Torna in scena al Teatro Astra, dopo il debutto nell’ormai lontano 2004, Giulietta, la versione teatrale adattata da Vitalino Trevisan del trattamento del film “Giulietta degli spiriti”. Opera del maestro Fellini, poco dopo il centenario della sua nascita, con la regia di Valter Malosti. Quest’ultimo, nel descrivere il suo spettacolo, afferma che:
“Giulietta è una struggente favola psicoanalitica sull’ anima e sull’identità frammentata, raccontata con un tono vagamente infantile ed inquietante”.
Effettivamente, tutto questo viene egregiamente restituito a noi spettatori, anche grazie alla straordinaria presenza scenica di Roberta Caronia. L’attrice riesce a tenere le redini dello spettacolo e della scena con una bellissima performance attoriale, senza far mai cadere la tensione che si genera già dai primi attimi: un’inquietudine che anzi cresce in un climax che si dissolve solo nel tragico finale, che al tempo stesso però porta in sé un non so che di liberatorio. Forse il sollevamento da quella lieve ma persistente angoscia che ci ha pervaso durante lo spettacolo, forse il conforto nel sapere Giulietta finalmente svincolata dalla prigionia dei suoi incubi e dei suoi mostri.
Assistiamo al flusso di coscienza della protagonista, Giulietta, unica interprete dello spettacolo: l’opera è infatti interamente scritta e recitata dal punto di vista di quest’ultima, che ci trasporta all’interno della sua mente e della sua vita.
Giulietta appare marionetta fra le marionette, indissolubilmente legata da fili che la sua mente tesse in maniera instancabile, e che la conducono ora al dialogo con spiriti e fantasmi del suo passato, ora a un dialogo con sé stessa nel presente.
La scenografia è l’unica protagonista insieme all’attrice ed immediatamente colpisce lo spettatore, che si sente al tempo stesso curioso e inquieto. Giulietta è posta al centro del palco, quasi inglobata, incastonata come una gemma in un anello, all’interno di un ampio telo bianco che le funge da gonna. Questo telone è unito ad una particolare impalcatura, alla quale sono appese diverse marionette, personificazione di demoni e spiriti, talvolta animate dalla luce e dalla voce che vien loro conferita. Queste ultime si risvegliano sul palco come nella testa e nell’animo della protagonista, trasformando quasi in un racconto corale i pensieri e i sentimenti più reconditi di Giulietta.
La struttura, che ricorda a tutti gli effetti quella circense, incornicia l’attrice fungendo da specchio all’intelaiatura della sua mente. Sappiamo essere il circo un tema molto caro a Fellini, insieme a quello dei pagliacci: scelte non casuali quelle del trucco della protagonista, che ricorda quello di un mimo e della scenografia che invece riporta all’immagine e alle sensazioni del circo. Fellini scrive in proposito:
“Questa ebbrezza, questa emozione, questa esaltazione, questo immediato sentirmi a casa mia, l’ho provato subito la prima volta che sono entrato sotto la tenda di un circo.”
Così anche Giulietta resta dentro la tenda, immobile da un certo punto di vista ma anche estremamente mobile: infatti l’immaginario onirico e spiritico dello spettacolo viene restituito anche grazie a diverse proiezioni sulla gonna della protagonista, come a volerci mostrare il contenuto della sua mente. Metafora di un corpo fisicamente intrappolato, che però non risulta mai statico, e anzi trasmette con vigore tutto il movimento che agita i suoi pensieri.
Uno spettacolo che sento di poter definire sensoriale, poiché i suoni e le luci contribuiscono in maniera preminente a mettere in moto la rappresentazione, divenendo parte integrante della struttura drammaturgica.
Il flusso di parole e pensieri di Giulietta che ci trascina e ci travolge viene spezzato da un continuo dialogo fra luce e buio, che frammenta la storia intervallando ricordi, momenti di sogno, incubo e di vissuto reale: atti di una vita che la protagonista mette in scena ogni giorno, sin dalla tenera età, si dalla prima apparizione degli spiriti.
I suoni, talvolta appartenenti alla natura, talvolta inquietanti, contribuiscono a ricreare quell’atmosfera onirica e terrifica portando la nostra mente proprio dove risiede quella della protagonista.
Lo spettacolo si apre e si chiude come un cerchio, iniziato e concluso con uno specchio in cui la protagonista vede riflessa non solo sé stessa, ma un mondo fatto di mille sfumature.
Ilaria Stigliano