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ACCANTO – BARBARA ALTISSIMO

Qual è il tuo fantasma? Chi, che cosa ti cammina accanto?

Si può vivere accanto ai propri fantasmi? I cittadini di varie età coinvolti nel progetto di Barbara Altissimo rispondono a questa domanda con la propria vita, offrendo in scena, con delicatezza, cura, danza e sospensioni, e con infinite fragilità vissute, ricordi, memorie che affiorano. Il coro è mosso da un desiderio di grande umanità ed è forse questa la strada che lo spettacolo ci invita a prendere in considerazione.

Il pubblico viene invitato ,prima di entrare in sala ,a rispondere alla domanda “qual è il tuo fantasma? Chi, che cosa ti cammina accanto? “Ed è così che ci accoglie lo spettacolo ospite della stagione 24/ 25 Fantasmi, a cura della fondazione TPE. 

“Lo spettacolo è il frutto di una lunga attività di formazione in diversi presidi civici territoriali, per il progetto la cultura dietro l’angolo, promosso dalla fondazione compagnia di San Paolo e dalla città di Torino in collaborazione con la fondazione per la cultura di Torino,per più di un anno centinaia di persone hanno lavorato intorno ad una riflessione collettiva per arrivare ad incontrare, riconoscere i propri fantasmi, regalando frammenti di vita, condividendo gioie e dolori e tessendo insieme una trama.Iprotagonisti sono donne, uomini comuni, persone che abitualmente non vivono il palcoscenico e che hanno camminato accanto i loro fantasmi.Un gioco di specchi in cui tutti possiamo trovare un riflesso che ci appartiene, che riconosciamo e che possiamo condividere”(Liberamente Unico)

 Lo spettacolo si presenta ottimamente orchestrato, gli ingredienti del teatrodanza ci sono tutti e si annusa nell’aria l’atmosfera e le memorie della Bausch; una rassegna di micro narrazioni offre al pubblico una possibilità di maggiore attenzione per la vita stessa e nel contempo l’occasione di mettersi a nudo per i performers che si appropriano di un tempo e di uno spazio per dichiararsi (unico rammarico, a mio parere, è per il pubblico che confonde il mettersi a nudo con discrezione degli attori e trasforma in spettacolarizzazione il loro dramma applaudendo ad ogni assolo)

La coreografa si districa abilmente nel territorio del teatro collettivo e offre con eleganza il suo gusto per l’estetica, la scelta delle musiche e il disegno luci ineccepibile di Massimo Vesco, a volte affiora un’immagine fotografica, a volte filmica e resta nel ricordo catturato. Tutto perfetto, forse troppo perfetto e forse qualche “sporcatura”ogni tanto la bravissima Barbara Altissimo poteva concedersela. La coreografa, ad ogni modo, ha saputo confermarsi una brava regista con il suo buon gusto e la sua sensibilità. La creazione si completa con la drammaturgia di Emanuela Currao ,gli oggetti scenici di Jasmine Pochat,i costumi di Gualtiero Scola e l’assistenza alla regia di Fabio Castello.

Alessandra Lai

creazione e regia Barbara Altissimo

drammaturgiaEmanuela Currao

in scenaFranco Albanese, Laura Brunetta, Martina Caruso, Loredana Casorio, Francesca Catania, Tommy Crosara, Emanuela Currao, Alessandro Dichirico, Allegra Florioli, Alessia Garombo, Rosaria Giangreco, Salvatore Loiodice, Francesco Piarulli, Raffaella Pitrolo, Amalia Piumatti, Stefania Savelli, Renato Scarpato, Amalia Scotti, Stefano Tubia

disegno luci e spazio scenicoMassimo Vesco

elementi sceniciYasmin Pochat

costumi di scenaGualtiero Scola

assistente alla regiaFabio Castello

organizzazioneNadia Frola

amministrazioneIsabella Saliceti

comunicazione e ufficio stampaRoberta Cipriani

produzioneLiberamenteUnico

LA PULCE NELL’ ORECCHIO – CARMELO RIFICI

Bretelle, mutande e palati all’Hotel Feydeau

Maxime:”Che Hotel! Ci tornerò di sicuro!”

