Il sipario si apre e in scena niente, non una sedia, non uno sfondo, nessun elemento scenografico. Dopo alcuni secondi esce Ugo Dighero in maglietta e pantaloni neri, inizia a parlare agli spettatori di quello che vedranno in scena e, ancora prima che inizi veramente lo spettacolo il pubblico in sala è già conquistato.
Mercoledì 18 gennaio Ugo Dighero ha portato sul palcoscenico del Teatro Civico di Varallo, in provincia di Vercelli, due monologhi tratti dalla più celebre opera teatrale di Dario Fo, Mistero Buffo. Lui regista e unico interprete ha saputo calcare la scena brillantemente in entrambi i pezzi: Il primo miracolo di Gesù bambino e La Parpaja Topola . Composto nel 1969, Mistero Buffo è descritto (dallo stesso autore e primo interprete) come una giullarata popolare. Esso, come ci spiega Dighero, è un insieme di monologhi che si ispirano ad alcuni episodi dei Vangeli Apocrifi o a racconti popolari della vita di Gesù. La tecnica di rappresentazione è il grammelot, linguaggio inventato dal Premio Nobel. Esso è un insieme di suoni onomatopeici e di idiomi che assomigliano a diverse lingue o dialetti, i quali in realtà sono inventati. Nella fattispecie i due monologhi presentati hanno una cadenza molto vicina al lombardo, con suoni anche di altri dialetti, in particolare quelli dell’Italia centrale. Il tutto mescolato assieme crea comicità e diverte il pubblico proprio perché sconcerta vedere delle figure sacre o legate alla chiesa in questa veste, per così dire, “terrena”.
«Mi sono arrivate diverse lettere» dice Dighero «non oso immaginare a Dario Fo quante gliene siano arrivate in cui veniva accusato di blasfemia. Io però, fin dalla prima volta che ascoltai questi pezzi rimasi strabiliato e credo che lui abbia trovato un meccanismo straordinario per far empatizzare le persone con le figure sacre, che in genere […] siamo abituati a vedere con una certa distanza. Qui invece ne apprezziamo la profonda umanità, i drammi e le esperienze umane, il che ci svela un aspetto poco conosciuto e estremamente interessante.»
Il ritmo dei due monologhi è incalzante e la parlata è sciolta e spigliata. Il movimento del corpo è fluido e scomposto, non certo paragonabile alla scioltezza di Fo, ma decisamente giullaresco. Dighero pare quasi un bambino che salta, corre per il palco e a volte perde l’equilibrio. L’elasticità e la leggerezza nei movimenti sono dovute anche alla briosa interpretazione di questo attore che, da solo, entra e esce dai vari personaggi con grande maestria e, mantiene sempre, con il pubblico, un contatto diretto spiegando ciò che sta facendo; lo stesso modo in cui, come diceva Fo, i giullari medioevali intrattenevano il loro pubblico nelle piazze. I temi centrali di questi due monologhi sono il potente e il diverso, o forestiero e la difficoltà di integrazione dei nuovi arrivati in una comunità in cui non sanno cosa succeda all’interno, ma di cui vorrebbero far parte ugualmente. Così ne Il primo miracolo di Gesù bambino, che narra, a partire dalla fuga in Egitto, l’infanzia di Gesù, troviamo un episodio che inizia con un divertente sguardo al passato, l’arrivo dei tre re magi al presepe, per poi concentrarsi sulla vita del giovane Jesus a Jaffa, che per essere accettato dagli altri bambini decide di fare un miracolo, far volare con un soffio un uccellino di argilla. Arriva poi il figlio del capo del villaggio, un bambino dispettoso che distrugge tutti gli uccellini e “Palestina”, così viene soprannominato ironicamente Gesù, invoca suo padre Dio. Nella Parpaja Topola invece, il protagonista è un eremita che dopo aver ereditato una grande fortuna, per inganno sposa una giovane donna, l’amante del parroco di un paese vicino. Il monologo narra della prima notte di nozze e delle avventure di Giavanpietro alla ricerca della Parpaja smarrita, peripezie causate da un insieme di equivoci esilaranti che fanno provare empatia e tenerezza per il povero personaggio. Ogni episodio è all’insegna della comicità e della giocosità, dati da una mimica facciale policroma, fatta di tante sfaccettature che ricalcano ogni personaggio. I temi affrontati sono oggi attualissimi, conosciuti e vissuti da tante persone, ma Dighero li affronta con una tale leggerezza e ilarità che non può che suscitare risate; infondo è proprio questa l’idea di Mistero Buffo, rivisitare in chiave buffonesca temi sacri e attuali.
A chiusura della serata l’attore porta sul palco una poesia di sua composizione. Una “lirica populista” (definita così dallo stesso Dighero) che egli scrisse ai tempi della Guerra in Iraq, ma purtroppo sempre attuale visto come stanno andando le cose ancora oggi. Si intitola Ho deciso di esportare una merce nuova, che sarebbe poi la democrazia. Ironicamente Dighero suggerisce come le potenze occidentali siano andate a “liberare” i popoli del medio oriente, ma a modo loro, con tanto di armi, di bombe e di imposizioni culturali. «Facciamo una pazzia, esportiamo la democrazia chi non ce l’ha lo spaziamo via…» declama Ugo Dighero. La sua è una critica al potere, non solo americano ma anche europeo e italiano. Per possedere anche solo una piccola parte di oro nero, nessuno esita a spacciarsi per difensore di pace e libertà. «Pace e concordia al modo intero riempiendo il cimitero…» continua. E conclude: «Noi siamo i buoni abbiamo una mania esportare la democrazia, ma non la tua, la mia.» Il tema principale è sempre il potere, affiancato questa volta dalla bramosia di conquista di nuove terre e dall’imposizione di nuove ideologie. Ugo Dighero ha una grande forza espressiva, in grado di comunicare con chi lo sta ascoltando e, ancora una volta suscita negli spettatori la risata. Questa volta però è una risata più amara perché le ferite che queste guerre hanno lasciato e stanno lasciando sono ancora aperte.
Mi sono seduta al mio posto, prima dell’inizio dello spettacolo con qualche riserva, senza un vero motivo in verità. Alla fine però mi sono dovuta ricredere, Ugo Dighero è stato molto bravo e all’altezza delle interpretazioni del grande Fo. Il pubblico ha riso di gusto, me compresa e ha battuto le mani con calore e partecipazione, proseguendo per diversi minuti nel finale.