torinodanza Festival 2024. Il pubblico è scalpitante nell’attesa di vedere in prima assoluta il nuovo spettacolo del pluripremiato coreografo. Quattordici ballerini danzano sulle note di Kanye West per la Sonata della libertà. L’esibizione è dinamica, fluida, armonica, i movimenti dei ballerini sono un tutt’uno con la musica, non sono ammesse dissonanze, la coordinazione sembra essere la chiave di questa danza polifonica.

La coreografia di Emanuel Gat sembra raccontare della quotidianità, del tempo che passa, della fragilità dell’essere umano e della sua forza. Questo spettacolo parla della vita umana, un pendolo che oscilla tra dolore e gioia passando attraverso un fugace attimo di pura danza. La vita non è solo in bianco e nero, è anzi colma di sfumature, ombre e luci che la Emanuel Gat company ci racconta attraverso il movimento e la scenografia. Il tappeto danza da nero, diventa bianco, anche i colori dei costumi dei performer si invertono, da un puro e fanciullesco bianco ad un più maturo e profondo nero. Il coreografo sembra quindi porci dinanzi ad un’etica del contrasto; la totale assenza di colore e  la luce sfavillante, il palco con i suoi danzatori sembra ormai essere un negativo della realtà. I ballerini, un rotolo alla volta, distendono il nuovo tappeto collaborando fra di loro, per un momento la magia della danza si ferma e lascia spazio alla magia dell’umanità, l’uomo, animale sociale, il quale coopera con altri suoi simili nell’inconscia speranza di imparare il valore dell’amicizia, dell’amore e della solitudine. Il tappeto diventa il simbolo della trasformazione, su di esso rimbalzano le luci ed i ballerini alternano momenti di gruppo a momenti dedicati a performance da solista, una ballerina cerca il suo equilibrio su una sottile linea d’ombra. La spensieratezza nei movimenti dei performer presto si trasforma in tormento e poi ancora in leggerezza, i ballerini sembrano incarnare l’esatto momento nel quale ognuno di noi da fanciullo diventa adulto, un momento dove il passare del tempo diventa concreto e inesorabile e la cui unica modalità di affrontarlo sembra essere quella di lasciarsi andare, liberi di esprimere il proprio rapporto con gli altri e con sé stessi, liberi di farsi trasportare dai ricordi e dai sentimenti, liberi di condividere carezze affettuose o lotte impetuose. Il corpo parla dell’anima che lo abita, la carne ne racconta il passato, morbida è la musica che guida il nostro sguardo nell’interpretazione di ogni movimento e così ci lega, indissolubilmente, a quella coreografia che ora, è anche un po’ nostra. La vita è essa stessa una coreografia, ossia “un sistema operativo che consente ad individui e gruppi, di creare e condividere contenuti e significati attraverso l’azione” (Emanuel Gat).

Il diaframma dei ballerini si contrae sempre più, la fatica è visibile anche dalla platea, il respiro si affanna ed i passi sono sempre più pesanti. La sensazione di leggerezza e spensieratezza però non mi lascia, vorrei anche io ballare con loro, su quel tappeto. Vorrei imparare a lasciarmi trasportare, da ciò che accade, talvolta dagli altri o dai suoni della città, da una Sonata magari, da una Freedom Sonata.

L’eco degli applausi sovrasta le grida di approvazione, la disciplina è finita e quel silenzio che aveva governato la platea, curiosa e attenta, ora si rompe in un grido di libertà.

Rossella Cutaia