Pinglet:”Che razza di Hotel! Non ci mettertò più piede!”

Feydeau è il re del vaudeville e imperatore della follia, ha un diavolo in corpo. Con lui bisogna ridere, ridere e ancora ridere. Il suo universo sono i personaggi presi dalla realtà, in carne ed ossa, osservandone il loro carattere, gettandoli poi in situazioni grottesche con una tragedia di segno opposto, ovvero rappresentarli in commedia. Anche F. diventa folle a tal punto che viene poi ricoverato in manicomio.

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Al centro dell’esilarante vaudeville c’è una moglie che sospetta che il marito abbia un’amante. Il dubbio nasce dopo il ritrovamento di un paio di bretelle presso l’Hotel Feydeau. Per mettere alla prova la presunta infedeltà del marito, gli spedisce un’appassionata e anonima lettera d’amore, in cui dà appuntamento all’uomo in quell’albergo, dove la moglie si recherà per vedere se il coniuge cadrà nella trappola. Da qui si creano una serie di fraintendimenti che portano tutti i personaggi ad incontrarsi all’Hotel dove, tra situazioni bizzarre, inaspettati sosia e travestimenti vari, cercano di salvare le apparenze e di uscirne indenni.

La commedia è stata ripresa da Carmelo Rifici data nel novembre 2023 al Piccolo Teatro di Milano per poi proseguire in tour per tutta Italia. Il cast è notevole, composto quasi in toto da diplomati alla Scuola di Teatro del Piccolo di cui Rifici è anche il direttore. Le coppie già scoppiate, fin dalla carta scritta, sono un via vai di esilaranti caricature alla Shakespeare, Goldoni, Molière, aggiungendo un’arguta satira contemporaneità alla Achille Campanile.

Un viavai continuo di battute, controsensi e doppi sensi, scambi smisurati, sguardi ammalianti, baci passionali, bastonate e revolverate, intrighi amorosi, perdita nel lume della ragione e mai trovata, travestimenti e camuffamenti, inseguimenti, corse e rincorse alla Larry Semon (alias Ridolini) ecc… il tutto condito da una scenografia semplice formata da grossi mattoncini gommapiuma stile quelli della Lego e una colonna sonora italians-yankee. Non assistiamo soltanto alle semplici messe in scene tratte dalla Belle époque parigina ma veniamo catapultati ai giorni nostri, dove tutti i protagonisti della commedia si intrecciano cantando, suonando, recitando e trasformandosi da clown a esseri umani e viceversa. I nomi non sono scelti a caso, hanno una loro logica e soprattutto hanno un loro punto di riferimento che è il cinema. Difatti il regista Rifici con l’aiuto del drammaturgo Tindaro Granata, ha preso in prestito da alcune delle più famose attrici della commedia italiana anni ‘60 e ‘70. Esatto; sono tanti e ricordarli un po’ rende difficile talvolta seguirli, ma quello di Vittorio Emanuele non lo si può scordare. I rimandi cinematografici ci sono eccome, dagli sketch nei film muti comici americani a quelli scenici stile Monicelli. 

Assistiamo a dinamiche familiari dei nostri giorni, non ci sono stereotipi, ma solo desideri e malumori che vengono amplificati dal grottesco odierno stile di vita contemporaneo, qui mancano i social network e…pensate se gli autori l’avessero aggiunto alla drammaturgia. Siamo certi che questa compagnia, con la macchina del tempo, è arrivata a noi dalla scuola di Jacques Copeau, proseguendo poi le stagioni dei Copiaus portando la cultura generale, la musica, il canto, la ginnastica, l’improvvisazione, il mimo e l’uso delle maschere.

