La stagione del Regio si chiude con tre titoli fondamentali della storia dell’opera, proposti a Torino per la prima volta in un unico corpus: Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte. I tre capolavori di Mozart, composti tra il 1786 e il 1790, su libretti di Da Ponte, sono una meravigliosa realizzazione di drammaturgia musicale: parole e note si fondono in modo perfetto e trasformano l’opera buffa, un genere fino a quel momento frivolo e superficiale, in una forma d’arte capace di toccare le corde più profonde dei sentimenti umani. Tra unioni coniugali, tradimenti, rimpianti e libertinaggi è rappresentata una sfaccettata fenomenologia dell’amore nei suoi inestricabili legami col potere: il Settecento come momento topico di questo intreccio ad ogni strato sociale. Le tre regie sono firmate da nomi di rilievo, Elena Barbalich per Le Nozze di Figaro, Michele Placido per Don Giovanni, Ettore Scola per Così fan tutte (le ultime due riprese da Vittorio Borrelli), al fine di richiamare un vasto pubblico, il quale ha effettivamente risposto numeroso all’evento confezionato dal Regio.
Nelle Nozze di Figaro si respira l’atmosfera del secolo, con alcune incursioni nel futuro prossimo: Cherubino è iconograficamente connotato come il Napoleone a cavallo del quadro di David ed è seguito da una folla di rivoluzionari. Le scene di Tommaso Lagattolla (che ha curato anche i costumi) in accordo con la regia intendono rappresentare il tortuoso percorso iniziatico dei personaggi, connotato da una “componente massonica” attraverso i simboli della squadra, della scala, dell’alternanza luce e buio ecc. Purtroppo però la resa è quella di una scenografia che comunica oppressione e i personaggi appaiono come incastrati tra i pannelli: il messaggio non arriva. La resa canora e interpretativa è invece comprensibile e nell’insieme godibile, grazie soprattutto alla direzione di Speranza Scappucci, misurata e puntuale.
Nel Don Giovanni la direzione di Daniele Rustioni coglie equilibratamente gli aspetti musicali barocchi che in quest’opera colorano lo stile classico mozartiano. La medesima ambizione sembra animare la regia la quale tuttavia degrada in una forma scenica che sfiora il cattivo gusto. I colori cupi degli arredi e dei costumi (firmati da Maurizio Balò) rabbuiano la scena senza, per altro, comunicare la conturbante oscurità dell’opera. Le coreografie trascurate, da orgia campestre, animano la scena del ballo attraverso dei fermo-immagine catturati da flash anacronistici di una macchina fotografica presente sul palco. È ricorrente nell’opera lirica, spesso senza giustificazione drammaturgica, esporre corpi esausti e seminudi in pose plastiche, che mirano a compiacere un immaginario nutrito di stereotipi televisivi. Se effettivamente funzionali a riempire un vuoto dello sguardo, tali danze sminuiscono il valore dello studio coreutico dei corpi in scena. Nonostante (o forse grazie a) questo l’allestimento, a distanza di tredici anni dal suo debutto, è ancora apprezzato dal pubblico, formato da molti turisti, che ha applaudito calorosamente.
Così fan tutte incanta con il suo fascino misterioso e la struggente bellezza delle melodie. L’allestimento è il più riuscito dei tre, fedele al clima settecentesco, delicato nei colori ed elegante negli arredi, trasmette le medesime suggestioni sensuali delle tele di Fragonard. Altrettanto coerenti i giochi di nascondimenti e rivelazioni realizzati, nella pienezza della profondità scenica, da Luciano Ricceri. L’opera presenta arie tra le più impegnative di tutta la produzione mozartiana, in particolare per i ruoli femminili. Pure un soprano di prim’ordine come Federica Lombardi non si rivela una Fiordiligi abbastanza agile nelle acrobatiche arie Come scoglio immota resta e Per pietà ben mio perdona. Da segnalare anche Francesco Marsiglia nel ruolo di Ferrando non perfetto nell’intonazione della cavatina Tradito, schernito!. L’interpretazione orchestrale è più convincente: il maestro svizzero Diego Fasolis, al suo debutto sul podio del Teatro Regio, ha impresso il suo tocco personale alla direzione, derivato anche dalla sua profonda esperienza nel repertorio antico.
L’istituzione torinese, forte dei suoi recenti cambiamenti (ricordiamo William Graziosi alla sovrintendenza e Alessandro Galoppini alla direzione artistica), si avvia verso una nuova stagione molto attesa. Alla sua presentazione infatti, oltre alla sindaca Chiara Appendino, si è registrata la presenza di un gran numero di torinesi. Nuovi melomani o cittadini preoccupati dalla “tempesta” che ha recentemente scosso il prestigioso ente lirico? In attesa di nuovi sviluppi, la trilogia mozartiana rimarrà in scena fino all’8 luglio. Il Teatro riaprirà la stagione 2018/19 con Il Trovatore di Verdi a partire dal 10 ottobre.
Recensione di Marida Bruson e Tobia Rossetti