“No, non conobbi mai l’invidia, mai! Di me chi avrebbe mai potuto dire che ero uno spregevole invidioso, un verme che si schiaccia sotto i piedi, un’impotente serpe che si ciba di polvere e di sabbia? Nessuno! Ed ora – lo confesso – invidio”. In queste parole, tratte dal breve dramma Mozart e Salieri di Puškin ed enunciate da uno dei personaggi, si racchiude probabilmente l’essenza di Livore, portato in scena alla Lavanderia a Vapore di Collegno dalla compagnia VicoQuartoMazzini. Lo spettacolo prende infatti spunto dall’ormai celebre rivalità fittizia tra i due compositori e, trasponendola ai giorni nostri, la utilizza come punto di partenza per esplorare il tema dell’invidia nel mondo contemporaneo. Non più quindi Mozart e Salieri, ma Amedeo e Antonio, due attori, uno di teatro sperimentale dai forti princìpi, l’altro già ampiamente inserito nella macchina della fiction e con una carriera in ascesa, anche grazie all’aiuto del suo agente e fidanzato Rosario. I due, entrambi coinvolti nella realizzazione di una serie tv su Mozart, si confrontano a casa di Antonio, nelle ore che precedono un’importante cena organizzata per lanciare definitivamente la carriera di quest’ultimo.
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FDCT23-VIENI SU MARTE/VICOQUARTOMAZZINI
VicoQuartoMazzini/ Vieni su Marte
andato in scena il 6 Giugno alla Casa del Teatro
Uno spettacolo di VicoQuartoMazzi
regia Michele Altamura e Gabriele Paolocà
interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
costumi Lilian Indraccolo
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti
con il sostegno di Officina Teatro, Kilowatt Festival, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro
con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”
VicoQuartoMazzini è una compagnia di teatro indipendente formata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà. Ultimamente ha portato avanti un personale progetto di rivisitazione dei classici e tra i lavori più recenti ricordiamo Karamazov (2017) e Little Europa(2016) dal Piccolo Eyolf di Ibsen. Questa volta la giovane compagnia porta al Festival delle Colline Torinesi, in una prima nazionale, la storia di una iperbolica e folle spedizione del genere umano su Marte. Il tutto liberamente ispirato a Cronache Marziane di Ray Bradbury.
Nel 2012 parte un progetto, dal nome Mars One, che intende installare una colonia permanete sul pianeta rosso; arriva un numero esorbitante di candidature: 202.560. Non basta più spostarsi in una città dall’altra parte del mondo ma l’uomo moderno sembra avere bisogno di un pianeta nuovo. Che cosa cerchiamo? Cosa stiamo inseguendo che non troviamo qui ma proiettiamo in un altro pianeta? Da cosa vogliamo scappare? Lo spettacolo, dalla durata di settanta minuti, cerca appunto di indagare quali siano i desideri e le motivazioni di queste persone pronte a lasciare tutto e ricominciare da zero. Questo viene reso alternando a scene teatrali proiezioni video, tra cui spezzoni delle candidature inviate per il progetto. I candidati spiegano le loro motivazioni a muoversi sul pianeta rosso e il piano che hanno in mente di sviluppare; emerge molto forte l’urgenza di avere uno spazio nuovo in cui potere trovare la propria identità da capo, uno spazio che li accolga, uno spazio dove non ci siano guerre, non ci sia corruzione e si possa, invece, essere felici. Vieni su Marte, infatti, parte proprio da questa riflessione, per poi aprire numerose finestre tematiche che riguardano l’umanità a tutto tondo, correndo il rischio, forse, di non riuscire ad approfondirle tutte nello stesso modo.
L’emigrazione viene trattata, innanzitutto, facendo rifermento al fenomeno dell’emigrazione italiana interna degli anni ’50 e ’60: gli attori parlano dialetti di varie località italiane durante tutta la durata dello spettacolo. C’è chi è costretto a spostarsi per motivi di lavoro oppure in cerca di fortuna perché non trova il proprio spazio nel mondo, come il clochard che vorrebbe fare l’attore. L’idea è molto interessante anche se non è così chiara la relazione dell’uso continuato del dialetto con tutte le tematiche trattate. L’emigrazione viene sviluppata, infatti, anche richiamando la colonizzazione europea degli indiani d’America; emigrazione come imposizione da parte degli occidentali dei propri usi e costumi che si presume siano più evoluti e migliori rispetto agli usi “incivili” delle popolazioni indigene. Qui gli indigeni sono i Marziani; non c’è neanche il tentativo di conoscerli ma da subito l’uomo si impone; vuole costruire un’altra “Terra” su Marte, il che collide con il desiderio di cambiamento e novità alla base dell’intera spedizione sul pianeta rosso. Sembra prevalere la paura. E’ inconcepibile la presenza di qualcuno che non sia come noi, Il Marziano va umanizzato ad ogni costo. Questo è reso possibile immaginando di sottoporre il marziano ad un percorso psicoanalitico in cui ovviamente l’analista è umano. La figura dell’analista, purtroppo poco credibile come tale perché troppo aggressivo e incalzante, si sforza di fare emergere i traumi inconsci, in realtà inesistenti, del paziente. Il povero marziano vive ignaro di ogni paura e inquietudine dipingendo stelle prima dello sbarco degli umani.
La scena finale, molto d’effetto, rappresenta il Marziano finalmente UMANIZZATO dopo un lungo tempo di lavaggio del cervello; piange sconsolato sulle ginocchia dell’analista che è fiero del proprio paziente. Vieni su Marte ha sicuramente il merito di portare in scena l’umano con le sue paure e contraddizioni grazie e una drammaturgia molto varia.
Carola Fasana