Oltre ai rimandi e citazioni che arrivano dal cinema americano d’autore, con personaggi surreali del testo che toccano i due continenti, Europa e America; gli autori ci fanno divertire ed immaginare facendoci ridere e correre ad occhi aperti per due ore di trovate comiche e surreali. Un perfetto meccanismo scenico che viene mischiato usando la parola in un mare aperto, avendo come compito quello di trattenere il pubblico col tema del sospetto. Quello che c’è di erotico è il linguaggio che nasconde i desideri erotici inesplorati dell’essere umano che vorrebbero farlo nelle stanze dell’Hotel. Tutti sono innamorati del proprio vicino/a ma pensano solo ad una cosa in testa, il chiodo fisso di fare sesso.

Ecco forse una piccola pulce che potremmo mettere al regista è aggiungere per esempio un personaggio cinese, così per completare il quadro globale che dentro l’hotel Feydeau ci sta tutto il mondo farcito di pura e sana follia pacificatrice.

Il regista Carmelo Rifici ci spiega come mai è stato scelto nella programmazione del TPE-Fantasmi…“Il fantasma che si aggira tra le labirintiche stanze che animano l’Hotel Feydeau ha nome Follia. Lei è la vera protagonista dello spettacolo…Follia aleggia nell’aria e penetra i corpi degli ignari abitanti del testo, si impossessa di loro, li rianima, li ribalta, chiede loro di arrendersi a lei. Come nelle migliori commedie di tradizione, il fantasma si aggira nella città, portatore di caos irriverente e contagioso, per vegliare la notte sui corpi addormentati dei suoi cittadini…”

@Luigi Rinaldi

Foto credit @Luca Del Pia


Ispirato a La puce à l’oreille (1907) di Georges Feydeau
traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici, Tindaro Granata
regia Carmelo Rifici
con (in o.a.) Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Alessandro Verazzi
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
musiche Zeno Gabaglio
assistente alla regia Giacomo Toccaceli, Alice Sinigaglia
coaching movimenti acrobatici Antonio Bertusi
coaching clownerie Andreas Manz
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, La Fabbrica dell’attore – Teatro Vascello partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco – Clinica Moncucco e Clinica Santa Chiara

LA NOTTE – PIPPO DELBONO

Due punti di vista per uno stesso spettacolo a cura di Bianca Ferretti e Gabriele Corbo

La notte di Pippo Delbono alla Fondazione Merz è per lo spettatore una camminata lenta e inquieta in un corridoio pieno di quadri. 
Pochi e semplici ‘colori’ ne costituiscono la tavolozza: due sedie, una chitarra elettrica, un microfono su asta, un leggio e un plico di fogli destinati a spargersi a terra, intorno all’attore, come fossero pezzi di Storia lasciati cadere nell’oblio.

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IL RISVEGLIO – COMPAGNIA PIPPO DELBONO

Al teatro Astra è andato in scena, tra qualche contestazione, lo spettacolo Il risveglio di e con Pippo Delbono e la sua Compagnia.

L’attore comincia parlando di sé, di alcuni momenti della sua vita e della sua giovinezza.

Racconta di un amore che l’ha provato nella salute del corpo e della mente, tracciando un percorso che introduce il pubblico allo spettacolo vero e proprio.

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LA LUZ DE UN LAGO – EL CONDE DE TORREFIEL


Presentato con Piemonte dal Vivo in condivisione con Torinodanza

Il 12 e 13 ottobre 2023 lo spettacolo LA LUZ DE UN LAGO della compagnia catalana EL CONDE DE TORREFIEL è andato in scena presso il Teatro Astra, in occasione della 29esima edizione del Festival delle Colline Torinesi.

El Conde De Torrefiel è una compagnia fondata a Barcellona nel 2010 da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert. Il loro lavoro si articola attraverso varie collage di performance metafisiche tra video, pittura, suoni, luci.

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Dopo il precedente lavoro Imagen interior questo spettacolo concentra il progetto come essenza minimalista artefice di una visione narrativa concentrata sui sensi dello spettatore. 

El Conde si rifugia in una sala cinematografica. “Questo è un film” dice la voce fuori campo all’inizio del pezzo, di fronte a uno spazio vuoto scenografato da diversi pannelli bianchi che serviranno per proiettare le storie. 

La musica, i suoni, le immagini in distorsione e le didascalie fanno da catena alla piece multimediale, un esperimento sonico e visivo all’interno di un programma multidisciplinare che tocca i sensi dell’essere umano.

Si passa dalla musica underground Atrocity Exhibition dei Joy Division degli anni ’80, ad Angels dei Massime Attack per finire al Vendredì di Flavier Berger del 2015. Questo è il lasso di tempo musicale: l’educazione tragico sentimentale di diverse generazioni temporali sfocia poi con un action shit painting.

Da lì nasce la storia di due ragazzi di 23 anni a Manchester nel 1995, che dopo un concerto dei Massive Attack (Angel fa da colonna sonora alla prima storia) decidono di andare al tempio della musica del momento, il mitico New Osborne. Lì, quei giovani scopriranno il suono tecno del loro tempo. Cito da un’intervista fatta al El Conde dal giornalista Pablo Caruana Húder e pubblicata su un periodico spagnolo:

“Una musica semplice, costante e ripetitiva, senza variazioni, senza complessità. Musica che non ha testi, musica che non ti dice nulla, musica che non intellettualizza, musica che non ti inganna, musica che ti penetra e soprattutto musica con volume. Un colpo grave, ritmico, continuo che ricorda la semplicità del tempo e allo stesso tempo la complessità del tempo”. E ancora: “Una marea di persone agita i loro corpi allo stesso ritmo. Invocano la complessità del tempo e ballano volendo scomparire…” Una storia di amore, corpi e LSD. Questa prima storia ci parla di quel passato in cui una generazione si è aperta al mondo quando Margaret Thatcher disse “La società non esiste, esistono solo gli individui…” I testi e la voce femminile che narra la storia procedono a ritmo diegetico.

Da lì, verranno altre storie che proseguono sulla sottile linea tra finzione e realtà. Nella seconda un impiegato di banca che, in un cinema sperduto in una Atene d’inizio crisi del 2006, vede un film sulla gioventù anni’80 incontra ripetutamente un tizio più giovane di lui: il tutto viene commentato da una voce narrante over. Questa gay story potrebbe omaggiare il cinema di Fassbinder con un finale ardente. Nella terza storia troviamo una biologa marina trans che tornando a casa legge una lettera lasciatagli dalla nonna morta, che si conclude con “Non aver paura”. Le didascalie ci accompagnano mentre un performer con gesti lenti tinge di nero due pareti bianche, come se ci volesse dire che l’inclusività non esiste.

Infine la quarta storia, ambientata nel futuro, esattamente nel 2036 a Venezia, al teatro della Fenice, dove in mezzo ad un dramma dai contenuti social environmental, irrompono in scena degli eco-attivisti smerdando gli spettatori in sala. Una storia che è anche un epilogo di riflessione meta-artistica, nel solco dei Friday for Future.

Non c’è trucco non c’è inganno, non esiste nessuna quarta, quinta , sesta parete tra le storie. Esistono solo pochi grandi pannelli che intrattengono il pubblico; le quattro storie si aprono e chiudono con l’aiuto dei tre attori in scena che svolgono con lentezza i movimenti dei cambi scena, sotto gli occhi degli spettatori, muovendo i pannelli fino ad arrivare ad un finale simile ad una installazione da happening d’arte concettuale.

Le didascalie, veri e propri testi, sono asciutti e vanno a ritmo seguendo una narrazione che non è parlata, non ci sono mai dialoghi: “I personaggi che non hanno immagine e sono solo parole sono come gocce d’acqua attraversate dalla luce che le fa brillare per un istante e poi le riporta alle profondità dell’anonimato” come lo sono i tre attori sul palco. Non succede nulla in scena e allo stesso tempo tutto accade. Non è teatro in senso classico, è un modo di rappresentare il disagio di un universo giovanile e il pubblico s’interroga se vale la pena di soccombere o combattere per una società consona ai nostri ideali. 

El Conde ha voluto che fosse il pubblico a sviluppare il film durante lo spettacolo, per essere trasportato in un virtuale “Luz de Un Lago”. Sarebbe stato interessante, da un punto di vista soggettivo, dare forse più enfasi ai quattro episodi con maggiori sottolineature musicali. La fine è come uscire dalla sala cinematografica perché la Compagnia annulla il rito di  ringraziamento con gli spettatori.

Luigi Rinaldi

  • regia e drammaturgia Tanya Beyeler e Pablo Gisbert
  • scenografia La Cuarta Piel (César Fuertes, Iñigo Barrón García, Ximo Berenguer), Isaac Torres, El Conde de Torrefiel
  • performer Mireia Donat Melús, Mauro Molina, Isaac Torres
  • sculture Mireia Donat Melús
  • coordinazione e direzione tecnica Isaac Torres
  • suonoRebecca Praga, Uriel ireland
  • luci Manoly Rubio García
  • video Carlos Pardo, María Antón Cabot
  • distribuzione e produzione Alessandra Simeoni
  • una produzione CIELO DRIVE – Alessandra Simeoni
  • con il supporto di ICEC – Generalitat de Catalunya, Festival TNT, Terrassa Teatre Principal de Lloret de Mar
  • coproduzione Festival GREC – Barcelona, CC Conde Duque – Madrid, Théâtre St. Gervais – Genève, Teatro Municipal de Porto – Rivoli, Festival d’Automne – Paris, Festival delle Colline Torinesi, Teatro Metastasio di Prato, VIERNULVIER – Gent

Fantasmi. La Stagione 2024-2025 di Teatro Piemonte Europa

Da qualunque angolazione lo si accosti, il teatro si fa gioco della sua etimologia. La parola teatro deriva dal greco ϑέατρον, ovvero gli edifici in cui fare teatro, che a sua volta nasce dal verbo ϑεάομαι: guardare essere spettatore. Eppure basta frequentarlo, studiarlo anche poco, per rendersi conto che la vista non è la chiave giusta per penetrarvi. 
Bisogna, anzi, allenare i sensi all’invisibile. Si potrebbe dire che il teatro è luogo dove si pratica una prossimità con i fantasmi. Una caccia continua allo spettro.
Questa è la strada che ci invita a percorrere Andrea De Rosa, direttore artistico del TPE, che presenta alla stampa la prossima stagione teatrale, l’ultima di un triennio incentrato sul macrotema della verità.

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29 Festival delle Colline Torinesi- Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla

<< Dì la verità ma dilla obliqua>> così si apre la presentazione del 16 maggio del  Festival delle Colline Torinesi, giunto alla sua 29 edizione, con una mostra alla Fondazione Merz, dal riflesso apollineo, una pala sacra situata in un luogo che sembra essere una chiesa, panchine vuote, candele bruciate ormai spente e dentro la pala lapidi distrutte, epigrafi con nomi, volti e foto differenti. Luci e ombre nuovamente si incontrano e si scontrano per restituire una visione, quanto più realistica e profonda del mondo di oggi.

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Cassandra- il potere

Avete mai provato a far dei passi all’interno di una mente umana? No? Ebbene, al Teatro Astra con Cassandra è possibile farlo.

Dietro le quinte sono allestite le tribune, le nostre tribune, quelle del popolo troiano. Il pubblico diventa parte integrante dello spettacolo e della sua scenografia, luci e suoni ci portano in un ambiente onirico, attraversato da voci flebili ed emozioni strazianti.

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